di Marcello Gaballo
Le fonti scritte tre-quattrocentesche giunte sino a noi non ci danno alcuna notizia del Crocifisso e bisogna aspettare la visita pastorale del vescovo Gabriele Setario (1491-1507) del 1500 per registrare in cattedrale una cappella del Crocifisso, nella navata sinistra, accanto all’altare de li Spenelli seu cappella sub vocabulo Sancte Marie et Sancti Iuliani.
Inizialmente il Crocifisso era pendente dalla tribuna centrale e, come di consuetudine, collocato sull’ unico altare posto ad oriente, nella parte terminale della chiesa. Costituiva certamente l’ arredo più vistoso del tempio ed è innegabile la sua fortissima influenza sui devoti.
In seguito ebbe la sua nuova dimora in una cappella laterale, affrescata, come fa presupporre un frammento col volto della Vergine addolorata (sec. XV?), ancora oggi visibile a destra della porta minore.
La ristrettezza del luogo o le vicende sismiche del tempio furono motivo di ulteriori spostamenti da una all’altra delle cappelle laterali.
Per ampliare l’ala dextera, versus austrum, nel XVI secolo fu incorporata la vetusta chiesetta di S. Stefano protomartire, di patronato della famiglia Cardami, ubicata a ridosso della Cattedrale. La nuova cappella fu dedicata al Crocifisso ed in essa vi era l’ altare privilegiato, realizzato a spese del magnificus Francesco Cardami, con indulgenza concessa dal pontefice Gregorio XIII. Non è dato di sapere se in essa fosse appeso il nostro Crocifisso.
Nel 1560 la cappella, ornata ed ampliata dal vescovo Giovan Battista Acquaviva (1536-1569), venne dedicata al SS. Corpo di Cristo ed il nostro simulacro dovette essere ancora spostato in altra cappella laterale, che nella visita del vescovo Bovio è annotata come cappella del SS. Crocifisso. Nel 1591 della stessa, detta anche de Bellottis, ne erano compatroni i nobili Ottavio e Roberto Tisi.
In occasione degli importanti restauri dell’edificio voluti dal vescovo Girolamo De Franchis (1617-1634) la suddetta indulgenza venne trasferita con Breve del pontefice Paolo V nella cappella di Santa Maria della Sanità, ove aveva trovato allocazione l’ antichissimo affresco della Madonna della Sanità, già in columna arcus chori. L’evento fu ricordato con un’epigrafe collocata nella predetta cappella in pariete prope cornu epistolae ostendit.
La vetustissima Sanc.mi Crucifixi imago reposita in cappella noviter aedificata, quindi il simulacro venne spostato ancora una volta nel 1618, nella cappella appositamente fatta realizzare dal predetto pastore, nella navata sinistra.
Alle spese della nuova sistemazione concorse il vescovo Girolamo, l’ universitas neritina ed alcuni fedeli, tra cui il barone Antonio de Pantaleonibus che nel 1614, con testamento dettato al notaio Santoro Tollemeto, lasciava la considerevole somma di 100 ducati pro ornamento et accasamento del Crocifisso, nominando sovrintendente per l’ equo utilizzo il priore della confraternita del SS. Corpo di Cristo.
Con diploma dell’ 8 ottobre 1620 il pontefice Paolo V concedeva l’ indulgenza plenaria a coloro che nella ricorrenza della dedicazione della cattedrale di Nardò, confessati e comunicati, avessero visitato il tempio e la cappella del SS. Crocifisso.
In questo decennio la chiesa dovette essere visitata anche dallo storico leveranese Girolamo Marciano (1571-1628), buon conoscitore della città, che nella sua opera ebbe a scrivere: “si vedono oggi delle cose antiche in essa chiesa vescovile di Nardò: in una cappella, ove sono molte reliquie di Santi, un antichissimo e miracolosissimo Crocifisso, ben fatto e di grandissima statura…”.
Notizie assai più esaurienti sul simulacro e sulla sua primitiva collocazione vengono fornite dalla visita pastorale del vicario Granafei.
La cappella si trovava dopo quella di “Tutti i Santi” ed in essa si conservava l’imaginis Sanctissimi Crucifixi… antiquissimam ligneum imaginem che qui aveva collocato il vescovo Girolamo de Franchis ab arcu chori, dove era affissa con le spalle ad oriente ed il volto ad occidente e con la mano destra ad aquilonem e la sinistra verso mezzogiorno. Nello spostamento dall’ una all’ altra cappella contrario situ transferendam curavit.
Il vicario -continua la relazione- la trovò opportunamente collocata, coperta da un rimovibile telo rosso in seta, ed era fissa sulla croce con quattro chiodi. Le sue sembianze richiamavano non solo quelle antiche di Lovanio, della Francia o quelle presenti in Germania, ma anche quelle lignee realizzate in Grecia, ovvero bizantine (similem non vetustissimis tantum Lovanii Parisiis et per Germaniam imaginibus, sed tabulis etiam antiquissimis in Graecia fabrefactis).
[…]
La visita del Granafei ribadisce inoltre la grande venerazione dei Neritini e dei forestieri per il simulacro, in considerazione anche dei diversi miracoli elargiti. Annota altresì l’ indulgenza plenaria concessa dal papa Urbano VIII a quanti avrebbero visitato la cappella e venerato l’ immagine nel giorno dell’ Invenzione della Croce (3 maggio), dal vespro della vigilia al tramonto della festa, e particolarmente a coloro che davanti ad essa avrebbero pregato per la concordia Christianorum principum ed il trionfo della s. Madre Chiesa. Altri benefici spirituali -viene ulteriormente esplicitato- venivano concessi a quanti la visitavano e vi pregavano nel giorno dell’ Esaltazione della S. Croce (14 settembre), come da breve apostolico rilasciato in Roma pochi mesi prima della visita che si stava effettuando, e precisamente il 20 giugno del 1637.
Nella visita del 1654 del vescovo Calanio della Ciaia (1652-1654) si legge della cappella del SS.mo Crocifisso eretta per Geronimo de Franchis, già vescovo di Nardò, dove è riposta l’antichissima imagine di N. S. ed anco molte reliquie di Santi. Essa è l’ ultima ad essere visitata, dopo altre 14, e si trova sempre nella navata sinistra, successiva a quella di S. Maria ad Nives detta delli Bellotti, dopo del Santis.mo Crocifisso ed hora sotto il titolo di S. Gregorio Armeno.
Nella visita del vescovo Orazio Fortunato (1678-1707) non si trova menzione del Crocifisso, mentre viene descritta la sua cappella, in cui sono conservate le reliquie dei SS. Martiri in due armadi, tra cui quelle dei santi martiri Teodoro e Vittorio e quelle dei martiri di Otranto, che erano state donate dall’arcivescovo otrantino mons. Piccolomini.
Un apposito paragrafo viene invece riservato nella visita del vescovo Antonio Sanfelice del 1719, il 2 gennaio, alla ricognizione di due delle più importanti testimonianze religiose della Cattedrale, il Crocifisso e l’affresco di S. Maria della Sanità: Visitatio/ Sacrarum, ac vetustissimarum Imaginum/ Christi Domini Crucifixi et S. Mariae Sanitatis/ Quae peculiari semper veneratione in Cathedral Basilica culta sunt./
Difatti, si legge nella relazione, ex pluribus sacris sanctorum imaginibus variis magnisq(ue) miraculis clare in Cathedrali templo precipue a Neritino populo Religione culta fuerunt, una è per l’ appunto Jesu Christi lignea imago, quatuor clavis cruci suffixa…
E qui il vescovo fece trascrivere l’origine bizantina del manufatto, miracolosamente giunto sino a noi con i perseguitati monaci basiliani. A conforto della imaginis vetustate ac miraculorum gloria si fa riferimento a quanto scrive a tal proposito il minore Bonaventura da Lama nella sua Cronica Provinciae S. Nicolai.
Il Crocifisso di Nardò -si legge ancora- viene festeggiato in tre ricorrenze, nel giorno dell’Esaltazione della Croce, in quello dell’Invenzione della Croce e secunda dominica maii, in cui in ipsius honore festu celebrant (Neritini), quod in Japigia jure habet longe celeberrimum.
Ad imperitura memoria il vescovo fece poi riportare gli estremi del breve apostolico di Urbano VIII del 1637 con cui concedeva l’ indulgenza plenaria a quanti avrebbero venerato il nostro Crocifisso nelle anzidette festività.
Lo stesso giorno il vescovo visitò anche le reliquie dei santi riposte nella stessa cappella del Crocifisso, ubi nunc colit imago SS.mi Crucifixi, realizzata dal vescovo Girolamo de Franchis et Neritino Magistratu.
Nell’ altra visita pastorale del 1725 il vescovo fece trascrivere le epigrafi esistenti in Cattedrale e per quanto ci riguarda: visitavit denique cappellam cum altari SS.mi Crucifixi positam in loco ubi quondam erat parva porta lateralis ecclesiae, in cui si conservavano anche le reliquie dei Santi. La prima delle due iscrizioni, posta sulla parete sinistra della cappella, così recitava: Novum hoc sacellum/ in quo vetustissima crucifixi imago/ varie in hac ecclesia olim locata/ ac sancti gregorii armeniae archiepiscopi/ neritinorum patroni/ aliorumque sanctorum reliquiae asservantur/ hieronymus de franchis vincentii filius episcopus/ ac civitas neritina/ syndicis octavio nuccio, joanne jacobo massa/ et joanne francisco nestore ex nobilibus/ joanne vincentio orlando, hieronymo manerio/ et donato de abbate/ communibus impensis construere fecerunt./ anno salutis domini mdcxviii./
L’ altra iscrizione, sulla tomba del vescovo Brancaccio, è a destra della cappella: D.O.M./ dominus d. thomas brancaccius/ avellinensis olim post neritonensis antistes/ brancacciae prosapiae gloria, praesulum decus, et norma./ urbis, et orbis honor, et amor, totus gratia, totus hilaritas/ intrepidus ecclesiasticae libertatis propugnator/ de neritina ecclesia, et urbe multis peractis, et relictis monumentis/ benemeritus/ fama, nomine, et gestis nunquam moriturus/ mortuus optatus, laudatus, lacrymatus omnibus/ hic quiescit/ anno aetatis suae li pontificatus sui viii./ anno domini mdclxxvii./ memor dolens, lacrymans capitulum neritinum/ monumentum hoc posuit./
L’ulteriore e definitiva collocazione del Crocifisso fu voluta dunque dal Sanfelice, che rifece il tabernacolo e rivestì l’altare con i preziosi marmi che ancora si vedono.
Il suo successore Marco Petruccelli (1754-1781) nella sua visita alla cattedrale lo trovava collocato nella cappella omonima, contigua a quella delle Anime del Purgatorio, quindi dove ancora oggi si vede. Il vescovo disponeva che si facci nuovo il Crocifisso su l’ultimo gradino; che si facci nuovo il lettorino; che si prendi conto della rendita lasciata al Crocifisso, e che se ne informi D. Agostino Lezzi del canone.
Quindi fece trascrivere due epigrafi, di cui una sulla tomba del Brancaccio, prima riportata, e l’altra, sulla parete sinistra della cappella, che sostituiva quella fatta trascrivere dal Sanfelice.
In questa si leggeva: D.O.M./ vetustissima Xti domini e cruce pendentis imagine/ a grecis monachis ab oriente neritum asportata/ una cum ejusdem sacello/ ex maioris portae illius temporis dextera/ hunc in locum translata/ sacrum nerit(in)ae ecclesiae collegium/ quod antea inibi/ de mortuo thomae brancatio ep(iscop)o/ suorum fratrum amatori ac benefico/ e marmore lapidem cum monimento decrevit/ hic postea/ superstites insignis benefactoris cineres/ XVI kalendas Feb. MDCCXLVI/ novo recondidit tumulo/ et recenti inscriptione donavit//[25].
Dunque si prende per buona la notizia che la croce sia stata portata dai basiliani e si continuerà a ritenerla tale da tutti gli scrittori ed ecclesiastici successivi.
Gli ultimi restauri della cappella furono effettuati al tempo di Mons. Ricciardi (1888-1908) e di Mons. Mennonna (1962-1983). Durante l’ episcopato di quest’ultimo, nel 1963, fu applicato il mosaico a tessere dorate che fa da sfondo alla croce, su progetto dell’architetto leccese Palumbo, e collocate le lampade in ferro battuto, realizzate dalla ditta Troso da Copertino. Furono anche riprese le pitture dell’Eterno Padre, sulla parte più alta della cappella, in corrispondenza del Crocifisso, della Vergine e dell’apostolo Giovanni, poste agli estremi del braccio trasversale, in accordo alla tradizionale formula del tema del Calvario, realizzate sul finire dell’ 800 da collaboratori di Cesare Maccari. Sull’arco furono inoltre dipinti una serie di episodi della vita di Cristo, il tutto col concorso della famiglia Polo, in suffragio del loro congiunto Espedito, come ricorda un’epigrafe collocata sulla parete destra.
Non si ha traccia di due statue lignee, della Veronica con la sindone e di Giuseppe d’Arimatea col sudario, che nei secoli scorsi si sarebbero trovate ai piedi della croce e di cui dà notizia Emilio Mazzarella[26].
[1] C. G. Centonze, A. De Lorenzis, N. Caputo, Visite Pastorali in diocesi di Nardò (1452-1501),a c. di B. Vetere, Galatina 1988, pp.198, 224.
[2] Il ritratto della Vergine è posto a lato di una Crocifissione mutila. Al disotto di esso si vedono altri due strati di intonaco dipinto, chiaramente precedenti.
[3] ADN, Acta di Mons. G. de Franchis del 1619 (in A/3-I vol.), c.676v.
[4]ADN, Acta di Mons. Sanfelice del 1719, c.289. Con testamento del 1623 il duca di Nardò Belisario Acquaviva dispose un lascito perpetuo di 30 ducati annui per l’ acquisto di torce e miglioramenti da farsi.
[5] ADN, Acta di Mons. Bovio, c.26. Nella III Relatio ad limina del vescovo G. De Franchis del 1625 infatti si legge che la cappella del SS. Sacramento era stata dedicata al SS.mo Crocifisso (c.436r).
[6] Ovvero della nobile famiglia Bellotto.
[7] Sarà poi dedicata a S. Gregorio Armeno, protettore della città e della diocesi, per volontà del vescovo Girolamo de Franchis, che nella visita del 1619 ordina di rimuovere imago Sanctissimi Crucifixi depicta in tela, per sostituirla con altra che dovrà farsi similiter in tela S.ti Gregorii Magnae Armeniae Archiepi.i et Martiris, Neritinae Civitatis Patroni (Acta di Mons. G. de Franchis, cit., c. 682r; Acta Generalis Visitationis in civitate Neritoni factae sub anno 1637 dal vicario Granafei, vol. I 1637, c.158v).
[8] ADN, Acta di Mons. G. de Franchis, cit., c. 678r. La traslazione avvenne col consenso del cappellano Leonardo Antonio Scopetta e dei compatroni dottor Prospero Matera e notaio Santoro Tollemeto. Questa cappella prima era dedicata a S. Maria dello Reto (ADN, Acta di Mons. Bovio 1578, c.125).
[9] ADN, Acta di Mons. G. de Franchis, cit., cc. 678v-679r.
[10] Id., cc. 676v, 679r e 695r. La conferma la si legge nella II Relatio ad limina dello stesso vescovo, compilata nel 1621, a c.443v.
[11] Nei tempi successivi la tradizione testamentaria per il Crocifisso continuò con lasciti di appezzamenti di terreno o di denaro per la celebrazione di Messe nella cappella in suffragio delle anime dei testatori o loro parenti. Nel 1718 , con atto per not. E. Bonvino del 9 gennaio, Tommaso Cupertino dispone un lascito di cinque ducati annui alla cappella, avendone ricevuto incarico dai fratelli Gregorio e Anna Piccione quando erano ancora in vita. Essi avevano espresso la loro volontà al priore della medesima, il sig. Giovan Vincenzo Vernaleone.
Piuttosto consistente fu il lascito dell’ abate Oronzo Spacciante, disposto nel suo testamento del 1731. Nel Catasto Onciario di Nardò del 1750 (vol. II, cc. 489v-490r) la cappella possiede un appezzamento di terreno di 1,5 orte, in loco la Speranza, feudo di Melignano, confinante da scirocco e levante coi beni di Tommaso Demetrio, da tramontana e ponente con la strada provinciale, stimata di annua rendita pari a 12 carlini, da utilizzarsi per la manutenzione della cappella. Le notizie sono state segnalate dall’amico Salvatore Muci, che ringrazio per la consueta disponibilità.
[12] M. Pastore, Le pergamene della Curia e del Capitolo di Nardò, Lecce 1964, p.19.
[13] Marciano G., Descrizione origini e successi della Provincia d’ Otranto, Napoli 1855, rist. fotomecc., Galatina 1996, p.486.
[14] Il Granafei riprende quanto già l’ arciprete Cosimo Megha aveva scritto nel 1633 a Fabio Chigi, futuro pontefice Alessandro VII, nella relazione De statu ecclesiae Neritinae ad Fabium Chisum, ms. in ADN (A/11), cc. 204-205.
[15] Ovvero i Crocifissi gotici classici che Geza de Francovich fa risalire alle cattedrali gotiche francesi, e a quelle di Chartres in particolare.
[16] Ovvero i Crocifissi gotici dolorosi, iconograficamente diffusi nella città della bassa valle del Reno.
[17] Probabilmente il presule vuol chiarire come il nostro Crocifisso sia più aderente ai modelli orientali che nel tardo Medioevo rappresentarono il Cristo già spirato sulla croce (Christus patiens), al contrario di quelli occidentali che, pur non ignorando quel tipo iconografico, rappresentavano il Re ancora vivente (Christus triumphans).
I termini utilizzati sono ripresi fedelmente da quanto aveva scritto il secolo prima il vescovo Guglielmo Lindano nella sua Panoplia: “non ex vetustissimis tantum Lovanii, Parisiis, et per Germaniam imaginibus, sed tabellis etiam antiquissimis in Graecia pridem fabrefactis” (libro XIV, c.97).
[18] G. Bosio, La trionfante e gloriosa Croce, Roma 1610.
[19] La festa commemora il ritrovamento (inventio) della vera croce rimasta sepolta sotto il tempio di Venere eretto sul Calvario da Adriano.
[20] ADN, Acta Generalis Visitationis in civitate Neritoni factae sub anno 1637 dal vicario Granafei, vol. I 1637, cc. 8v-9r.
[21] ADN, Acta di Mons. Calanio della Ciaia del 1654, cc. 310r e v.
[22] ADN, Acta di Mons. Fortunato (A/35).
[23] ADN, Acta di Mons. Sanfelice del 1719, cc. 30r e v.
[24] ADN, Acta di Mons. Sanfelice del 1725 (A/58), cc. 254r e v.
[25] ADN, Acta di Mons. Petruccelli (A/19), cc. 19v-20r.
[26] E. Mazzarella, La Cattedrale di Nardò, cit., p.64.
Notizie estrapolate da: AA. VV., Il Cristo nero della Cattedrale di Nardò, a cura di Marcello Gaballo e Santino Bove Balestra, Quaderni degli Archivi Diocesani di Nardò e Gallipoli, Nuova Serie, Supplementi II, Congedo Ed., Galatina 2005.