Riceviamo e volentieri pubblichiamo il corposo dossier inviatoci come comunicato stampa dal Coordinamento Civico apartitico per la Tutela del Territorio e della Salute del Cittadino. Tantissime le richieste avanzate, evidente conclusione di un lavoro a monte che ha visto impegnati numerosi e attenti custodi del paesaggio salentino, sempre più minacciato da tutti i fronti
Il Parco Otranto-Santa Maria di Leuca sia un baluardo per la rinascita e la difesa di tutto il Salento, da trivellazioni, energie rinnovabili industriali eolico-fotovoltaiche e dal cemento!
E il ritorno della Foca Monaca lungo le sue coste suggelli a lungo termine il successo delle politiche e degli investimenti di denaro pubblico del Parco naturale!
Sono queste alcune delle prioritarie richieste, che sono state avanzate all’ Ente del Parco naturale costiero Otranto-Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase, dal Coordinamento Civico per la Tutela del Territorio e della Salute del Cittadino, rete d’azione apartitica coordinativa di associazioni, comitati e movimenti locali e non, ambientalisti, culturali e socio-assistenziali, avente una delle sue sedi principali a Maglie, in occasione dell’incontro programmatico-consultivo, dell’altra sera, nel Castello di Andrano, della consulta di enti pubblici e associazioni che hanno a cuore le sorti e le politiche del neo-istituito Ente Parco!
In questa prima fase importantissima di definizione costruttiva, e solidale tra tutti, degli indirizzi e della filosofia che devono ispirare il nuovo Parco, i rappresentanti del Coordinamento hanno esordito con un’immagine ed un obiettivo al contempo ambizioso quanto doveroso: tra gli obiettivi principali, tra i sogni concreti e realizzabili, cui il Parco deve mirare e perseguire, dal punto di vista naturalistico, vi è il ritorno della Foca monaca, scomparsa da alcuni anni pare ormai quasi del tutto, eccezion fatta per occasionali avvistamenti, da quelle coste ora protette, che con i loro arenili, le loro calette, i loro scogli, e con le loro grotte marine sono l’habitat ideale per la foca del Mediterraneo (Monachus monachus), ancora presente con alcune colonie sulle coste della Penisola Balcanica, delle isole greche e lungo le coste anatoliche e nord-africane!
Da qui la specie tende naturalmente a ridiffondersi nel Mediterraneo, ma con grande difficoltà a causa principalmente dell’uomo, della selvaggia antropizzazione e dell’inquinamento lungo le coste! Si tratta di un preziosissimo mammifero che corre oggi il serio rischio di estinzione, e che ha subito incivili mattanze e stermini ad opera dei pescatori per qualche pesce che la foca rubava dalle reti!
Le coste del Salento ricche di calette e grotte marine semisommerse, sono l’habitat tipico della Foca monaca (Monachus monachus), la rarissima, oggi, foca del Mediterraneo; un relitto vivente dell’ultima Era Glaciale. Era molto frequente nel Salento nel recente passato, e numerosi avvistamenti un po’ dappertutto lungo le nostre coste, sia nel Golfo di Taranto, sia nel Mar Ionio, nel Canale d’Otranto come in Adriatico, attestano che la specie non si è mai localmente estinta. Così numerosi avvistamenti in tutto l’Adriatico come nel Mare Ionio negli anni e mesi recenti, fanno sperare in una ripresa della specie. Massimo deve essere pertanto il nostro impegno perché questo irrinunciabile mammifero della fauna del Salento possa riappropriarsi delle sue antiche coste e vivere e riprodursi numeroso e indisturbato pur se accanto all’uomo. Nel Salento, i parchi istituiti lungo le coste devono divenire la culla di una delle più floride e ricche colonie di Foche monache di tutto il Mediterraneo, una delle oasi-basi di partenza per il ripopolamento dell’intero Mare nostrum.
Questo lo sforzo prioritario che tutti gli amanti della natura, le istituzioni, gli studiosi e tutti i cittadini devono sostenere. Questo lo scopo immediato a breve termine: quello della ricostruzione di un rapporto col mare che sia equilibrato e saggio, un rapporto che si è alterato e quasi del tutto perduto nella nostra contemporaneità! Il ritorno delle Foca monaca nel Salento deve essere il simbolo, ed il premio per la nuova cultura e per la nuova politica del territorio, che nel recupero delle ricchezze perdute, paesaggistiche e naturalistiche, persegue, nella modernità, la costruzione di un rapporto veramente armonioso tra uomo e natura!
Una ricchezza di biodiversità che oggi deve essere riacquisita dal Salento; un ripagare le offese compiute dall’uomo ai danni di questa specie, proprio attraverso il perseguimento oggi di politiche ambientali volte a favorirne il suo naturale fisiologico ritorno, iniziando dall’instaurazione di scambi scientifico-culturali tra l’Ente Parco e quei gruppi di ricerca che in Grecia, Nord Africa e nella Penisola Anatolica, come nei territori dell’ ex-Jugoslavia sono impegnati in prima linea nello studio e nella difesa di queste specie relitta nel Mediterraneo! Un ritorno che si aggiungerà a quello altrettanto felice avvenuto da pochi anni lungo le coste salentine, e costituito dalla nidificazione sulle nostre spiagge della tartaruga marina della specie Caretta caretta!
Il ritorno della Foca monaca lungo le coste del Parco, che tutela proprio uno dei tratti di costa italiani maggiormente ideali per la vita di questo mammifero marino pinnipede, (come attestato dagli innumerevoli avvistamenti ancora nei decenni, e forse anche di recente da parte di alcuni pescatori, e dalla toponomastica costiera in cui echeggia il richiamo alla originaria presenza di colonie di Foca monaca, bue marino comunemente chiamata anche), non è un sogno irrealizzabile, ma quella giusta realpolitik ambiziosa ed audace, che permetterà davvero al Parco di distinguersi e di spiccare a livello internazionale scientifico e di eco-turismo attento e consapevole.
Ma non solo, il raggiungimento di tale nobilissimo obiettivo, il ritorno della nostra autoctona Foca monaca, signora naturale di quella costa, dopo decenni di incivili ignoranti mattanze, sarà la conferma che l’Ente Parco ed il sistema Salento tutto, saranno stati in grado di mettere in atto tutta una serie di azioni e investimenti, a partire dai già tantissimi 18 milioni di Euro, ad oggi già stanziati dalla Regione Puglia, per il Parco, in progetti seri e validi negli anni, orientati davvero all’ambiente e al raggiungimento del migliore equilibrio uomo-natura; dalla qualità delle acque sversate in mare (discorso depuratori!), all’azione di decementificazione della costa, alla bonifica di siti inquinati, all’allontanamento di ogni ipotesi industrializzante lungo la costa ed in mare, ecc.!
Soldi dunque ben spesi e non l’ennesima inutile pioggia di nostri denari pubblici sperperata nei meandri delle amicizie politico-imprenditoriali e per costruire opere infrastrutturali inutili e devastanti per l’ambiente, come in alcune realtà parco è già avvenuto purtroppo in Italia!
Il valore ideale e simbolico del ritorno della Foca monaca, funge da test tramite cui tutti potremmo giudicare senza errori e lo stesso Ente Parco potrà così soppesare le iniziative da finanziare e quelle da cestinare e defenestrare subito,evitando di dirottare soldi pubblici pro-ambiente in direzioni tutto meno che legate all’ecologia vera, che è solo quella fatta di recuperi paesaggistici, biodiversità, bonifiche e rinaturalizzazioni!
Dal Coordinamento è giunto l’invito a evitare il ricorso forzato al termine e alla filosofia della “fruizione”, del rendere “fruibile” il Parco, che è già iper-visitabile ed iper-servito da strade e stradine ben percorribili, come anche altre associazioni volte alla diffusione dell’uso della bicicletta hanno ampiamente rimarcato nella medesima sede dell’ incontro ad Andrano!
Dietro tale termine, “fruizione”, si sono spesso celati interventi inutili, quando non anche dannosi per il paesaggio, di apertura di nuove strade e costruzione di nuovi immobili, un’indecenza praticamente, ed un errore voluto, sperperativo-clientelare, che questo nostro Parco deve evitare assolutamente a monte!
Solo per citare uno degli esempi più paradossali della follia di certi progetti di pista ciclabile, che diventano inutili e dannosi, per cui ora massima è la nostra attenzione sull’argomento: recentemente il Coordinamento è dovuto intervenire per evitare che si portasse a compimento un folle progetto di tratto di pista ciclabile finanziato dalla Regione Puglia, che i progettisti locali avevano previsto doveva prendere esattamente il posto di ben 21 enormi stupendi Pini domestici in un’area belvedere della periferia del Comune di Nociglia, che guarda verso il Parco dei Paduli! “Via gli alberi antichi sani e belli, che già fanno tanta piacevole ombra ai ciclisti, deve passare la pista ciclabile al posto del marciapiede che li ospita, accanto ad una strada a bassissimo traffico e molto larga!”. Sembrano situazioni paradossali e da barzelletta, eppure sono incredibili comuni fatti veri della nostra contemporaneità tecnico-urbanistico-amministrativa del Salento! L’intervento della nuova amministrazione di Nociglia, per la cronaca, dopo mille sollevazioni popolari, con arrivo di associazioni persino dal tarantino e appelli alla ragione da tutt’Italia, per difendere quegli alberi, ha scongiurato questa purissima follia!
Per tale motivo dal Coordinamento è giunto l’appello perentorio a perseguire categoricamente in ogni intervento del parco la filosofia del restauro dell’esistente, nel massimo rispetto e recupero delle tecnologie, dei materiali, e degli stili locali tipici del Genius loci del Salento! L’uso dell’architettura del muretto a secco, l’uso del legno al posto del metallo, nella cartellonistica, come nell’illuminazione! La riduzione ai minimi termini, fino alla sua scomparsa, quando possibile, del cemento!
Anche quest’ultima, l’illuminazione notturna, non può essere lasciata all’estro modernizzante di qualche architetto anacronistico, o designer neo-arrivato e futurista, ma deve essere rispettosissima del paesaggio e delle sue suggestioni storico-naturali, e poetico-pittoresche, deve adeguarsi a soluzioni illuminotecniche che privilegino le soluzioni calde, piacevoli e rilassanti che esaltino la godibilità dei luoghi, e non facciano invece rifuggire via da essi per freddezza dei toni cromatici scelti e/o per “effetto abbaglio”!
Così la richiesta categorica di evitare qualsiasi intervento di eccessiva illuminazione dei percorsi naturalistici, o ciclabili, e non solo, evitando gli orrori già visti lungo piste ciclabili nella zona Lecce-San Cataldo, ad esempio, con orridi sequele di pali ciascuno illuminato da un orrido pannello fotovoltaico, alla mercé di ladri che han fatto incetta nei mesi di quei pannelli hi-tech dissonanti col contesto, vanificandone il funzionamento, ma d’altro canto contribuendo al disfacimento di quelle brutture!
E tutte queste nostre premura, sia per motivazioni estetiche diurne, ma anche notturne, per la crescente domanda di azzeramento dell’ inquinamento luminoso verso il cielo, che degrada il godimento e la percezione-visione del cielo stellato, che l’ UNESCO sta per dichiarare patrimonio mondiale dell’ umanità!
E proprio lungo la costa Otranto-Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase, come nell’altro neo-istituito importantissimo Parco naturale dei Paduli-Foresta Belvedere, gli asfrofili salentini hanno individuato i luoghi dove migliore è la contemplazione del cielo notturno, del firmamento, nel basso Salento, grazie alla minore urbanizzazione ed infrastrutturazione, tanto che per questi due parchi si vuole richiedere e perseguire anche la qualifica meritata di “parchi delle stelle” previsti dalla Comunità Europea! Luoghi dove minimo sia l’inquinamento luminoso e massima la godibilità del cielo ad occhio nudo e/o con l’uso dei telescopi più o meno professionali.
Da qui, e non solo per questo, la richiesta del Coordinamento all’Ente Parco di intervenire presso la Regione perché fermi ogni concessione all’immenso progetto di impianto eolico off-shore a largo di Tricase, di 24 complessive mega torri rotanti, alte oltre 100 metri ciascuna, che trasformerà l’orizzonte notturno del mare visto dalla costa del Parco in una sequela lunghissima di luci rosse di segnalazione per evitare l’impatto degli aerei e delle navi, che si accendono e spengono in continuazione! Uno stupro intollerabile, come intollerabile la loro prevista vista all’orizzonte, nonostante la distanza, anche di giorno, e il loro danno atroce nei confronti degli uccelli marini e migratori, dai gabbiani, alle berte, gli uccelli delle tempeste, queste della colonia delle Isole Tremiti, una delle più importanti nel Mediterraneo, che pare abbiano proprio nel Canale d’Otranto, da studi scientifici effettuati e citati dalla stessa Regione Puglia nei suoi atti in merito al progetto, la loro principale zona di alimentazione! Un impatto che si estende, divenendo dagli effetti catastrofici, ai tantissimi uccelli migratori che attraversano il Canale d’Otranto, uno stretto tra il mare Ionio e quello Adriatico! L’Ente parco non può disinteressarsi di questi progetti che ne ledono il suo paesaggio a 360°, e così deve preoccuparsi dell’arrivo sani e salvi degli uccelli, che dopo la traversata trovano sulle sue coste l’atteso riposo, per cui anche il parco stesso è stato istituito, ed assume importanza avifaunistica internazionale!
L’importanza internazionale del Canale d’Otranto per le rotte migratorie degli uccelli di tre continenti, tra Penisola Balcanica e Penisola Italiana, fu ribadita e sancita anche nella Conferenza internazionale di Ramsar in Iran del 1971, sottoscritta anche dall’ Italia! Il parco non può disinteressarsi di questo e non può permettere che gli uccelli giungano feriti, quando non già macabramente cadaveri, trasportati dalle correnti sulle sue coste, dopo l’impatto con le pale off-shore in alto mare, e non invece vibrandosi, come nella loro natura, nell’aria del cielo ad ali spiegate!
Per questo si è chiesto anche che il Parco inviti tutti i suoi comuni a tirarsi fuori dall’ubriacatura speculativa delle energie rinnovabili industriali di eolico, falcidia-uccelli e stupra paesaggi, pace e salubrità dei luoghi nel raggio di chilometri e chilometri, e del fotovoltaico industriale, che vetrifica, quando non desertifica anche artificialmente i campi, inquina anche con i diserbanti e solventi terra e acque potabili di falda, ed annichila suoli naturali agricoli e pascoli senza pietà, cancellandone la biodiversità e ogni preesistente sentore di “ruralità” e “naturalità”; un crimine contro l’ambiente e l’umanità ormai ampiamente smascherato ormai ad ogni livello, politico, sociale, economico-finanziario e giudiziario! Impianti intollerabili ed inconciliabili col Salento, che stanno massacrando il Salento stesso nelle sue aree naturali e rurali; stanno distruggendo il nostro paesaggio quotidiano, libro aperto al cielo della nostra memoria e fonte di benessere psico-fisico, tra l’indignazione e le proteste crescenti e sempre più inarrestabili della gente!
L’Ente Parco deve intervenire pertanto presso la Regione ed il Governo, come già fatto da tanti enti e associazioni e comitati, perché siano fermati con una “moratoria urgente” tutti questi progetti eolici e fotovoltaici industriali, perché i soli impianti consentibili siano quelli dei pannelli fotovoltaici posti sui tetti delle tantissime strutture recenti, e perché si apra finalmente l’attesissimo capitolo della valutazione attenta degli impianti in cantiere o già follemente lasciati completare, ed il loro smantellamento in presenza di irregolarità (e tantissime ve ne sono che basta cercarle anche solo superficialmente!!) con ripristino dello stato dei luoghi!
Di questi progetti poi, tre progetti eolici per 20 mega torri eoliche, di 125 metri d’altezza ciascuna, previste sulla Collina mitologica dei Fanciulli e delle Ninfe (nei feudi di Giuggianello, Palmariggi e Minervino di Lecce), scandalo di valenza internazionale, mettono a rischio lo skyline nell’entroterra di Otranto, il cui borgo è stato insignito del titolo di patrimonio UNESCO, e il cono visuale di Torre Sant’Emiliano. Nonostante quest’ultimo sia stato ufficialmente protetto nelle Linee Guida sulle rinnovabili Regolamento Regionale n. 24 del 30 dicembre 2010, e nonostante questi progetti eolici siano tali da dover essere fermati alla luce anche di questo regolamento, per la loro ubicazione entro un raggio di 10 km dalla monumentale Torre, oltre che alla luce di mille altri vincoli, interferenze con valori preesistenti, e del buon senso, né la Regione ha mosso un dito per ritirare le autorizzazioni vilmente concesse, né l’Ente Parco si è ancora espresso a salvezza di questo importante paesaggio, che non può essere mortificato da una enorme corona di spine eternamente rotanti e sporche del sangue di centinaia di volatili, come tristemente confermato da innumerevoli studi e dati di fatto sul grave impatto ambientale di questa tecnologia eolica! Una crocifissione hi-tech che stava minacciando nel nord della Francia anche il sito UNESCO di Mont Saint-Michelle, ma contro tale prospettiva eolica industrializzante l’UNESCO è stato mobilitato dagli enti locali ad intervenire, come ha fatto contro tale nefasta ipotesi! Lo stesso deve avvenire per Otranto e per Torre Sant’Emiliano, che costituisce certamente il più bel paesaggio del Parco Otranto-Leuca, incontaminato a 360°, e dalle suggestioni preistoriche uniche, anche per la presenza del santuario-cattedrale pittorica del neolitico, della Grotta dei Cervi aperta sulla cala di Porto Badisco! Il Salento ed i suoi siti UNESCO, e non solo, non sono figli di un Dio minore!
Il Coordinamento si affianca all’appello lanciato dal Museo di Maglie, perché sia riconosciuta patrimonio UNESCO dell’Umanità anche la Grotta dei Cervi di Porto Badisco, e aggiunge, con tutto il suo cono visuale circostante fondamentale paesaggisticamente e ricco di testimonianze preistoriche diffuse ed erratiche, e si augura che anche l’Ente Parco voglia sostenere e portare aventi questa importante richiesta, se già non lo abbia fatto!
Il Coordinamento ha chiesto poi all’Ente Parco di intervenire con forza presso il Governo ed il Ministero dell’Ambiente perché sia posta fine ad ogni ipotesi di ricerca degli idrocarburi in mare con gli airgun, potenti esplosioni per le geo-prospezioni, che, ne sono ormai convinti tantissimi ricercatori, sono stati la causa della morte dello spiaggiamento di 9 Capodogli sugli arenili costieri del Gargano, la notte tra il 10 e l’11 dicembre del 2009, sette di essi ne trovarono lì la morte. Ricercatori greci, che li hanno analizzati, hanno fatto sapere che si trattava di una colonia di Capodogli (Physeter macrocephalus ), ad essi ben nota, che viveva proprio nel Canale d’Otranto e nel Mare Ionio, tra Italia e Grecia, ben studiata e monitorata da questi zoologi marini della Grecia. La causa dello spiaggiamento, dagli esiti poi mortali, è stato lo stordimento del capobranco a seguito di queste esplosioni, che in quel periodo pare si stavano compiendo al largo del Salento da parte di ditte autorizzate, con il suo conseguente disorientamento fino allo spiaggiamento sulle coste dell’alta Puglia! Tutto questo dato che i capodogli hanno un sistema di orientamento e di eco-localizzazione basato proprio sulle onde acustiche.
Un patrimonio ambientale anche salentino, dunque, rappresentato da quei grandi cetacei, devastato in nome della ricerca degli idrocarburi, che mettono a rischio, con il loro tentato prosieguo tutto il grande patrimonio di cetacei dei mari del Salento! Misterioso anche il ritrovamento del cadavere di un delfino Stenella, lungo la costa, il 20 agosto scorso a San Foca (Melendugno), a nord di Otranto, in un tratto costiero pare soggetto a valutazioni geologiche, proprio in quei giorni, per l’ipotesi di un progetto di impattante gasdotto!
Ma ovviamente dall’Ente Parco si chiede non solo un No agli airgun, ma anche e soprattutto, un fermo fortissimo invalicabile No ad ogni ipotesi di trivellazione per l’estrazione di petrolio nei mari del Salento (come sulla sua terraferma!). L’avvio di tali attività estrattive, indipendentemente dalla loro distanza dalla linea di costa, (e nel caso in questione le distanze sarebbero pure minime, di poche migliaia di metri), in un mare chiuso, quale è il Mare nostrum, non può assolutamente essere considerato come un evento fuori dalla giurisdizione del Parco; il rischio concreto e altissimo di incidenti con conseguente mare-nera sulla costa, e lo scarico continuo in mare di sostanze inquinanti, che è industrialmente fisiologico durante l’attività estrattiva, non sono compatibili con il concetto stesso di Parco, che in presenza di tali attività al largo diventerebbe un “parco buffonata”, che non possiamo tollerare; un parco “specchietto per allodole”, (anch’esse, le allodole vere, a rischio, se non si fermerà il mega eolico ed il fotovoltaico che ne cancella le steppe mediterranee, protette dalla Direttiva Habitat 92/43 CEE, loro tipico habitat presente nel parco, come in tutto il Salento!), una cassa vuota e senza fondo in cui sperperare denari pubblici senza veri benefici per l’ambiente e per la popolazione salentina e la sua economia turistica di qualità, vanificata, cancellata, sepolta in tal modo da un’ appiccicaticcia coltre di nerissimo catrame! Si sta parlando della vita stessa e dell’essenza del Parco dunque, non di una questione fuori dalla sua giurisdizione, sulla quale l’Ente Parco deve esprimere il suo pieno dissenso!
Si aggiunga poi anche il rischio sismico (con possibili anche conseguenti tsunami in mare), che recenti studi attribuiscono all’attività estrattiva di idrocarburi, in una zona già critica, il Canale d’Otranto, dal punto di vista sismico, e per i maremoti, (l’ultimo terremoto di notevole devastante mortifera entità risale al 20 febbraio del 1743, con maremoto ed epicentro in mare, tra il Salento e le isole greche; un evento tellurico ampiamente studiato dal Professor Paolo Sansò, geologo dell’ Università del Salento, che ne ha studiato e ritrovato anche i cataclismici resti macrolapidei, proprio sulla costa di Torre Sant’Emiliano; oggi un sito costiero segnalato non a caso tra i geositi del Salento, i siti di maggiore rilevanza geologico-scientifica da tutelare).
Così il Parco non si può disinteressarsi dell’arrivo di enormi pericolosi gasdotti dalla Penisola Balcanica ad Otranto, altamente impattanti sia sul fondale marino, ricco di praterie della protetta Posidonia oceanica, da proteggere, e non solo, sia sulla terraferma per le notevoli attività di scavo, sia sulle popolazioni per le sue nocive emissioni di gas e per la sua intrinseca esplosiva pericolosità, ma deve esprimere riserve, pareri negativi! Allo stesso modo il Parco deve intervenire criticamente e con suggerimenti, secondo filosofie di riduzione e mitigazione degli impatti, e di ridimensionamento, per i progetti di allargamento dei porti, come quello di Otranto e di Tricase, e non astenervisi solo perché le aree interessate ricadono fuori dall’iniziale confine del parco!
L’impatto di quelle infrastrutture, sia solo dal punto di vista visivo, quando non anche d’altro tipo, è sul Parco: basti pensare, ad esempio, alla variazione delle correnti marine costiere, a causa dei nuovi bracci di porto, con effetti diretti sulla costa rientrante nel Parco naturale, in questa che è solo l’iniziale sua delimitazione da allargare! Nuovi bracci di porto, e nuovi moli, che come pare nel caso del progetto otrantino di allargamento del porto, potrebbero portare anche alla distruzione di giacimenti archeologici subacquei ben noti, con gravi colpe dunque della Soprintendenza preposta istituzionalmente alla loro massima tutela!
Il Parco poi non può ancora essere visto come organismo definito dai confini inflessibili. I confini attuali devono essere considerati primi baluardi, che non possono essere assolutamente messi in discussione in termini di una riduzione della zona già protetta. Essi devono essere considerati invece come confini da estendere ampliando l’area parco, includendovi tutte quelle zone che nella prima istituita delimitazione sono ingiustamente e paradossalmente rimaste fuori, nonostante la loro elevatissima valenza ambientale e paesaggistica, per una miopia e per intenti speculativi degli enti pubblici amministrativi locali!
Tra queste aree, che l’Ente Parco deve chiedere alla Regione Puglia ed ai comuni competenti di includere con urgenza nel Parco, vi sono, solo per citarne alcune, ma l’Ente Parco ne ha già certo una visione migliore è più completa, Masseria Cippano, che ricade nel cono visuale di Torre Sant’Emiliano, e oggi assurdamente fuori dal Parco, pur essendone una sua fisiologica cartolina famosissima! Il complesso storico-rurale dell’antica masseria fortificata rientra nel feudo di Otranto. Pare vi siano preoccupanti progetti per una sua trasformazione in un centro, non ben chiaro, di ristorazione?! Ma è proprio il fatto di averla voluta tenere fuori dal Parco ad hoc, che desta di conseguenze le maggiori preoccupazioni, e fa guardare con ancora più preoccupazione ad ogni ipotesi d’intervento, che non sia meramente restaurativo-conservativo sulla stessa!
Allo stesso modo importanti aree costiere nel feudo di Corsano, con alte valenze storiche e paesaggistiche, che ci sono state segnalate, e che sono ancora preoccupantemente fuori dal Parco e a rischio di cementificazione selvaggia per speculazioni edilizie in folle progetto, sebbene di diritto zone da includere nel Parco!
Ed in fine, il caso scandalo maggiore, al centro delle cronache nazionali di questi mesi, per enormi speculazioni ricettivo-turistiche ed edilizie, e che ha suscitato una crescente inarrestabile mobilitazione popolare trasversale di pacifista protesta, quello di Santa Cesarea Terme, dove si volevano riesumare piani regolatori scaduti ampiamente, e del secolo scorso, per cementificare immense aree rocciose selvagge a macchia mediterranea, ubicate a sud e a nord del paese, e di altissima valenza paesaggistica costiera, ma volutamente e artatamente tenute fuori dal parco!
Il caso del ben famoso ormai Comparto 13 a sud del paese, del Comparto 14, ecc., e la zona di Villaggio Paradiso a nord del centro abitato di Santa Cesarea e nel cono visuale di Torre Minervino, Porto Badisco e Torre Sant’Emiliano! Aree dove il Parco deve intervenire, al fianco dei tantissimi comitati ed associazioni che si stanno mobilitando per fermare la pazzia delle ruspe in quelle bellissime zone, perché diventino, come di loro naturale diritto, aree del Parco! Non manca il coraggio e la forza dei salentini a tutela di questi luoghi e di tantissimi anche extra-salentini in mobilitazione continua a difesa di quelle amate rupi dallo scempio annunciato! Serve ora che gli enti preposti alla tutela del territorio recepiscano tale forte messaggio e mettano in atto quegli atti formali atti a salvare e a tutelare davvero il territorio, contro quelle masnade di pochi speculatori, ma dalla grande dannosità paesaggistica!
Così l’Ente Parco non può esimersi dal chiedere l’ intervento della Magistratura, della Procura, per appurare come sia stato possibile compiere quello scempio scandaloso sotto gli occhi di tutti, e che non pare addirittura volersi arrestare, ai danni di Porto Miggiano, della sua insenatura, dove vi è un assurdo progetto di porto, della sua falesia, e delle zone del Comparto 19, devastate nei mesi scorsi da interventi edilizi e infrastrutturali turistico-ricettivi a beneficio di privati, sulla pericolosa falesia, in barba spregiudicata alla Legge Galasso, e oggi pare anche ai danni, nelle intenzioni, degli spazi posti intorno alla monumentale Torre icona di Porto Miggiano!
Un’altra fondamentale cartolina del Parco, la zona di Porto Miggiano, nel Comune di Santa Cesarea, che che se ne dica, eppure tenuta fuori dai confini di un Parco, che stante questi dati, è un parco monco, ad oggi, degli arti, e dei suoi organi costiero-paesaggistici dunque più importanti! Arti, organi che devono essere riconquistati al Parco, dall’Ente Parco perché il parco possa essere davvero, perché possa vivere sul serio!
Porto Miggiano rappresenta una gravissima ferita al Paese Italia, al suo diritto, che deve essere risanata attraverso la demolizione degli obbrobri lì edificati in fretta e furia, ed il ripristino dello stato dei luoghi, con loro restauro naturalistico-paesaggistico, ed il ripristino della loro pubblica gratuita fruizione!
Il Parco deve intervenire nelle piccolezze, come nelle questioni più importanti!
Deve fare minimizzare o azzerare del tutto ad esempio la cartellonistica pubblicitaria invasiva lungo le sue strade. Ecc.
Pertanto, non si può tollerare che col cemento si offenda una delle strade più belle del mondo, quale quella litoranea posta poco fuori di Santa Cesarea verso Porto Badisco, che corre lungo curve mozzafiato tra i Pini d’Aleppo, dove la vecchia bella paratia in pietra, è stata sostituita da un orrido muretto cubista a linea spezzata in puro cemento, negli scorsi mesi! Anche lì, l’Ente Parco deve muoversi, con spirito costruttivo e riparatore, suggerendo ora al Comune di intervenire urgentemente per sostituire o schermare con copertura in pietra grezza a secco, o con guardrail rivestito in legno, (come in altri tratti della litoranea di Santa Cesarea effettuato), quell’orrida bordura-paratia in cemento! E’ intollerabile lì quel colpo nell’occhio, apparso nei mesi scorsi, che tanti turisti e non hanno denunciato anche su facebook! L’Ente Parco deve essere pronto anche a fare la voce la grossa contro la Soprintendenza ai Beni Culturali, Paesaggistici, Architettonici ed Archeologici, laddove e quando essa appare assente, debole o fallace, come purtroppo spesso già avvenuto ai danni del nostro territorio!
Deve aprirsi la fase delle demolizioni degli abusivismi, della de-cementificazione della costa e dell’entroterra, della saggia de-asfaltamento delle strade secondo il “modello Montefeltro” delle stradine di campagna in sterrato; dedali di asfalto non possono fagocitare tutto il paesaggio, e dell’asfalto i comuni fanno spesso purtroppo un uso eccessivo e dannoso, specialmente poi laddove l’asfalto è andato a coprire vecchie strade carrarecce con gli antichi segni dei solchi plurisecolari scavati dalle ruote dei carretti, o strade romane o medioevali in ciottoli, da riportare alla luce assolutamente laddove possibile!
E questo nostro Ente Parco deve essere protagonista di tale nuovo processo; deve individuare aree degradate da bonificare dal cemento e da altri inquinanti, da de-cementificare e da rinaturalizzare, da rimboschire!
Gli scheletri arrugginiti di cemento di edifici mai completati fortunatamente nella zona di Villaggio Paradiso, nel feudo di Santa Cesarea, devono essere tra i primi ad essere demoliti, già nei prossimi mesi, per richiesta precisa da parte del Parco alle autorità competenti!
Tanta economia e tanto lavoro vi è comunque anche in questa nuova attività, che sostituisce e pone fine alla speculazione edilizia di edifici ex-novo, che è stata foriera di tantissimi danni nei decenni passati e consumo di suolo! E’ l’economia del restauro, della bonifica, della decementificazione, della rinaturalizzazione e del rimboschimento ovviamente con specie autoctone del territorio!
Ed in questa nuova filosofia, di “real-ecologik”, l’Ente Parco deve orientare, come già sta egregiamente facendo, l’agricoltura nel parco alla ri-conversione al biologico per la produzione di prodotti di qualità col marchio del parco! Assolutamente vietando l’uso di diserbanti, di pericolosi anticrittogamici, di prodotti chimici di sintesi, ecc. secondo le migliori filosofie del biologico e vietando assolutamente ogni produzione per commercio o sperimentazione di OGM, di Organismi Geneticamente Modificati, nel parco, come in tutto il Salento!
Il Parco deve far si che si recuperino le vecchie cultivar ed i frutti antichi; deve far si che anche nei rimboschimenti ci si orienti e favorisca lo sviluppo di economia silvicole, piantando ad esempio alberi già micorrizati per favorire la futura produzione e raccolta dei tartufi salentini, dei funghi, ed altre essenze forestali, comunque sempre autoctone del sud Italia, tali da dare delle economie di nicchia, come ad esempio quella della produzione della dolce manna dall’Orniello, un albero, il Fraxinus ornus, riscoperto recentemente nel Bosco Belvedere nel cuore del basso Salento, o ad esempio la produzione del sughero dalla Sughera salentina (Quercus suber), la produzione di noci, mandorle, ecc.
Ma anche l’attività zootecnica deve essere rilanciata nel Parco a partire dal recupero delle specie e razze locali in via di locale scomparsa, come la possente e dalle grandi corna Mucca Podolica Pugliese, la Capra jonica, la Pecora moscia leccese, il grande Asino di Martina, il bellissimo possente e corvino-morello Cavallo murgese dai toni arcaici della sua morfologia ed eleganti al contempo, ecc., ecc.
Agricoltura e zootecnica, attività agricole e pastorali non sono assolutamente attività dissonanti con la natura del parco, ma sono parti inscindibili ed importanti di essa! Anche perché tanti animali domestici, a parte il loro valore storico-antropologico intrinseco, hanno preso il posto, conservandone forse anche elementi genetici forti, di quegli animali che ancora nel paleolitico abitavano queste stesse zone, e i cui resti fossili sono stati ritrovati nelle grotte costiere; come l’Uro (Bos taurus primigenius), il grande bovino selvatico, di cui la Mucca Podolica Pugliese è la diretta discendente, più di ogni altra razza di mucca domestica; il Cavallo selvatico (Equus caballus); l’Asino selvatico idruntino (Equus asinus hydruntinus), così chiamato poiché i suoi resti fossili furono ritrovati ed identificati per la prima volta non lontano da Otranto, ecc.
Dunque un forte valore paesaggistico-naturalistico, oltre che di riequilibrio delle locali catene alimentari, è legato a questi animali domestici da ripristinare con la zootecnica a pascolo brado, da favorire nel Parco e non solo!
Per i gravi problemi dei depuratori inefficienti che scaricano in mare lungo la costa Otranto-Santa Maria di Leuca, il Coordinamento Civico chiede che il Parco aiuti i comuni nel trovare soluzioni che possano creare al contempo salubrità, economicità, e paesaggio: pertanto ci auguriamo che sia possibile intervenire attraverso la realizzazione-riconversione dei depuratori esistenti con impianti di fitodepurazione delle acque a progettazione secondo i canoni dell’ ingegneria naturalistica, in maniera tale da poter così, da un lato meglio depurare le acque, dall’altro creare dei bacini naturali ricchi di biodiversità nell’entroterra o nel parco stesso, che fungano da zone umide di sosta per gli uccelli migratori che attraversano il Canale d’Otranto nella loro migrazione! Le acque depurate poi è uno spreco, come alcuni progetti comunali e regionali pazzescamente prevedono, sversarle in mare con lunghe condotte sottomarine, che è forse poi anche un modo per non verificare davvero la qualità delle depurazioni; chiediamo pertanto che siano impiegate, secondo anche quanto richiesto dal Centro Studi Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Provincia di Lecce, proprio per la creazione di reti idrografiche superficiali con bacini e canali, stagni e laghetti, a fini ambientali e paesaggistici, come anche a fini irrigui agricoli a partire da tali bacini di assunta valenza paesaggistica!
L’importanza dei rimboschimenti e delle rinaturalizzazioni-reintroduzioni devono anch’essi essere prioritari, non a caso nel nome del Parco compare quello di Bosco di Tricase, (il bosco della rara Quercia Vallonea), e devono essere l’unico modo con cui il Parco e l’intero Salento devono contribuire al raggiungimento degli obiettivi nazionali del Protocollo di Kyoto, evitando così a monte quell’uso strumentale menzognero e speculativo, quando non anche fortemente “mafioso” come tante procure hanno e stanno dimostrando, del Protocollo stesso, per favorire i devastanti progetti eolici e fotovoltaici che hanno tanto vilmente vilipeso l’anima del Salento, senza portare ad alcuna riduzione dell’uso locale dei nocivi combustibili fossili (petrolio, gas fossile, carbone fossile), ma solo a impattanti iper-produzioni di energia in loco con danni accresciuti sulla salute delle persone! La Riforestazione del Salento è l’ unico vero serio ed etico contributo che il Salento deve dare al Protocollo di Kyoto, e che darà benefici diretti al Salento, al microclima, alla salubrità, al paesaggio, alla qualità di vita, all’ assetto idro-geologico, alla biodiversità, al turismo e alle locali economie silvo-agro-pastorali!
Rimboschimenti e creazioni di corridoi ecologici che, a valutazioni di tipo biologico-forestale, devono accompagnare studi e valutazioni estetico-paesaggistiche, sotto il controllo dei validissimi enti scientifici e di ricerca universitaria, come l’Orto Botanico Universitario di Lecce, che già collaborano e sono la nervatura più solida ed importante del Parco, e sotto il controllo del Corpo Forestale dello Stato e del Settore Foreste della Regione Puglia. Rimboschimenti che guardino alla quercia della specie simbolo, la Vallonea (Quercus macrolepis), ma non dimentichino anche tutte le altre specie di querce autoctone, (come il Fragno, Quercus trojana, pure presente, sebbene ormai molto raro, nelle aree a macchia mediterranea del Parco), e delle altre tante specie forestali del Salento verde che fu, ancora nella prima metà dell’800, prima dei selvaggi disboscamenti post-unitari che hanno ridotto ai minimi termini un patrimonio boschivo originariamente tra i più ricchi di specie e vasti per estensione dell’intera Penisola Italiana!
Aree costiere, quelle del parco, dove cresce anche ed ancora il Terebinto (Pistacia terebinthus), da ridiffondere, e sintomatico di biocenosi di grande interesse ed ormai grande rarità per il basso Salento da ripristinare! Non solo, il Terebinto è un frequente porta-innesto, usato in Sicilia, per la coltura del pistacchio, che sarebbe tra le colture mediterranee di nicchia che nelle aree del Parco si potrebbero ripristinare, memori anche della ottocentesca presenza ancora della pianta del Pistacchio (Pistacia vera) nel nostro Salento, come riportato nella sua “Flora salentina”, dal botanico Martino Marinosci di Martina.
Tramite il Bosco di Tricase, il Parco costiero Otranto-Santa Maria di Leuca si congiunge idealmente nell’entroterra con il suo parco naturale salentino gemello, neo-istituito dalla Regione Puglia, quello dei Paduli-Foresta del Belvedere, dal nome della foresta che si estendeva nel cuore del basso Salento tra le Serre orientali (di Palmariggi, Giuggianello, Poggiardo) e quelle occidentali (di Parabita-Matino), e dove anche i rimboschimenti razionali e paesaggistici, le riforestazioni, dovranno essere tra le attività cardine del nuovo ente parco!
Anche i rimboschimenti nelle aree cuscinetto ai confini del parco nell’entroterra devono divenire prioritari!
Vi è un Salento da ricostruire in natura, storia e cultura, e l’ importanza dell’azione di un ente come il Parco Otranto-Santa Maria di Leuca è fondamentale, in qualità di motore ed exemplum per tutti gli altri enti pubblici locali e per tutti gli altri parchi, come quello dei Paduli!
Il Parco non deve essere inteso ed intendersi come “riserva indiana”, dove tutto il resto non importa; sarebbe una visione questa miope e gretta. I parchi naturali sono solo le aree sancta sanctorum della cura e della tutela della natura che devono aprirsi a tutto il territorio circostante, da influenzare nell’applicazioni di quei valori di tutela, rispetto per la natura, e cura del paesaggio, che nelle aree parco hanno solo la loro massima applicazione e rappresentazione! Il Parco come campionario di buone pratiche ad esempio e a suggerimento per tutti i privati e per gli enti pubblici che nello stesso territorio, quale è il Salento in questo caso, vivono seppur all’esterno del parco.
Chi pensa che fuori dai parchi si può fare tutto quell’ orrido speculativo, ignorante ed industrializzante che nel parco è vietato, non ha capito nulla del Salento, e dell’orientamento dei pugliesi, e ormai possiamo dire di tutti gli italiani del sud per il loro territorio!
E’ già tutto il Grande Salento (province di Lecce, ma anche di Brindisi e Taranto) di fatto un parco naturale e culturale nella mente e nell’amore dei suoi cittadini, e nelle potenzialità sue proprie; questi parchi odierni sono solo l’inizio di un processo di crescita delle aree da proteggere, ma soprattutto dove iniziare ad applicare questa filosofia del ben fare paesaggisticamente; non del non fare! E “bene fare” significa agire nel rispetto e nella valorizzazione ed esaltazione del Genius loci del territorio, del Salento, che è il suo spirito, e la sua anima stratificata di storia e natura, che ha assunto una fisionomia stilistica e paesaggistica antropica e naturale pittoresca, bene definita e riconoscibile, come anche pertanto, se ben compresa, riproducibile e ricostruibile, restaurabile!
Gli amministratori salentini culturalmente più evoluti che vogliamo nella nostra futura e odierna classe dirigente, indipendentemente dalla loro colorazioni partitica, devono essere come pittori alla ricerca del “pittoresco” dei lori paesaggi amministrati, dove la loro tela è il territorio stesso! Artisti capaci di guardare al loro territorio da ogni angolazione e di dire e capire cosa è dissonante con questo spirito paesaggistico storico-naturale salentino e cosa no!
Gli amministratore come costruttori di set-cinematografici, da ogni angolo e da qualsiasi direzione si guardi il loro territorio, che agiscono a tal fine sul pubblico, come sui privati, aiutandoli, coadiuvandoli, suggerendo loro soluzioni ed interventi, e incentivandone quando possibile l’azione, perché lo spazio privato e quello pubblico si influenzano reciprocamente e non possono essere visti come due incomunicanti comparti! Un set si, ma non per il turista o per la cinematografia vera e propria, che comunque sempre più scopre il Salento come terra di alta valenza paesaggistica ancora in tal senso per le sue pellicole, ma per il puro e prioritario benessere psico-fisico dei cittadini primi fruitori del paesaggio, e con ovvie ricadute economiche-turistiche di questa nuova politica come semplice effetto collaterale positivo! La dignità dei salentini e del Salento prima di tutto! Il paesaggio da valorizzare quindi nelle sue suggestioni naturali e storico-culturali quasi senza tempo, sospese nel tempo e che non risentano dell’orma oppressiva e snaturante di una distorta modernità!
Un ente Parco che nei suoi comuni e in tutto il territorio circostante influenzi le buone pratiche di paesaggio e di ambiente, come il “ciclo rifiuti zero”, con differenziazione totale dei materiali e il compostaggio dei rifiuti organici nelle forme più naturali possibili, agricole, senza il ricorso alla creazione di mega nuovi impianti di compostaggio sempre forieri di problemi ed impatti, o con il riutilizzo-riconversione solo di impianti preesistenti, come i biostabilizzatori, ad esempio, in impianti di compostaggio, azzerando il consumo di nuovo suolo, evitando così la creazione di nocive discariche e di nocivi inceneritori!
Buone pratiche come anche lo “stop al consumo di suolo vergine” in edilizia e nella pianificazione urbanistica più in generale, a favore delle ristrutturazioni e dei restauri con riutilizzo dei centri ed edifici storici!
Per tutti questi motivi è anche stupido pensare oggi di finanziare progetti per la delimitazione creativa delle aree del Parco, con eccessivi segnali, magari anche anacronistici, lungo i suoi confini; sarebbe un inutile sgradevole confinare un parco che è ancora in embrionale fase di doverosa crescita. Se davvero l’Ente Parco opererà bene, il fruitore del parco capirà da solo, esso stesso, dal silenzio, dall’armonia del paesaggio e di ogni intervento antropico, dalla gradevolezza delle percezioni, da quelle acustiche a quelle olfattive, di essere entrato nel Parco naturale, in uno spazio speciale paradisiaco in cui sarà pervaso da un senso di primigenio benessere!
Sarà la percezione della preservata e ricostruita, laddove alterata, “wilderness”, la “selvaticità”, a generare nel visitatore quel romantico sentimento alla base, tanto della contemplazione mistico-ascetica della Natura che è a fondamento della religione, quanto della meraviglia che è alla radice dell’impulso primordiale alla ricerca scientifica, come è alla radice dell’ ispirazione artistica dell’uomo!
Coordinamento Civico apartitico per la Tutela del Territorio e della Salute del Cittadino
rete d’azione apartitica coordinativa di associazioni, comitati e movimenti locali e non, ambientalisti, culturali e socio-assistenziali
sede c/o Tribunale Diritti del Malato – CittadinanzAttiva
c/o Ospedale di Maglie “M.Tamborino”
Via N. Ferramosca, c.a.p. 73024 Maglie (LECCE)
E-mail: coordinamento.civico@libero.it , coordinamentocivico@yahoo.it
Un dossier interessante!