ANTIGIUDAISMO SOTTO I DEL BALZO ORSINI
(1385 – 1463)
A GALATINA E A SOLETO
di Luigi Manni
A margine delle giornate della memoria celebrate in Puglia per ricordare la vergogna della Shoah, l’olocausto degli ebrei avvenuto durante il secondo conflitto mondiale, segnalo alcuni episodi di antisemitismo alimentati a Galatina e a Soleto, ma anche in altri centri, da Raimondello del Balzo Orsini (1350/55-1406), sua moglie Maria d’Enghien (1367-1446) e il figlio Giovanni Antonio (1401-1463).
Nel Quattrocento gli ebrei di Galatina erano probabilmente concentrati in Via Marcantonio Zimara, come segnala il TETRAGRAMMATON (per gli ebrei, l’impronunciabile quadrilittero nome di Dio, JHWH) inciso sulla finestra nella corte del civico 10. Quelli di Soleto erano chiusi nel ghetto di Rua Catalana.
La loro ricchezza derivava dalle attività della concia, della lavorazione delle pelli, della tintoria. Lavori altamente inquinanti e dannosi per la salute, svolti dai “diversi” del tempo, gli ebrei, gli albanesi, i levantini, così come oggi le mansioni più umili, le “più sporche”, dagli extracomunitari, rom e badanti, i “diversi” dei nostri giorni.
Tuttavia, gli ebrei della Contea di Soleto, sotto la signoria dei del Balzo, erano riusciti, grazie alla concessione di numerosi privilegi, in particolare quelli relativi al prestito di denaro, a rafforzare il loro ruolo all’interno di una comunità, quella galatinese e soletana, completamente in mano al ceto clericale italogreco.
I del Balzo, all’inizio, almeno sino agli anni Trenta del Quattrocento, ebbero grande stima degli ebrei, dimostrata nei continui rapporti con la comunità ebraica, improntati alla tolleranza super modo et forma vivendi eiusdem hebreis. Maria d’Enghien si fidava ciecamente di loro, tanto da affidare la cura della sua salute al medico ebreo mastro Giacomo e, ugualmente, il figlio Giovanni Antonio del Balzo Orsini al medico ebreo Abramo Balmes, judio de Leze (guideo di Lecce), la cui abilità e perizia dovette essere ben nota se poi divenne medico di fiducia di Ferdinando d’Aragona, re di Napoli. Lo stesso Raimondello del Balzo Orsini, dimostrando di fidarsi, aveva assoldato, tra i suoi capitani, ebrei extraregnicoli come Catalano de Barcellona.
E’ significativo, inoltre, che gli ebrei Sabatino Russo e Mosè de Meli, forse leccesi, tra il 1392 e i primi del XV secolo, scrivessero le loro lettere in “volgare”, vale a dire la parlata italiano – dialettale usata dal principe. Era poi nota la benevolentia del principe Giovanni Antonio nei riguardi degli ebrei, mal sopportata dal papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini), che considerava il riottoso feudatario del Balzo come nemico della fede ed eretico poiché incoraggia (va) la perfidia ebraica”.
L’intolleranza cominciò a manifestarsi sotto il re Ladislao di Durazzo e la regina Maria d’Enghien (già vedova di Raimondello). Nel 1411, infatti, per una rissa tra marinai ed ebrei, “furono messe a sacco le case di quest’ultimi”.
Ma un antigiudaismo più smaccato può essere colto chiaramente nei cicli d’affreschi di Santa Caterina a Galatina e di Santo Stefano a Soleto. A Galatina nella scena della Resurrezione di Lazzaro, gli ebrei che si turano il naso per la “puzza” di Lazzaro, morto già da quattro giorni, sono stati rappresentati secondo la percezione, già negativa, dell’ebreo nell’arte medievale, con il ricorso cioè ai tratti fisionomici degli ebrei – bassa statura, naso dritto, barba folta, i capelli con i peot, i tipici broccoli riccioluti – con cappelli a punta o all’orientale e spesso vestiti con tuniche gialle, il colore infamante dei traditori. Anche nella scena della Flagellazione, l’antigiudaismo del committente, ribaltando la verità storica, attribuisce agli ebrei che flagellano Cristo, una crudeltà che supera quella notoriamente riconosciuta ai romani.
Un’evidente connotazione antiebraica anima, poi, a Soleto, la scena della Vita di Santo Stefano, in cui due ebrei, recanti sul petto l’infamante segno della rotella rossa, calciano il protomartire e, tirandogli i capelli, lo bastonano a sangue. Il pittore li rappresentò così come li vedeva ogni giorno a Soleto e a Galatina e cioè con la rotella rossa, prototipo quattrocentesco dell’altrettanto infamante stella di Davide degli internati ebrei nei campi di concentramento. Maria d’Enghien, infatti, nel 1473, secondo i capitoli e gli statuti del 1420, stabilì che, nella contea di Lecce, ma anche nella contea di Soleto, li iudei masculi et femine degiano (debbano) essere conosciuti da(i) christiani per alguni segni et vestimenti […] che omne iudeo masculo o femina de anni sei in suso (in sù) […] li masculi debiano portare un segno russo a modo de rota rotundo nel pecto sopra la menna (il seno) […] et le femine un segno russo rotundo socta (sotto) lo pecto […] et avanti sopra tucti laltri panni. Chi contravveniva all’ordine doveva pagare un’oncia et chi lo accusarà (l’ebreo) ne haverà tarì uno (avrà in premio un tarì). Siamo, come si può ben arguire, a un “dalli all’ebreo” ante litteram.
Ancora nel 1464, la comunità ebraica di Galatina e Soleto porterà pel segno (la rotella russa) che gli ebrei devono portare a Taranto, come a Lecce e in altri luoghi.
Anche dopo i del Balzo, nel 1491, non solo gli ebrei, ma anche gli albanesi, vennero fatti oggetto di una discriminazione strisciante, ma ormai radicata nella cultura del tempo, per esempio nel regime penale che veniva esercitato più frequentemente sui cittadini exteri et ut peregrini, come gli albanesi o come gli ebrei che provocant alios. Tra gli ebrei di Nardò ricordiamo: Jaco Catalano, condannato per aver giocato a dadi; Moisi de Soleto, per aver litigato con il servo Geronimo; Luca Florentino, chiamato iudio cane renegato; Riczo iudeo; Salamoncello iudio, aggredito allo puczo de Santa Lucia da tre albanesi (una guerra tra emarginati) e Cale iudio de Inbeni perché dixe ca Cristo fo trentatre anni iudio. In quest’ultimo caso sono le motivazioni religiose a rinfocolare il sentimento antiebraico, che aveva preso posto stabile nella liturgia della Chiesa contro i perfidis judeis, che non si ravvedevano (Atti degli Apostoli, 2,40).
Quando, nel 1495, vennero cancellati (cassi, irriti et de nullo valore) gli instrumenti de usurari facti in favore de Judei, venne meno la fiorente attività feneratizia su cui si fondava la ricchezza ebraica, considerata usuraria e simoniaca per antonomasia non solo dal clero greco, ma anche dal clero latino – i Francescani di Galatina – più vicini alla politica del del Balzo. Come a dire che l’antisemitismo, con tutto ciò che comportava – razzismo, vessazioni, emarginazione, privazione e mortificazione della propria identità – a volte affondava nel vil denaro le sue malsane radici.
Il re aragonese Ferdinando, molto pragmatico e affatto idealista, nel 1464, subito dopo la morte di Giovanni Antonio del Balzo Orsini, ordinò ai suoi ufficiali di far ritornare a Lecce tutti gli ebrei che s’erano allontanati dalla città, confermando loro le antiche franchigie.
lavoro eccellente,
la parola TETRAGRAMMATON incisa nello stemma di “Palazzo Guarini” di Arnesano (Le), deve far pensare ad una presenza ebraica in questa comunità?
Coincide con gli eventi documentati che riguardano la vicenda del beato Simonino da Trento, purtroppo la storia se non la approfondiamo, come sempre si ripete, meno male che oggi internet permette di sfatare immediatamente le “bufale”.
Pensate che solo alcuni anni fa per Trento è stata tolta una maledizione che era stata lasciata da un rabbino, dopo che il processo per la morte del beato Simonino erano state celebrato e le persecuzioni che ne erano venute ne avevano azzerato la presenza nel suolo del principato vescovile.
Guarda caso il fine era sempre il medesimo: I soldi dell’usura ed il benessere di cui godeva tale comunità, ed il pretesto utilizzato quello dell’infanticidio è la forma più becera di ricerca di consenso immediata .
Oggi ( un decenni fa) il nuovo vescovo ha fatto revisionare le carte del processo di beatificazione del beato Simonino e ne ha certificato la nullità e l’insussistenza e ne ha chiuso il processo di riconoscimento della Chiesa.
Fino al 1600 nel nostro e nella zone germaniche limitrofe ci sono state testimonianze anche in edifici di culto di questa venerazione.
Comunque bella storia e ottima ricerca sulle fonti.
Aspetto ora una analisi della “perfidia femminile” nell’ambito del governo del territorio, magari scopriamo che l’invidia è anche una questione di “genere” :-) .