di Valeria Sasso
Ugento, Città d’Arte. Un’arte, dalle molteplici forme, che evoca secoli di storia; un’arte che suggestiona e conforta l’osservatore contemporaneo perché frutto gentile e nobile del genio umano.
Emblema di quest’arte eloquente è la cripta detta del Crocefisso, un luogo di culto ipogeo, scavato nella roccia, che racchiude mirabili affreschi, echi di cultura bizantina. Detto ipogeo è situato all’ingresso di Ugento per chi vi giunge da Casarano, in un’area, di notevole interesse archeologico, che registra la presenza umana almeno dal IV secolo a.C. È opportuno ricordare, brevemente, la presenza di un tratto del circuito murario della città messapica, conservatosi in località denominata Porchiano (a sud-ovest dell’ipogeo); il rinvenimento di una necropoli messapica in località denominata S. Antonio (a sud-est dell’ipogeo); l’esistenza di un villaggio rupestre, forse di origine tardo-romana, a nord dell’ipogeo; il recente rinvenimento di alcune tombe medioevali presso il lato occidentale dell’invaso.
Il contesto si arricchisce ulteriormente se si considera l’ubicazione della cripta di Ugento sulla cosiddetta Via Sallentina. Il percorso di quest’ultima si evince dalla Tabula Peutingeriana, una rappresentazione cartografica del mondo antico redatta, probabilmente, nel IV secolo d.C. ma pervenutaci in una copia medioevale. La Tabula offre un quadro completo del sistema stradale della penisola salentina: vi sono indicate la via Appia, la via Traiana, il suo prolungamento “calabro” (da Brindisi ad Otranto) e la via “salentina” (da Otranto a Taranto attraversando Castra Minervae, Veretum, Uzintum, Baletium, Neretum e Manduris).
Acquisita al patrimonio del Comune di Ugento, la cripta è stata sottoposta ad accurati interventi di restauro conservativo delle strutture murarie e degli affreschi ed è stata restituita al pubblico, in uno splendore rinnovato, il 13 gennaio 2006.
I predetti interventi, oltre a migliorare la leggibilità delle decorazioni già note, hanno permesso l’individuazione e la riapertura dell’ingresso originario (posto sulla parete occidentale dell’invaso), nonché la scoperta di inediti affreschi.
Le nuove acquisizioni hanno offerto maggiori possibilità di comprensione e di interpretazione: il programma iconografico, come in altre chiese rupestri dell’Italia meridionale, appare di tipo votivo, legato ad una committenza privata e ad una funzione funeraria; sembrerebbe, dunque, superata l’ipotesi di una funzione eremitica.
L’aspetto odierno della cripta è il risultato di modifiche operate in età moderna, probabilmente a partire dal sec. XVI, consistenti nell’elevazione, sopra l’ipogeo, di una semplice costruzione, funzionale all’attuale ingresso (posto sul lato settentrionale); nella collocazione di due colonne all’interno, sostenenti un soffitto prevalentemente piano; nell’aggiunta di un altare sulla parete orientale, sovrastato da un affresco seicentesco raffigurante la Crocifissione (da cui il nome della cripta).
La semplicità dell’architettura esterna cela il fascino, quasi inaspettato, dell’ambiente sottostante. Vi si accede attraverso un portale cinquecentesco, animato da una cornice in bassorilievo con motivi vegetali, e una ripida scalinata con copertura a botte. Varcando il portale di accesso lo sguardo si posa immediatamente su una lunetta affrescata con la Presentazione di Gesù al Tempio (di tarda realizzazione rispetto agli altri affreschi).
È sufficiente percorrere la scalinata per sentirsi immersi in un nuova dimensione, silente, eterea, amorevolmente custodita da chi la “abita”. L’ipogeo, il cui spazio interno è pressappoco trapezoidale, presenta, infatti, pareti dominate da immagini sacre e da una scena Cristologica: l’Annunciazione (fine XII – inizi XIII secolo). Quest’ultima costituisce il tema del primo pannello che caratterizza la parete settentrionale dell’invaso; la figura della Vergine è raffigurata stante, con il capo lievemente chino verso l’Arcangelo Gabriele che, di piccola taglia, compare alla sua destra, come fosse affacciato da una torre. La Vergine stringe nella mano sinistra un sottile fuso, umile oggetto di vita quotidiana.
All’Annunciazione segue l’immagine dell’Arcangelo Michele, venuta alla luce nel corso dei recenti restauri, accompagnata da una committente inginocchiata ai suoi piedi. L’iconografia dell’Arcangelo Michele, tra l’altro, si può considerare, dal punto di vista cultuale, il punto di confluenza tra Longobardi, Bizantini e Normanni.
La parete orientale, oltre all’affresco seicentesco della Crocifissione (Cristo è tra i due ladroni, ai suoi piedi sono la Maddalena e san Giovanni), presenta la figura monumentale di san Nicola (fine XIII – inizi XIV secolo), a mezzo busto, che indossa il costume episcopale bizantino, benedice alla greca e regge, nella mano sinistra, un libro con una croce decorante la copertina. Segue, sulla medesima parete, l’immagine di Cristo Pantocratore (fine XIII secolo), benedicente alla greca, i cui lineamenti del viso richiamano, con immediatezza, il fascino del mondo greco-orientale.
Sulla parete meridionale due pannelli condividono lo stesso nobile soggetto, la Vergine con Bambino; il primo è quello dell’Eleousa (fine XII- inizi XIII secolo), la Vergine della Tenerezza che stringe a sé il Bambino con infinita dolcezza ed incondizionata protezione, come solo una madre è capace di fare. Alla destra del pannello, in basso, si nota l’immagine di un donatore, di taglia monumentale: probabilmente i committenti, di volta in volta diversi, si sono fatti raffigurare ai piedi dei loro santi più venerati, palesando il ruolo privato della chiesa rupestre di Ugento.
All’Eleousa segue l’Odigitria in trono (fine XIII secolo) che regge il Bambino con il braccio sinistro, mentre con la mano destra mostra un giglio, simbolo di purezza e probabile allusione al regno angioino (un giglio compare anche nella decorazione del soffitto); desta stupore l’orecchino, a forma di croce, applicato all’orecchio sinistro del Bambino.
L’analisi degli affreschi parietali mette in luce il rilievo conferito alla Vergine, rappresentata per ben tre volte, nonché la presenza di immagini concepite come icone indipendenti, che sembrano vivere limitatamente allo spazio della cornice, talvolta accompagnate da brevi iscrizioni.
Estremamente interessante, peculiare e motivo di dibattito è la decorazione totale del soffitto (XIII secolo) comprendente stelle a otto punte, alcune rosse ed altre nere, elementi vegetali, animali, bizzarre figure fantastiche dalla possibile funzione apotropaica e scudi, crociati di rosso e di nero, racchiusi entro un fitto reticolo. Questi ultimi hanno fatto ipotizzare l’appartenenza della cripta di Ugento all’Ordine dei Templari o dei Teutonici.
In realtà, non è possibile ritenere assoluto e definitivo quanto ipotizzato sino ad oggi su immagini e simboli che animano l’ipogeo in questione. Messaggi indecifrabili continueranno ad appassionare l’uomo, a stimolare le sue ricerche, ad essere oggetto di nuove ed entusiasmanti interpretazioni. Libere da ogni tentativo di schematizzazione e di analisi oggettiva sono, invece, le emozioni che esplodono e pervadono l’animo quando si osservano gli sguardi, intensi e rassicuranti, delle immagini affrescate… forme di un’arte comunicativa.