di Pino de Luca
Nella tanto diffusa quanto sciagurata inclinazione alla semplificazione, intere generazioni di camerieri e sedicenti maestri di sala hanno perpetrato, impunemente, suggerimenti nella scelta del vino esclusivamente per … colore.
Ed eccoci al vino rosso per definizione e non-rosso per alternativa, così detto bianco. E pensare che il primo vino che assume moderna storicità è la Vernaccia di San Gimignano che costa il Paradiso al buon Martino IV (Purgatorio canto VI) e l’altrettanto famoso Chianti sono entrambi vini bianchi. Non si storca il naso, il Chianti nasce come vino bianco e di scarsa qualità (1398) diventa rosso e migliora solo dal 1427 …
E in questa dualità fasulla come quella del falso abbinamento chi ne ha pagato pegno, a cagion, si pensi, del colore è il rosato. Il più nobile, fresco e puro dei vini. L’ignoranza, da sempre, è assai più diffusa della canoscenza insita per missione nell’umana essenza.
La storia del rosato è stata escussa ampiamente, ma ribadirò ogni volta che il rosato è di negroamaro e salentino, può farsi anche altrove e con altri uvaggi.
E non vi è alcun dubbio che il primo rosato in bottiglia sia nato a Salice Salentino, nel 1943, quando gli alleati liberarono il mezzogiorno con l’operazione Husky.
Hanno sete le truppe alleate, bevono whiskey del Kentuky fatto di mais. Bevono il Four Roses. La leggenda vuole che Piero Leone De Castris venda una grossa fornitura agli americani che sia più buona del Four Roses e non poteva che chiamarsi Five Roses. In realtà si chiama così perché viene da una contrada che si chiama Cinque Rose, qualcuno dice che si chiami cinque rose per la tradizione dei Leone De Castris che vuole abbiano cinque figli, ma qui potremmo continuare all’infinito con le ricerche, che i Leone De Castris fanno vino dal secolo XVII-esimo…
Il Five Roses è sicuramente un riferimento per tutti i rosati italiani, personalmente ne son stato tifoso da sempre. Tanto che fu la mia bomboniera di nozze. Ci appiccicai una etichetta stampata con una stampante ad aghi e legai al collo il velo con i cinque confetti d’ordinanza, fu graditissima rammento. Annata 1982, ne serbo ancora una bottiglia.
Prodotto normalmente da un blending di negroamaro e malvasia (90-10, a volte 80-20) ha un colore tendente al corallo, a chi ama le ciliege ricorda il Durone della Marca, limpido e brillante, i profumi di fiori e di frutta, dalla rosa canina alla pesca bianca, si accompagnano bene al palato ampio, armonico, di gran morbidezza e notevole lunghezza.
Splendida acidità e nota alcolica, presente ma con molta discrezione, ne fanno un vino con il quale si può accompagnare una moltitudine di piatti.
Leggere un buon libro seduti all’ombra, a due passi dalla risacca lieve delle spiagge del Salento. Il sole di maggio è caldo in tarda mattinata. Posare il libro, foglie di salvia e di rosa in leggera tempura, il calice di Five Roses fresco non può che avere come sottofondo la voce roca di Louis Armstrong: What a wonderfull world.
E dio sa quanto, in questo momento, ho bisogno, abbiamo bisogno di pensarlo …
Il mio vino “estivo” preferito, nel nord d’Italia si trova a volte a prezzi assurdi