di Alessio Palumbo
Vi è capitato mai di desiderare profondamente qualcosa per poi, all’atto pratico, avere una gran paura per la sua realizzazione? È una sensazione strana, non semplice da descrivere, ma forse si può essere più chiari con un esempio concreto.
Il mio paese (Aradeo), come scritto da Giovanni Marchese “ha avuto, grazie a vecchi e nuovi vandali, la iattura di vedere distrutto quasi per intero il suo patrimonio storico e artistico [..] in quanto delle antiche chiese di San Nicola, SS. Crocifisso, Spirito Santo, Santa Caterina, Madonna di Costantinopoli, Madonna delle Grazie (nel palazzo D’Acugna), san Trifone […] non rimangono che sbiaditi ricordi tramandatici da antiche carte miracolosamente scampate a tale barbarie” (G.Marchese, Cento anni nella nostra storia, Galatina, Editrice-Salentina, 2009, p.10). Un paese, dunque, “artisticamente sfortunato”. Talmente iellato da non avere, in molti casi, neppure una memoria fotografica delle sue antiche bellezze. Della vecchia chiesa madre, tanto per fare un esempio, esistono solo alcune fotografie dei lavori di abbattimento oppure degli scorci da lontano.
Tra i pochi monumenti sopravvissuti alla furia devastatrice di alcune amministrazioni comunali ed al generico disinteresse degli aradeini per la propria storia, c’è la torre dell’orologio. Un esemplare appartenente ad una tipologia non molto diffusa nel Salento, quella delle torri collocate “sulla porta urbica a ridosso della quale si è sviluppato il nuovo spazio pubblico ottocentesco” (G.Rossi, Strutture architettoniche degli orologi pubblici di Puglia, in I beni culturali: tutela e valorizzazione, gen/feb, 2001). Ad Aradeo nel XIX secolo si decide dunque di costruire, sulla porta d’accesso alla città vecchia, una torre dell’orologio, con il quadrante rivolto verso la zona nuova. L’edificio è completato e rifinito ad inizio secolo. Sulla sua facciata sono posti i simboli religiosi e civili del paese: lo stemma comunale e la statua di San Nicola. Da allora l’orologio ha segnato le ore, liete e meno liete, della comunità; è stato spettatore disattento delle piccole quotidianità e degli episodi notevoli della vita cittadina svoltisi nella piazza dirimpetto; ha sentito i rumori degli abbattimenti vandalici alle sue spalle; ha visto crescere il numero di case e di edifici di fronte a sé. Dunque, come detto sopra, è sopravvissuto, più o meno integro, ad oltre un secolo e mezzo di storia cittadina. Una sopravvivenza non proprio indolore, se si pensa ai maltrattamenti di cui è stato oggetto assieme alla porta urbica. Come definire altrimenti gli obbrobriosi rivestimenti in piastrelle (rosse per la torre, grigie per la porta)?
Detto ciò, mi riallaccio al discorso iniziale. Per anni ho desiderato che quel rivestimento in piastrelle fosse levato, per riportare la torre al suo aspetto originario. Ho scritto articoli (La Torre dell’Orologio: una promessa dimenticata?, Belpaese, 18/10/2009), ne ho parlato il più possibile, ed ora il “sogno” si è realizzato. Durante i lavori ho più volte pensato a come un restauro sbagliato avesse potuto definitivamente compromettere l’edificio e così, pochi giorni prima della fine degli interventi, spinto dal timore e dalla curiosità, ho dato una sbirciata tra i teloni e le impalcature. Sembrava tutto molto bello e ben fatto. Un’impressione confermata ad inaugurazione avvenuta. Oggi, con un bel sospirone di sollievo, posso dire che la torre è tornata all’antico splendore.
Non c’è che dire, il restauro sembra fatto a regola d’arte. Una piccola pecca, probabilmente, è costituita dall’illuminazione serale, un po’ eccessiva, ma forse è solo necessario farci l’abitudine. Permangono infine alcuni dubbi. I vecchi congegni sono stati sostituiti da un sistema elettronico. Avranno avuto l’accortezza di conservarli? Inoltre, sul lato destro della porta urbica, era incassata una vecchia lapide dedicata ai caduti in guerra. È stata conservata? Dove verrà riposizionata? Sono forse delle piccolezze, ma, dopo anni di iattura, perché non sperare in un restauro completamente fortunato?
Sono stato ad aradeo e la torre era un punto di riferimento. Bella e utile.