di Wilma Vedruccio
Da quando sua madre disse “tocca porti lu pane a casa, fiju miu”, aveva allora undici anni suppergiù, aveva impastato malta senza posa.
Impastato e trasportato malta fino a quindici, venti anni e poi per sempre.
Aveva visto crescere case d’ogni tipologia, secondo la moda del momento, a seconda delle possibilità te li cristiani, case che s’allargavano sempre più dal centro fino a che si parlò di “centro storico” e di periferia.
Era il primo a darsi da fare sul cantiere, fin dalla mattina presto impastava e impastava e poi era pronto a servire. “Conzaaa” e lui correva con il secchio o la carriola a portare l’ impasto che faceva crescere i muri e teneva saldi i mattoni per sempre. Gli piaceva quell’ impasto, grasso, morbido e traballante, somigliava alla pasta del pane, somigliava…alle mammelle della madre quando allattava il piccolo di casa.
Crescevano crescevano le case e lui sempre a correre per portare malta.
Si accorgeva a volte che un albero da frutto era sparito… ma era qui l’anno scorso, avevo mangiato buoni fichi per merenda…ora non c’era più…
Anche l’albero di noci, bello grande era sparito, e lu pajaru anche…più…
Le case intanto non erano più case ma casamenti alti, grandi e brutti, per decine e decine te cristiani, crescevano veloci in pochi mesi, tutti uguali.
Anche la conza non era più la stessa, lui non poteva farci niente, il capocantiere gli aveva detto più volte di aggiungere acqua, di allungare…
Il capocantiere, il geometra, l’ingegnere, l’architetto ( questo prima non c’era), ora arrivavano con macchine sempre più grosse, grandi come le case di una volta, lui andava e veniva con la bicicletta, gli bastava, e poi il vento sulla faccia e fra i capelli gli portava via un po’ del tufo che li incrostava.
Certo che il tufo lui se lo portava sempre appresso, non lo abbandonava mai, anche durante le feste del paese, aivoglia a lavarsi e mettere la camicia nuova, la conza gli stava appiccicata fedelmente. Le ragazze ridevano di lui.
Quando la periferia non ebbe più fine, il nostro amico lasciò di fare conza. Suo nonno, benettanima, gli aveva lasciato una piccola zona nicchiarica, meno di un’ara, lontana da ogni strada. Lui la spietrò e si costruì un rifugio a secco… senza conza. Coltiva fiori e pomodori insieme ed è felice.
sono delle storie interessanti e piacevoli da leggere specie in questo BEL SOLLEONE
I miei complimenti, per quanto possano valere.
Beh, i complimenti aiutano a baipassare insicurezze…grazie!
Galeotto fu il solleone? vuol dire che con temperature più “umane” le mie storie perdono di efficacia? ;)
Grazie per queste chicche maestra Wilma, leggo con piacere tutti i suoi racconti!
Con questo nome e con parole così gentili…c’è solo una signora, una Signora Mamma :) grazie