di Rocco Boccadamo
Un corsivo atipico, ruotante intorno a Lecce, in particolare a Via Salvatore Trinchese, rinomata arteria del cosiddetto salotto buono di questo capoluogo.
Per una volta, ad ispirarlo, non già i bei negozi alla moda, le vetrine luccicanti, il perpetuarsi delle vasche materializzate da gente d’ogni età, specialmente da ragazzi e giovani, la sala Bingo che vi si affaccia, bensì una presenza speciale, lì, fissa, sul marciapiede, appoggiata al muro di un edificio, 365 giorni all’anno, vuoi con i rigori del freddo come accaduto di recente, vuoi con i quaranta e passa gradi estivi.
Giustappunto nel tratto fra la ricordata sala giochi e l’isolato dove ha sede l’istituto della Suore Stimmatine, ci s’imbatte, immancabilmente, nella figura di un uomo, apparentemente e fisicamente minuscolo, ma, senza alcun dubbio, grande dentro.
La natura o il destino – non fa distinzione che si sia trattato dell’una o dell’altro – non sono stati generosi e benigni nei suoi confronti, la persona in discorso è completamente priva degli arti superiori e dotata solamente di un abbozzo di quelli inferiori, due piccole propaggini idonee a farvi aderire appena le scarpe.
E però, si badi bene, nonostante si trovi messo così male nel corpo, quest’uomo non bisogna guardarlo o considerarlo con aria di gratuita compassione o di pietà. Difatti, egli é ricco, assai pieno nel suo interiore, basta accennargli un normale sguardo, prima ancora di porgergli un saluto, è già pronto a lanciarti un fascio di sorriso, sormontato dai suoi occhi luminosi: occhi che hanno il fondo verde – azzurro come certi strati del mare salentino e le pupille dal tono beige – marrone luminoso delle alghe.
Chi scrive, è solito indugiare un attimo passandogli accanto, non già, e tanto, al fine di lasciargli qualche euro, ma principalmente per incrociare il suo sguardo e ascoltare il suo ciao. Il risultato è che, pure nei momenti in cui è turbato da pensieri o da qualche peso, ne trae immediatamente un senso di sollievo, di serenità, d’ottimismo.
Per cui, il disinteressato e schietto suggerimento a chi si trovi a transitare da quel punto, è di fare la stessa cosa. Ne vale la pena.
Cosimino, così si chiama, è nativo di Porto Cesareo, ma ormai leccese a tutti gli effetti, ha superato gli ottanta anni e ciò nonostante, servendosi di uno scassatissimo furgone APE e accompagnato da qualcuno che lo assiste, fa due volte al dì la spola tra Via Trinchese e casa sua, in periferia, verso il ponte di Monteroni.
Ma Cosimino è soprattutto un discreto monumento di umanità, un vero amico.
Caro Rocco, hai allargato le maglie della mia memoria infantile con una delicatezza preziosa. Ho sempre visto quest’uomo che tu descrivi e pensa tu come debbano averlo guardato attoniti gli occhi di una bambina.
Mi meravigliavo, allora, di come io potessi essere più alta di un uomo e stretta alla mano della mamma durante le passeggiate estive a Porto Cesareo, mi prendevo il giusto spazio protetto per osservarlo bene. Non ho mai saputo il suo nome e ti sono davvero grata, Rocco, di avermelo svelato con questo tuo intervento. Bene, Cosimino non aveva mani nè gambe e alla piccola Raffaella questo non poteva che fare paura, addirittura mettere angoscia. Non era disgusto, intendiamoci, ma una forma poco consapevole data l’età, di ammirazione per quello strano essere che, se non ricordo male, a volte suonava la fisarmonica per strada, altre era semplicemente fermo a chiedere l’elemosina. E io strattonavo la gonna della mamma per chiederle di dargli qualcosa perchè era più sfortunato di noi, perchè sapeva suonare e soprattutto perchè sapeva sorridere. Proprio quel che tu hai colto, Rocco, e lo hai fatto con un’attenzione rispettosa della vera ricchezza umana, spesso indecifrabile sotto sembianze deformi, resa ancor più sacra dallo scontro quotidiano con spaventose povertà d’animo rivestite di fisicità impeccabili. Cosimino, allora, è la prova eloquente che non è quel che appare ciò che vale. Avendo visto per tutti gli anni della mia esistenza quest’omino magico cambiare di poco nel suo aspetto, pur essendo ormai anziano, qualche mese fa mi è venuta un’idea infantile: “Caspita! Esiste ancora ed è uguale a sempre: non sarà per caso un essere divino, magari un Achille senza tallone ma con ancora più forza e immortalità?”
Chi lo sa, spero solo che Cosimino continui a darci ancora a lungo il suo bel sorriso precedendo o ringraziando il nostro, perchè non averlo significherebbe per tutti noi che lo abbiamo incontrato, guardato, commiserato e ammirato, perdere un pezzo della nostra storia, forse quello meno visibile, più scontato, ma certo quello più ‘alto’: l’iniziazione all’amore universale.
Cara Raffaella, anche in questa circostanza sono io a doverti dire grazie per il tuo commento.
Un concentrato di visione puntuale, obiettiva, umana. Ricordi e sentimenti sublimi.