La veduta settecentesca di Maglie nella ceramica. Dal “Voyage pittoresque” del Saint-Non alla ceramica Ironstone.
A Cosimo Giannuzzi va dato merito di possedere, tra le tante, una straordinaria capacità: quella di investigare la città di Maglie tra le sue pieghe più riposte sortendone ogni volta con una preda storiografica ghiotta e ambita. È un po’ come la sindrome del Celacanto: il contesto dell’indagine come un normalissimo tratto di mare; il pescatore getta la rete e, tra vari esemplari ben noti, ecco spuntare inaspettato il fossile vivente, il Celacanto appunto. Giannuzzi ha, nel nostro piccolo, fatto una simile pesca miracolosa: vediamo perché.
Di Maglie nel ‘700 abbiamo sempre avuto l’idea di un centro abitato che da appena un secolo aveva raggiunto un suo status di emporio territoriale dopo secoli di grigiore civile: una città dal circondario rurale angusto che, subito dopo le grandi crisi dei prezzi secentesche, si era reinventata un’identità economica e culturale puntando tutto sul commercio. Sul finire del XVIII secolo Maglie ha già delle biblioteche, dei monumenti religiosi, un ceto di bottegai e di mediatori commerciali mobilissimi entro il reticolo dei fondachi e l’andirivieni dei fornitori.
Nel cuore agropastorale della Terra d’Otranto, Maglie è probabilmente per i viaggiatori stranieri del grand tour settecentesco un luogo molto più invitante di quanto non lo siano altri grossi centri: chissà perché, Galatina sembra verosimilmente scartata come sede di pernottamento e la squadra di disegnatori e famiglie al seguito di Dominique Vivant-Denon, impegnati nelle ricognizioni pittografiche del Voyage pittoresque commissionato dall’Abbé de Saint-Non, preferisce dormire sul pagliericcio nel convento francescano della Madonna delle Grazie a Soleto. Maglie, tuttavia, forse per quel suo aspetto di cittàdina linda e composta, forse per quella sua colonna sormontanta dalla Vergine e Madre che accoglie i viaggiatori provenienti a Napoli e dal nord, cattura subito l’interesse del gruppetto di “grand-touristes” francesi. Tra loro c’è un pittore, quel Louis-Jean Desprez che immortalerà con la bravura stilistica di pochi altri il Mediterraneo per terminare i suoi giorni – forse per incredibile e curiosa legge del contrappasso – nell’algida Scandinavia che lo ha adottato per i meriti del suo magistero.
Ebbene, Despréz fissa quella piazza e quella colonna con pochi essenziali tratti di matita; ne nasce una stampa che, dopo l’edizione del Voyage del 1781, conoscerà molte altre versioni via via sempre più approssimative, talora arbitrarie, infine depauperate di particolari. Ma quella stampa diventerà protagonista di una finora ignota vicenda delle arti minori: dico “finora”, poiché è stato Giannuzzi a scoprire – ed è questo il senso della sua importante pubblicazione – un legame tra la gravure di Desprez e l’iconografia delle ceramiche della tipologia flow blue di Ironstone.
È successo infatti che quell’immagine di Maglie e quei dettagli architettonici sono stati presi a modello per una decorazione vascolare che in decine e decine di varianti, in pressoché infinite fogge fittili, ha invaso e dominato il vasellame di moda nel mondo anglosassone tra il finire del XVIII e quasi tutto il XX secolo, con affioramenti di esemplari prodotti addirittura nelle manifatture danesi. Sulle dinamiche della trasposizione grafica di immagini mediche, zoologiche, botaniche, in generale scientifiche, nella fattispecie microscopistiche, e ancora geografiche, merceologiche e finalmente artistiche non sarebbe fuori luogo leggere le pagine illuminanti di Marc Ratcliff (Europe and the Microscope in the Enlightenement, tesi di PhD, Londra, University College, 2001) che spiega molto bene come l’oggetto, osservato e riportato su carta con un disegno per poi essere inciso su metallo e quindi essere stampato, sia il punto di convergenza di diverse professionalità e mansioni.
Lo storico italoinglese della scienza potrebbe suggerire la risoluzione alla domanda: come si otteneva nel ‘700 da una stampa un cliché per decorare una ceramica? Possibile traccia per l’approfondimento e l’espansione dell’indagine di Giannuzzi il quale, dal canto suo, coglie non semplicemente un aspetto della fortuna visiva di Maglie nel Secolo dei Lumi, ma un problema della comunicazione attraverso immagini in età precontemporanea.
Che egli non si accontenti di una risposta meramente compilatoria e intuisca la maggiore ampiezza tematica di questo processo di diffusione di luoghi e oggetti in età di Antico Regime è chiaro quando afferma che “la celebrità che consegue in Europa il Voyage pittoresque induce la Real Fabbrica Ferdinandea di Napoli a decorare con alcune vedute” una serie di porcellane di Capodimonte. […] Non sappiamo però se fra le vedute utilizzate per le ceramiche napoletane di questo periodo vi sia stata anche quella di Maglie”.
L’intuizione di Giannuzzi è quanto mai pertinente, anzi giusta. Nei depositi del Museo Nazionale di Capodimonte, a Napoli, è presente un vaso in porcellana con una veduta di Squinzano tratta dalle vedute del Voyage pittoresque, esattamente come quella di Maglie nella versione flow blue di Ironstone (cfr. Cristoforo Aldo De Donno, Epistolario di Giuseppe Michele Ghezzi. Corrispondenza con i familiari, vol. I, Lecce, ICJS, 2007, tavola fuori testo nn).
L’ipotesi, l’intento e il risultato del lavoro di Giannuzzi sono pertanto giusti. E se, come sembra, si dovesse scoprire che anche altre città e monumenti salentini, pugliesi o in genere meridionali hanno fatto da modello a manifatture ceramiche non solo anglosassoni ma anche nazionali, allora la ricerca di Giannuzzi mostrerebbe tutti i suoi punti di forza: nella descrizione analitica delle vedute dell’opera di Saint-Non; nello studio dei processi elaborativi dell’immagine dallo schizzo all’incisione; nella documentazione iconografica di questo processo; nella benemerita collezione di ceramiche recanti l’immagine di Maglie; nella localizzazione delle numerose manifatture di ceramica; nelle errate attribuzioni geografiche della località di Maglie raffigurata (Messico, Inghilterra, Grecia, Spagna etc.); infine nell’importanza di questo documento per la città stessa di Maglie.
Maglie fu tuttavia prescelta come modello exornativo vascolare perché riassumeva in sé tutti i caratteri della chimera mediterranea vanamente inseguita dai pellegrini del grand tour: lo straordinario mélange di semplicità della scena, solarità dell’ambientazione, armonia della distribuzione degli edifici nello spazio abitato, sublime affacciarsi della vegetalità arborea nel theatrum urbanum meridiano; il concetto, insomma, di una sintesi mirabile tra natura e cultura di cui quei vasi, quei piatti, quelle brocche e quelle tazze da tè furono, in quanto pratici e graziosi utensili domestici, hortus conclusus a portata di mano per un Mediterraneo, di volta in volta magnogreco, romano e rinascimentale, che fu agognato, reinventato e fruito anche nei piccoli gesti quotidiani della borghesia nordeuropea.
(Gino L. Di Mitri)
Complimenti all’autore Cosimo Giannuzzi per l’interessante sua pubblicazione su Maglie.
Sempre puntuale Gino L. Di Mitri, studioso molto apprezzato nel dare nota di quanto prodotto nel panorama culturale del nostro Sud. Ad maiora. Ermanno Inguscio