di Vincenzo Ampolo
In un intervallo tra un inverno ed una primavera, tra un rapporto analitico ormai consumato ed un’altro che si annunciava dolorosamente necessario, mi lasciai trasportare da un carnevale di emozioni che mi condusse in una città di mare, tra mucchi di case abbracciate le une alle altre, stradine strette e madonne dipinte sugli archi di piazze piccole come cortili.
In una di queste piazze, porta d’accesso al corpo profondo della citta’, si affacciava una finestra, che per molto tempo apparve misteriosamente chiusa come a custodire gelosamente un segreto indicibile.
Poi un giorno, come per il ritorno improvviso da un viaggio, la finestra si aprì, e apparve il viso di una donna-bambina che mi guardò a lungo con occhi tanto teneri e struggenti da impedirmi di volgere lo sguardo, anche quando lei sparì all’interno, misteriosamente com’era apparsa.
Il turbamento che quello sguardo mi procurò, sembrò crescere nei giorni e nelle settimane che seguirono.
Arrivavo dal mare, entravo timidamente nella piccola piazza silenziosa e, senza perdere di vista la finestra chiusa, iniziavo a muovermi su e giù, e poi intorno, e appena un attimo di sosta a riprendere fiato e ancora con movimenti leggeri a muovermi lungo i bordi, come in un bacio che scalpita per aprire altre porte, per ritrovare altri misteri, per esplorare passaggi oscuri che portano verso mondi indicibili.
Lei, sentivo, era lì a guardarmi, protetta dal buio della sua stanza.
La precedenza del suo sguardo seducente feriva i miei sensi, rubava potere al mio ardire.
Avrei potuto trovare una scusa per suonare alla sua porta, per vederla io, nell’interezza della sua figura, e farla preda di me come io lo ero ormai di lei, di lei soltanto.
Ma tutto ciò mi era impedito dalla forza stessa di quello sguardo, che mi teneva lontano, pure se schiavo di quei luoghi a lei vicini, che diventavano per me i luoghi della ricerca disperata di qualcosa di inafferrabile.
La notte ero lì, nel buio, a cercarla insieme ai cani randagi che abbaiavano alla luna, ero lì, con gli occhi fissi alla sua finestra.
Il pensiero di lei mi possedeva così intensamente, tanto da riempire ogni attimo delle mie giornate, da colorare di senso solo ciò che di lei parlava.
Il porto, la piazza con quel cerchio d’alberi sotto i quali mi proteggevo dal vento freddo della sera e quella strana finestra chiusa come un cuore ferito, erano i luoghi del mio desiderio ed al tempo stesso della mia impotenza.
Le immagini arrivavano con i pensieri senza averle cercate.
Immagini e pensieri si allontanavano da me e prendevano forma autonomamente.
La sentivo addosso come un lupo affamato, che nel momento dell’aggressione ritraeva i denti per offrirmi una lingua di fuoco.
In quei momenti la paura mi gelava il sangue impedendomi d’essere se non la stessa paura pietrificata, una corazza da cui difendermi dalla lingua del lupo sul mio collo.
Poi qualcosa successe…
Una donna, dai capelli argentati, spesso guarda fuori dalla finestra; vede la piazza oltre la quale vi è il porto.
Al tramonto il sole gioca a nascondino tra i palazzi alti, screziando le onde del mare dei colori più belli.
Parole snelle muovono passi tra i righi, a tratti veloci, a tratti lenti. Seducono come gli occhi misteriosi della donna-bambina del racconto, stendono le loro preziose esche, fatali per il lettore, lo stesso che rotola sulle stradine percorse dal protagonista alla ricerca di un volto, di un segno, di una risposta. Nero e rosa s’intrecciano, batte il desiderio come la coda di un pesce sulla sabbia e diventa un gioco pericoloso di curiosità e seduzione. In questo momento invidio Vincenzo che conosce la chiave capace di svelare la storia di quegli occhi, di chiarire l’identità di un cuore chiuso al mondo come imposte serrate. Un flash sensoriale improvviso, gli occhi ipnotici di un lupo in un crescendo di passione e morte infittiscono il mistero lasciando il passo a una donna dai capelli argentati che guarda attraverso una finestra e si chiude, per ora, la nostra fortunata porta sulla virtuosa scrittura di Vincenzo Ampolo.