di Marcello Gaballo
La bellissima guglia di Soleto è uno dei capolavori di Terra d’Otranto ed è ben nota a tutti i pugliesi per la sua storia e per la ricca decorazione che offre.
Chiunque arrivi nelle operosa cittadina è accolto dalla maestosità dell’opera quadrangolare e dal fine lavoro di ornato che sembra scatenarsi dal terzo ordine in poi, per quietarsi nel tiburio ottagonale, librandosi nel cielo del Salento attraverso le maioliche policrome del capolino conclusivo. Indescrivibile la sensazione provata quando lo si osservi al tramonto, quando la luce solare radente esalta ogni minimo ricamo lapideo esaltandone la bellezza e l’originalità.
Le singolari bifore, gli intagli e i numerosi arabeschi, le colonne tortili, i numerosissimi mascheroni zoomorfi e antropomorfi, i superbi grifoni, le cornici trilobate, la straordinaria e delicata balaustra rendono merito all’orgoglio cittadino soletano e alla sua inclusione tra i monumenti nazionali. Spiace, ancora una volta, constatare quanto l’arte meridionale, e salentina in particolare, sia poco considerata e pubblicizzata.
Tralasciamo le vicende architettoniche della chiesa, che fu ultimata nel 1783 dal copertinese Adriano Preite. Questi addossò la semplice facciata alla guglia, tanto da annullare il quasi totale ed emblematico isolamento della torre[1] dopo circa 400 anni dalla sua costruzione.
Gli studi accreditati di M. Cazzato e L. Manni hanno dimostrato che il nucleo originario della nostra guglia fu edificato dal potente conte Raimondello Orsini del Balzo, proseguito e decorato da suo figlio Giovannantonio, conte di Soleto e principe di Taranto, morto nel 1463. Abbandonate dunque tutte le fantasie e improbabili attribuzioni, compresa quella a Matteo Tafuri, celebre alchimista e filosofo, esperto in esoterismo, ed occultismo e per questo ritenuto il mago di Soleto, che però era nato almeno un secolo dopo il documentato 1397, al quale risale la nostra torre.
La spettacolarità della guglia, ma soprattutto le centinaia di figure umane e bestiali scolpite nella tenera pietra leccese, hanno provocato da sempre la fantasia del popolo salentino, che ancora oggi ricorda come la terra di Soleto sia sempre stata “terra di màcari” e di magie. L’aveva realizzata in una sola notte il mago per antonomasia, Matteo Tafuri, con l’aiuto dei diavoli che, sorpresi ancora al lavoro mentre arrivavano le prime luci dell’alba, furono pietrificati ai quattro angoli della guglia.
Del tutto inedita la novità di tale leggenda, come ho potuto scoprire lo scorso anno, intervistando E. F., un anziano di Nardò. Con aria misteriosa e nel contempo colorita mi ha svelato di conoscere il luogo da cui i diavoli avrebbero prelevato le pietre e la calcina per innalzare in quella notte del 1397 lu campanaru ti lu tiàulu a Sulitu.
Il luogo – mi riferisce sempre il signore – è ancora denominato la carcara ti lu tiàulu e si trova nei pressi della località La Strea, sul litorale che congiunge S. Isidoro e Torre Squillace a Porto Cesareo. La carcara sarebbe una delle fornaci di cottura sparse nel territorio nelle quali si ricavava la calce e il saggio dell’amico Fabrizio Suppressa è molto esplicativo.
Ho potuto verificare, grazie alla consulenza preziosa di Salvatore e Antonio Muci da Porto Cesareo, che la leggenda tramandata trova degli elementi validi sul territorio. La carcara esisteva realmente nell’entroterra, poco prima dell’ingresso a Porto Cesareo, giungendo da S. Isidoro, a circa trecento metri dal litorale. Poco distante da questa vi era, almeno fino agli anni 70 del secolo scorso, la petra ti lu tiàulu, un enorme macigno collocato su massi e pietrame di diversa misura, simile ad una “grotta”, purtroppo frantumato in occasione delle costruzioni abusive di quegli anni. Dalle testimonianze raccolte si potrebbe ipotizzare l’esistenza in quel luogo di una tomba preistorica a camera singola ovvero un dolmen, sfuggito alle ricerche e ai censimenti salentini di tali costruzioni megalitiche. La celebre petra poteva dunque essere il lastrone orizzontale del dolmen e le altre petre piccinne i lastroni verticali.
Ma l’immaginario collettivo è andato ben oltre, addirittura tramandando che in quel luogo si potessero udire li catene ti lu tiàulu, dei rumori strani, sibilanti e roboanti, forse collegabili al rumore del vento attraversante antri o forami evidentemente non localizzati.
A poche centinaia di metri da qui, questa volta sulla costa, ancora due toponimi sono ancora noti al popolo Cesarino: lu puestu ti li tiàulu e la punta ti lu tiàulu, entrambi nelle immediate vicinanze di torre Squillace. Insomma una precisa localizzazione che ci fa interrogare su cosa realmente avesse inciso sulla fantasia popolare, tanto da perpetuarne la leggenda fino ai nostri giorni.
Effettivamente questi luoghi, che per comodità identifichiamo con la località la Strea (derivante da “la strega”?), hanno ospitato un villaggio protostorico, dell’Età del bronzo, e gli scavi del 1969 condotti dalla Sovrintendenza Archeologica di Taranto hanno rinvenuto diversi oggetti, un anello fenicio, iscrizioni graffite in dialetto laconico, statuette votive, ceramiche micenee e bronzi locali. A qualche miglio fu rinvenuta anche una statua egizia del VII/VI sec. a.C. denominata Cinocefalo, oggi conservata nel Museo Archeologico di Taranto. I ritrovamenti hanno altresì dimostrato la protezione di quel luogo con un muro alto circa 2,50 metri, con andamento istmico fatto da massi regolari sovrapposti a secco.
Forse proprio questi massi, probabili avanzi del Limitone dei Greci, e la calcara sarebbero stati il motivo di tanta meraviglia che ha fatto immaginare orde diaboliche intente a trasportare il materiale fino a Soleto, per erigere la sorprendente guglia in quella magica ed indimenticabile notte di oltre seicento anni fa.
Bibliografia essenziale
M. Cazzato, Note di archivio. Lavori settecenteschi alla guglia di Soleto, in “Voce del Sud”, 14 maggio 1983.
L. Manni, La guglia di Soleto. Storia e conservazione, Galatina 1994.
M. Montinari, Soleto una città della Greca Salentina, Fasano 1993.
S. Muci, Porto Cesareo nel periodo contemporaneo, Guagnano 2006.
Civitas Neritonensis. La storia di Nardó di Emanuele Pignatelli ed altri contributi, (a c. di M. Gaballo), Galatina, 2001.
G. Stranieri, Un limes bizantino nel Salento? La frontiera bizantino-longobarda nella Puglia meridionale. Realtà e mito del limitone dei greci, in “Archeologia Medievale”, XXVII, 2000, 333-355.
[1] Come giustamente mi ha fatto notare l’amico Gino Di Mitri nelle incisioni del Desprez (Voyage pittoresque ou description des Royaumes de Naples et de Sicile di Vivant Denon) la guglia è mostrata come addossata non alla chiesa, ma a un portico verosimilmente posto sul lato ovest.
Le pietre, anche quelle lavorate dall’uomo col taglio più artistico della Terra, sono pur sempre pietre e a volte solo sfacciatamente ARTE.
Vi sembro provocatoria?
Eppure, se osservate con attenzione la guglia di Soleto o le bellissime immagini che di questa Marcello Gaballo vi offre, vi accorgerete che il vostro giudizio virerà dallo stupore all’apprezzamento fino ad ogni grado di entusiasmo: “Bella, bellissima!”
Perfetto.
Se continuando poi a scorrere l’articolo inciampate nel ‘Gossip’ della leggenda popolare, vedrete che la vostra visione e il vostro giudizio si colorerà all’improvviso di rinnovato interessamento. Tutto ha bisogno di un’anima.
I diavoli compiono la strabiliante impresa di costruire la guglia in una notte sola, le pietre utilizzate provengono dalla Carcàra ti lu tiàulu, in località Strea (Strega): manca altro condimento? Ah, l’attribuzione dell’opera al Tafuri, alchimista e filosofo, mago perfetto agli occhi del popolo. Cosa? Matteo Tafuri è nato un secolo dopo? Meglio ancora per la leggenda: il pizzico di pepe mancante!
E’ che è meraviglioso incorniciare le meraviglie, naturali e artistiche, con la fantasia di un popolo semplice, legato forsennatamente alla sopravvivenza dalla vita dei campi, dai sacrifici e dall’incertezza. La stessa vita è un mistero ed il mistero fa quindi parte della vita, Ne abbiamo bisogno. Prima che intervenga il palinsesto di Voyager, chiudo l’argomento porgendo i miei più sentiti complimenti alla Guglia di Soleto, a Marcello che ce l’ha presentata in maniera così pittoresca e professionale, e a tutti i diavoli e le streghe che quella notte devono aver fatto una gran fatica: che capolavoro, però!
eccellente lettura la tua, specie per aver messo così bene in risalto l’animo semplice ma fantastico dei nostri avi, che si raccontavano questa storia alla luce tremula di una candela nelle lunghe serate d’inverno… e i nostri genitori, allora piccoli ed esenti dai condizionamenti della tv ce lo hanno saputo trasmettere
ed io mi complimento con voi due sia l’autore Gaballo..che sia l’entusiastico commento di Raffaella Verdesca..Sono nato ed ho vissuto per vent’anni a poche decine di metri dalla Guglia..riferimento costante di chi abita nelle vicinanze..presenza rassicurante dell’identità soletana e curiosità inquieta quando la si guardava nelle notti dell’infanzia..Non conoscevo il possibile collegamento tra la Guglia e la carcara..di sant’Isidoro..ma tutto in effetti..pare compatibile..
La guglia è forse il piu bello tra i capolavori salentini del 1400…così affascinante da scoraggiare qualunque tentativo di imitazione..che pure c’è stato..
C’è di più, molto di più, ritengo.
Quel bellissimo “campanile/guglia”, ha “funzionato” come antenna ‘emittente’ per tanta architettura nel Salento. I leoni medievali, non i grifi angolari, ma quelli ai lati della bifora di un lato, del secondo livello, sono uguali a quelli del marcapiano del primo livello del campanile di San Domenico di Nardò (ne esistono anche in altri luoghi del Salento). Ci sono delle cose che non compariranno mai nei documenti d’archivio, perchè fanno parte dell’esperienza dell’artista o di chi decide, o commissiona, il quadro iconografico che sostiene quello iconologico. E la sua descrizione, dipende anche dalla sensibilità delle ipotesi, formulate, di chi traduce. I documenti non citeranno mai, per esempio, che l’ ingegnere Generoso De Maglie, di Carpignano Salentino (sulla direttrice Martano, Soleto) nella decorazione della facciata, proprio sotto la merlatura del Castello degli Acqaviva, sempre a Nardò (1901), riprende, dalla ricca architettura soletana (la guglia appunto), per eccellenza, avendola certamente in mente, gli archetti (di origine stilistica medievale) con mensoline che segnano i livelli (il primo solo beccatelli, il secondo e il terzo, misto beccatelli a ‘testine’ antropomorfe e apotropaiche, simbologicamente appartenenti alle varie fasi della crescita a della vita dell’uomo, comprese le sue trasformazioni bestiali o guidate da virtu’. Altre bellissime novità racconterò in futuro. La guglia di Soleto, è uno dei tesori più preziosi del Salento, dunque; un oggetto “primo” direbbe Henri Focillon, ancora da indagare.