di Alessio Palumbo
Seguendo, distrattamente, il dibattito sulle ultime elezioni amministrative, si ha la sensazione di aver vissuto un evento del tutto nuovo, vuoi per la rilevanza politica di questa tornata elettorale, vuoi per i mille episodi che l’hanno caratterizzata.
Il confronto milanese è forse quello più ricco di spunti, con accuse al vetriolo, menzogne, finti rom assoldati per fingersi seguaci di Pisapia, spauracchi islamici agitati più o meno quotidianamente, promesse roboanti, eccetera eccetera. Anche a Napoli non sono mancati gli scontri, le minacce, i comitati elettorali incendiati. Un confronto elettorale senza precedenti, secondo molti… ma ne siamo proprio sicuri?
Ai nostalgici dei bei tempi passati, delle epoche in cui i candidati erano dei galantuomini, seri ed onesti, possiamo ben dire che questi tempi, forse, non sono mai esistiti. Giusto per darne una prova, riportiamo alcuni episodi, legati ad un confronto elettorale di circa un secolo fa. Perdonerete il parallelismo un po’ semplicistico, se non azzardato, ma è un modo come un altro per riflettere e “consolarsi” di fronte alle tante brutture della politica contemporanea.
Nelle elezioni politiche del 1913, le prime a suffragio quasi universale maschile, nel collegio di Gallipoli si confrontarono due uomini, per molti versi agli antipodi. Da un lato Antonio De Viti De Marco, originario di Casamassella, deputato radicale ed economista di fama internazionale; dall’altro Stanislao Senàpe De Pace, rampollo di una nobile famiglia gallipolina, sindaco a più riprese della città ionica e socialista rivoluzionario.
La vigilia di queste elezioni fu caratterizzata da un coacervo di aggressioni, accuse reciproche, pratiche clientelari e stratagemmi elettorali: roba da far impallidire i Moratti ed i Pisapia.
Nello specifico, Stanislao Senàpe, inaspettato vincitore di questa competizione, fu accusato di aver fatto ampio ricorso alla violenza contro gli avversari politici e soprattutto di aver raggirato le masse contadine, apponendo come simbolo elettorale una croce cattolica, pur essendo ateo, massone ed avendo, da sindaco, abolito il crocefisso nelle scuole.
Ne derivò un’inchiesta pressola Giuntadelle Elezioni, che non portò a nulla. Nonostante ciò, Gallipoli ed il suo circondario vissero giorni cupi, soprattutto in seguito alle accuse mosse in parlamento contro il candidato socialista.
L’11 dicembre 1913, infatti, nel corso del dibattito in risposta al discorso della Corona, sorse a parlare il nazionalista Luigi Federzoni. Il deputato bolognese, riferendo in merito all’appoggio ricevuto dai candidati liberali e conservatori da parte dei cattolici, sottolineò come gli stessi socialisti in alcuni casi si fossero avvalsi di tali mezzi, rinnegando i propri principi ideologici pur di acquisire dei voti. Il caso Senàpe assumeva rilievo nazionale:
“ FEDERZONI: «[…]Ad ogni modo è certo che i socialisti si sono trovati in parecchi casi in una situazione analoga e forse, in taluni casi specialissimi, in una situazione identica a quella di molti candidati liberali» (Approvazioni)
«Non risulta che siano stati sconfessati i metodi e gli artifici coi quali taluno dei nuovi deputati del gruppo socialista rivoluzionario è potuto venire alla Camera. Vi è stato un socialista rivoluzionario il quale ha trionfato nelle ultime elezioni di un uomo da noi tutti rispettato e stimato, e ritenuto uno dei più autorevoli parlamentari, al di sopra di tutte le differenze di partito: l’onorevole De Viti De Marco. Ha trionfato con artifici intesi ad ottenere il suffragio degli elettori radicali…(Bene! Bravo!- Applausi al centro e a destra – Interruzioni all’estrema sinistra).
Egli ha apposto sulla sua scheda tipo come contrassegno,la Crocedi Cristo ed ha…»
CAROTI: «E’ un cristiano antico!»
FEDERZONI: «Lasciamo andare onorevole Caroti. Se quegli è cristiano, mi permetto di dirle che ella mi richiama alla memoria la casistica dei gesuiti che non erano cristiani antichi! […] Furono distribuiti manifesti nei quali era detto…»
LUCCI, MODIGLIANI ed altri dall’estrema sinistra: «Contestato! Contestato!»
FEDERZONI: «…che il contrassegno della scheda di quel candidato era la croce simbolo della nostra Redenzione, (con l’erre maiuscola), e dopo aver rimesso a nuovo il binomio glorioso di Mazzini “Dio e popolo” (Proteste all’estrema sinistra) di quel Mazzini che i socialisti nel periodo eroico della loro azione politica qualificarono un borghese, concludevano perché si votasse per Stanislao Senàpe. Altri manifesti avvertivano essere l’onorevole De Viti De Marco ateo, non credere egli né a Dio né ai santi […]»
MARCHESANO: «Se è vero lo sconfesseremo. E’ indegno di dirsi socialista»
FEDERZONI: «In altri manifesti si invitavano gli elettori a non deporre nell’urna la scheda portante il nome di quel “cristiano antico” senza prima aver baciato il sacro contrassegno che essa portava»
MARCHESANO: « Lo scacceremo e diventerà nazionalista».”[1]
I socialisti furono per molti versi colti di sorpresa da queste accuse che riguardavano l’unico socialista ufficiale di tutto il Mezzogiorno continentale. Le prime reazioni istintive di alcuni di essi sembrarono voler sconfessare lo stesso Senàpe De Pace, che il giorno seguente chiese di parlare per difendere la propria posizione.
“SENÁPE: «Onorevoli colleghi, m’auguro che gli effetti del “senapismo” siano passati, e chela Camerami vorrà prestare cortese attenzione per udire alcune mie semplici dichiarazioni […] Se volessi filosofare sul contrassegno della croce, da cui si vorrebbe trarre la conseguenza che io, anticlericale, avessi voluto trescare con i preti per poter risultare vittorioso nella lotta politica, se volessi filosofare sulla croce, potrei dire di aver voluto tornare alle origini del socialismo e del cristianesimo, che non ha niente a che fare con i preti.» (Oh! Oh! – rumori)
PRESIDENTE: «Onorevole Senàpe, stia al fatto personale…»
SENÁPE: «Chiedo che il mio diritto di difesa sia rispettato. Osservo solamente che io avevo bisogno di un segno meglio percettibile e più alla portata delle menti dei nostri contadini» (Oh! Oh! – Rumori a destra e al centro, seguiti da proteste dell’estrema sinistra)
«Nel mio collegio, onorevoli colleghi, vi sono quindici comuni rurali ed uno solamente urbano: questa è la verità.
I manifestini, cui si alluse ieri, sono stati stampati alla macchia. Assicuro sulla mia coscienza e sul mio onore che quei manifesti erano stati stampati dopo avvenuta la elezione, per dare parvenza di verità a proteste d’ordine morale che erano state fatte contro la mia elezione. Del resto io non avevo bisogno di ricorrere a quei manifestini perché ho un giornale a mia disposizione. E poi, se fossero veri quei manifestini, la prima cosa che i miei avversari avrebbero fatto, sarebbe stata quella di mandarli alla direzione del partito perché avessi sconfessata la mia candidatura. Né avevo bisogno di ricorrere a quell’espediente perché ero e sono in possesso di documenti, che si trovano a Gallipoli dove per la ristrettezza del tempo non ho potuto andare a prenderli, e dai quali risulta che l’onorevole De Viti De Marco, mio competitore, firmò il patto Gentiloni» (Rumori a destra e al centro – Proteste dall’estrema sinistra)
«Dopo ciò io mi appello alla lealtà ed alla buona fede dell’onorevole Federzoni, e gli chiedo che egli venga una volta sola nell’estremo lembo del Mezzogiorno, per poter vedere anzitutto le piccole e le grosse camorre organizzate in quei paesi… »
Una voce a destra: «Che bel servizio rendete al Mezzogiorno»
SENÁPE: «…e per assicurarsi che quanto ho detto risponde a verità e che la mia condotta è stata sempre corretta. […] Ho finito. E dopo ciò mi attendo di essere urlato da quella parte della Camera (accenna a destra) e sconfessato da questa parte (accenna all’estrema sinistra), ma io rimango un uomo che ha una sola fede, un solo ideale, la fede e l’ideale del socialismo» (Applausi all’estrema sinistra. Rumori)”
Lasciando da parte queste presunte “furberie” elettorali, ciò che emerge incontrovertibilmente da numerose fonti storiche, è il frequente ricorso alla violenza da parte degli uomini di Stanislao Senàpe, sia prima che dopo le elezioni. In molte occasioni De Viti non riuscì nemmeno a tenere comizio, come ad esempio il 16 ottobre a Gemini, piccola frazione di Ugento. Qui, il noto economista “parlò in quella piazza alle 300 persone e maggior numero partito contrario, che con grida cercarono impedirgli parlare. Avvennero tafferugli”[2].
Non mancò di certo l’appoggio di alcune autorità a queste pratiche “politiche”:
“Eccellenza, non possiamo che deplorare vivamente il contegno e l’operato del comandante la stazione dei RR.CC. di Parabita […] per ciò che ha fatto e sta facendo in favore della candidatura dell’avvocato Stanislao Senàpe De Pace” (Lettera del 06/11/1913 al prefetto di Lecce trasmessa per informazione al min. dell’Interno, in A.C.S., M.I., D.G.P.S., Divisione affari generali riservati, Elezioni politiche 1913, b.36, f. E1- Lecce)
In sintesi, per decenni gli storici che si sono occupati di questo confronto elettorale, basandosi su queste ed altre fonti, hanno accusato Stanislao Senàpe de Pace di essere semplicemente un capo delle camorre locali, un frammassone, un uomo asceso al potere grazie alla violenza, al clientelismo e ad alcuni abili sotterfugi. Un’interpretazione ingenerosa, che non tiene conto né dell’opera sociale del candidato socialista (creazione di leghe e cooperative), né tantomeno del ricorso ad espedienti molto simili da parte degli uomini di Antonio De Viti De Marco.
Abbondano, infatti, le testimonianze relative a violenze ai danni dei senapiani:
“Una caccia all’uomo è stata decretata contro i fautori dell’on. Senàpe, che sono continuamente vessati, perquisiti, arrestati e processati” (Anonimo, Lettere perdute. Al prefetto della provincia di Lecce, «Spartaco», 27/07/1913)
Lo stesso Stanislao fu oggetto di aggressioni personali ad Alliste ed in altri paesi del collegio.
Per quel che riguarda il ricorso all’elettorato cattolico, infine, non bisogna dimenticare che, al di là della firma (vera o presunta) del patto Gentiloni da parte dell’economista di Casamassella, non mancò alla candidatura radicale l’appoggio di alcune autorità religiose (come i vescovi di Nardò, Ugento e Gallipoli, che sospesero in non expedit in suo favore).
Come riferiva il sottoprefetto di Gallipoli al prefetto di Lecce, Zazo:
“Il vescovo di Nardò si è pure dato molto da fare per trovare un candidato da portare in questo collegio nelle prossima lotta elettorale politica. Fin’ora non è ancora riuscito nell’intento poiché, i vescovi di Gallipoli ed Ugento, che sono i maggiormente interessati, vorrebbero appoggiare il De Viti De Marco per timore che una scissione fra cattolici e democratici possa far cadere il De Viti e portare alla vittoria il candidato socialista avv. Senàpe che è ai cattolici assai più inviso del De Viti”[3].
Inoltre, per il vescovo di Gallipoli, l’attivissimo mons. Muller:
“Ogni altra candidatura nuova porterebbe lo sperpero di voti, farebbe il gioco di Senàpe….La posizione è la seguente. Senàpe e De Viti in Parlamento si equivalgono, sebbene il Senàpe sia più spinto; giacchè il De Viti è almeno contrario al divorzio:lo ha detto e lo ha scritto pure: come altresì, a difendere il diritto di proprietà, sostiene che non bisogna toccare le Congregazioni religiose […] Senàpe deputato porterebbe la caduta di questa Amministrazione Comunale, che ci lascia vivere, e l’avvento dell’Amministrazione Socialista, che vuole la nostra distruzione. […] Il Governo non appoggia né uno né l’altro, ma preferisce il De Viti, come conservatore, sebbene non ministeriale”[4].
Il discorso potrebbe essere molto più lungo ed articolato, ma, per evitare di annoiare il lettore, conviene concludere. Ciò che emerge chiaramente da questo breve resoconto, è che corruzione, clientelismo, violenza e sotterfugi, non sono delle novità nel panorama politico italiano. La nascita di un regno, la sua fine, il sorgere di una repubblica e di una, presunta, seconda versione della stessa, in fin dei conti sembrano aver apportato ben pochi cambiamenti alla politica nostrana. Purtroppo!
[1] Atti parlamentari della Camera dei deputati. Sessione 1913-14. Legislatura XXIV – 1° sessione – discussioni – tornata dell’11 dicembre 1913.
[2] Telegramma del prefetto di Lecce al min. dell’Interno del 17/10/1913, ivi.
[3] Lettera del sottoprefetto di Gallipoli al prefetto di Lecce del 25/08/1913, in A. S. L., Cat. 15, b.33, fasc. 581 (Lecce e provincia – Attività politica del clero). La relazione si concludeva ribadendo l’eccezionalità della situazione gallipolina, visto che “negli altri collegi del circondario l’azione del clero, nei riguardi politici, è assai meno spiegata e fin’ora non ci sono da segnalare fatti specifici; ciò è anche da attribuirsi alla circostanza dei collegi medesimi dove i candidati politici fin’ora in vista non sono di idee anticlericali” (Ibidem).
[4] Lettera di mons. Muller al vescovo di Nardò Giannattasio, del 03/08/1913, in M. Mennonna, Mons. Nicola Giannattasio, cit., p. 498
Questo scontro politico venne narrato anche nei canti carnevaleschi Galatonesi, i quali di anno in anno, sempre sulla stessa aria musicale, variavano nel testo e si occupavano più o meno sboccatamente delle cose, pubbliche, politiche ,umane che succedevano nell’area cittadina e non. In una registrazione fatta nel 1956 dall’ etnomusicologo americano Alan Lomax si ritrova appunto il testo dell’anno 1913 del quale l’incipit comincia così: ” scusate Signori della mia compagnia son giunte l’elezioni. canteremo una poesia. Ridati Vitu De Marcu ggh’era nostru tiputatu abbasciu li sanapi ca ni otanu la capu…”
Ringrazio Riccardo Viganò per la preziosa testimonianza.
In effetti Galatone fu uno dei centri più interessati dalle ostilità elettorali. Stando alla testimonianza del «Corriere meridionale», in occasione del comizio del De Viti in questo paese “la piazza era gremita di popolo che manifestava una certa mimica che troppo chiaramente denotava urli e fischi” tanto che l’economista fu costretto “a precipitosa fuga”, mentre i sostenitori del Senàpe ne approfittavano per tenere comizio (Anonimo, Collegio di Gallipoli – Galatone parla: Senàpe trionfa, «Corriere Meridionale», 23/10/1913.)
Inoltre, nel giorno delle votazioni, “una grande ressa di gente ostruiva deliberatamente l’ingresso delle sale, in modo da impedire il passaggio agli elettori devitiani. Perché poi ciò non fosse d’ostacolo agli elettori senapiani, accadde che questi nella sezione 30° si aprirono un passaggio per loro conto, entrando nella sala con una scala a piuoli, traverso una porticina non aperta al pubblico. […] e della confusione si profittò per far votare al nome d’altri” (G. Chiovenda, Fatti e documenti a sostegno delle proteste, Roma, Armani & Stein, 1914, pp. 54-55).
E nel frattempo a Nardò si fronteggiavano i Personè e gli Zuccaro, con ferocissime battaglie che coinvolsero anche la Curia e il vescovo del tempo…
[…] uomini, per molti versi agli antipodi. Da un lato Antonio De Viti De Marco, originario di … Leggi tutto: Articoli correlati:Luigi Corvaglia (Melissano, 1892 – Roma, 1966) non solo letterato […]
Secondo Fabio Grassi (F. Grassi, Il tramonto dell’età giolittiana nel Salento, Roma-Bari, Laterza, 1973) in questa occasione Zuccaro e Personè, privi del sostegno giolittiano, preferirono non partecipare in prima persona al confronto, appoggiando, senza successo, il candidato avverso al ministeriale e gentiloniano Quarta (vincitore della tornata elettorale).