A Muro Leccese si restaura il Sacrificio di Abramo di Liborio Riccio
La vicenda storico-artistica dell’opera
di Giancarlo Brocca e Santo Venerdì Patella
Recentemente sono iniziati, a Muro Leccese, i lavori di restauro della grande tela raffigurante il Sacrificio di Abramo, opera del pittore e sacerdote murese Liborio Riccio (1720-1785), realizzata per la chiesa matrice della sua città natale.
Il quadro è di dimensioni considerevoli: misura quasi 30 metri quadrati, sui quali è campito uno degli episodi più affascinanti dell’Antico Testamento.
L’opera è attestata per la prima volta nel 1754, nell’inventario redatto durante la visita pastorale dell’Arcivescovo di Otranto Mons. Caracciolo.
Si sa invece con certezza che fino al 1768 la tela aveva una collocazione diversa dall’attuale ed era posta dietro l’altare maggiore tra i due grandi quadri di Serafino Elmo: Eliodoro cacciato dal Tempio e La danza di David davanti all’Arca dell’Alleanza.
In una data imprecisata – ma sicuramente dopo il 1768 – il quadro fu spostato nel braccio destro del transetto e corredato da una cornice in legno e stucco, oggi dorata, su cui fa capolino la testa di un moro, stemma della città.
Fin dall’inizio dei lavori, il restauro del Sacrificio di Abramo (così è intitolata l’opera nelle fonti) è sembrato un’occasione propizia per uno studio più accurato sull’opera, che servirà certamente a chiarire numerosi dubbi circa le sue vicende storiche.
Intanto la parte posteriore del quadro ha già rivelato alcune novità: si sono riscontrate due aggiunte nelle porzioni laterali, realizzate nel momento in cui l’opera venne spostata dalla sua prima collocazione. Nella stessa circostanza, la parte superiore del corpo centrale della tela, ossia la più antica, fu ritagliata a forma di centina e si provvide anche a modificare il telaio per adattarlo alla nuova collocazione.
Forse, nei prossimi mesi, ciò che più desterà l’interesse degli studiosi e dei restauratori, sarà l’intervento di pulitura della pellicola pittorica, che certamente promette di riservare molte novità.
Sino a quando lo si è osservato dal basso, posto com’era a diversi metri d’altezza, il quadro risultava abbastanza omogeneo: ora invece, ad un esame ravvicinato, si rilevano delle differenze stilistiche abbastanza evidenti tra il corpo centrale e le due aggiunte laterali.
Queste ultime risalgono a una fase matura dell’artista, di cui se ne riconosce lo stile, mentre la parte centrale, che dovrebbe essere un’opera giovanile, presenta delle affinità stilistiche con la produzione di Serafino Elmo.
Probabilmente il giovane Riccio, all’inizio della sua carriera, prese a modello anche le espressioni del pittore leccese, presente nella sua città già dal 1734, ricordandolo da vicino in alcuni episodi della sua pittura, al punto tale che verrebbe quasi la suggestione di vedere nella parte centrale dell’opera la mano dello stesso Serafino Elmo, autore delle altre due grandi tele alle quali questa faceva compagnia, (si confronti, ad esempio, la figura dell’angelo del Sacrificio di Abramo con una simile eseguita per la tela di Santa Rosa nella chiesa di San Giovanni Battista a Lecce).
Tuttavia, il Sacrificio di Abramo è da sempre attribuito a Liborio Riccio e A. Antonaci sostiene che sia stato commissionato all’artista da parte del Capitolo di Muro nel 1752, senza citare la fonte.
A ogni modo, il pittore ripropose almeno altre due volte il tema del Sacrificio di Abramo: nella chiesa della Purità a Gallipoli e in quella dell’Immacolata a Taviano. Le opere ricordano quella murese nell’impostazione, ma le figure risultano sacrificate per adattarsi alla forma a lunetta delle tele.
Il restauro dell’opera approfondirà certamente la conoscenza circa le vicissitudini storico-artistiche a cui si è accennato, ma l’augurio è che ciò possa accadere senza dover modificare l’ultimo aspetto dato al quadro dal suo stesso autore, il quale lo ingrandì e ridipinse in più parti con l’aggiunta e l’occultamento di alcune figure (come nel caso dell’ariete sulla tela centrale, nascosto da uno strato di colore scuro e riproposto nell’aggiunta al lato destro), per adattarlo al nuovo assetto architettonico e decorativo che la Matrice Murese cristallizzò alla fine del ‘700.
Tali riflessioni, valide per meglio inquadrare l’opera ai fini dell’importante restauro in corso, sono da considerarsi preliminari ad un contributo storico-critico più organico ed esaustivo che sarà possibile realizzare a lavori ultimati.
Però….una bella sorpresa!! Ringrazio gli autori per “non” aver informato i diretti interessati al restauro, che tuttavia hanno permesso di approfondire i dati trasmessi, della pubblicazione di queste interessanti notizie.
Francesca Romana Melodia (la restauratrice non citata)
Credo saranno gli autori a dare risposta per la mancata attribuzione del restauro all’eccellente Francesca Romana Melodia. Noi ignoravamo ne fosse lei l’artefice
i restauratori vengono sempre più ignorati… forse perché a volte si guadagna anche meno che a fare le pulizie, solo per passione…e, si sa, ora in italia vali per quanto guadagni o quanto paghi e non per quanto sei meritevole… e se “meriti” lo riconoscono solo all’estero… comunque, a parte questo sfogo, complimenti a Francesca Romana Melodia!
Questo articolo è stato preparato con lo scopo principale di informare tutti coloro che hanno a cuore la Storia dell’Arte, specie chi è, nei vari ambiti, a diretto contatto con le opere; di conseguenza avremmo cortesemente provveduto a fornirne una copia ai diretti interessati ad avvenuta pubblicazione (cogliamo l’occasione per ringraziare Marcello Gaballo che ci ha gentilmente ospitati in questa sede).
Ci scusiamo sinceramente per aver urtato, senza malignità alcuna, la sensibilità della restauratrice, non avevamo di sicuro l’intento di trascurare il suo nome nell’articolo (la nostra ricerca mira a dare un contributo iniziale alla conoscenza storico-artistica dell’opera in questione, senza entrare nel merito della tecnica e della qualità del restauro, per le quali Francesca Romana Melodia ha tutta la nostra stima).
I dati trasmessi dalla pubblicazione sono frutto di nostre personali e gratuite ricerche, e risultano supportati da indagini bibliografiche, documentarie e da analisi visive dello stato di fatto dell’opera, ancor più nel periodo in cui questa è stata rimossa dalla sua collocazione, e poco prima di essere sottoposta all’intervento di restauro vero e proprio.
A questo punto, ci sembra doveroso ringraziare il Parroco di Muro Leccese, Don Remo Esposito, vero artefice di tutta l’iniziativa, che si sta prodigando con passione per la buona riuscita dell’oneroso ed importante restauro, anche con una raccolta fondi tra i cittadini muresi; a tal proposito cogliamo l’occasione per sensibilizzare tutti gli estimatori dell’Arte Salentina a dare, se possibile, un proprio prezioso contributo.
Gli autori.
…io mi concentrerei sul quadro, non sulle polemiche: complimenti agli autori dell’articolo, hanno messo in luce novità interessanti su un’opera di grande interesse storico-artistico. Il ‘700 è proprio un secolo da riscoprire!
Diciamo ” complimenti a tutti ” ognuno fa la sua parte, il restauro di una rilevante opera si accompagna sempre e necessariamente da una ricerca storico artistica, pertanto “bravi tutti” e lavoriamo sempre in tandem.
Mi complimento con gli autori dell’articolo che hanno dato grande risalto all’opera e al restauro della stessa,…peccato pero’ che l’abbiano “vista” e “notata” solo quando qualcuno ha preso l’iniziativa di salvare concretamente il dipinto e non solo con le belle parole ma con tutta una serie di iniziative finalizzate al raggiungimento dell’ unico obiettivo comune : “Risalvare Isacco”. Si è dato risalto ai due nomi degli stessi autori dell’articolo sorvolando sul nome della restauratrice ( scusate se era la protagonista ! ) che giustamente ha espresso il suo rammarico e non” informando” la gente che tutto è stato possibile anche e soprattutto con il supporto di persone( che non cercano di sicuro le luci dei riflettori ma che meritano almeno di essere menzionate come “persone” in generale ) che hanno concretamente messo il loro impegno per restituire alla cittadinanza una parte della sua storia artistica. Quando si informa la comunità bisogna farlo in maniera completa ,altrimenti magari …meglio non farla.
Un saluto a tutti.
Gli avvocati e anche i comuni mortali che non amano i riflettori si qualificano con nome e cognome…
Armando Polito