Un ritratto di Maria d’Enghien
Donna dei sui tempi. Donna oltre i tempi.
Donna di questi tempi
Contessa, Principessa, Regina, Sposa, Madre, Guerriera, Mecenate, Amministratrice. Maria d’Enghien è una di quelle poche donne dell’Italia meridionale di fine Trecento e della prima metà del Quattrocento che riuscì a rivestire ruoli innovativi, emancipati, concreti ed operativi, grazie alle sue “meravigliose doti d’animo”. Un carisma salentino ed un modello femminile di straordinaria attualità. Nacque nel 1367, divenne contessa di Lecce a soli 17 anni, e sposò il principe di Taranto e conte di Soleto e Galatina. Raimondo Orsini del Balzo, innamorato della “nostra Maria” (come familiarmente veniva chiamata dai leccesi) organizzò in suo onore diverse giostre, fu il padre dei suoi quattro figli e la coinvolse nei progetti governativi come la fondazione del Tribunale “Concistorium Principis” per l’amministrazione della giustizia.
Durante il loro matrimonio realizzarono mirabili architetture ed opere d’arte come la sontuosa Basilica di S. Caterina a Galatina e l’elegante Guglia di Soleto, diedero vita ad un glorioso sviluppo culturale e costituirono uno dei più ricchi e potenti feudi. A pochi mesi dalla morte di Raimondello, avvenuta nel 1406, Maria “armata di una pansiera d’argento, tutta ornata di gioie con un elmo del medesimo metallo sopra un gran corsiere…seguita da duecento cavalieri” combattè con coraggio e valore a Taranto contro Ladislao, re di Napoli, che militarmente ambiva ad occupare e regnare sulle sue amate e prestigiose terre. Per mettere fine alla battaglia il re propose alla “bella, intrepida e avventurosa” principessa di diventare regina. La contessa salentina, nonostante venisse sconsigliata nell’accettare la proposta nunziale, poiché le due precedenti mogli del re avevano subito un destino misterioso ed infelice, decise di indossare il regale anello, per ambizione personale, per tattica politica, per amore dei suoi beni e del suo feudo, per il futuro dei suoi adorati figli, per timore di perdere la guerra. ll cronista Loise de Rosa narra che Maria, ad uno dei cavalieri che la dissuadevano dalla scelta, domandandole “e non pensate voi che il re, avutavi nelle mani,…vi può mandare a morte?”, rispose fieramente “nun me nde curo, chè se moro, moro regina”.
Il matrimonio tra la quarantenne contessa-principessa ed il trentunenne re di Napoli venne celebrato a Taranto, nella Cappella di S. Leonardo il 23 aprile 1407. Un mese e un giorno dopo, Maria partì per Napoli, dove venne accolta favorevolmente dai cittadini, e fu costretta a convivere con le amanti del re a Castelnuovo. La maggior parte dei cronisti e sudditi l’hanno sempre creduta in oblio, sola e dimenticata, tanto che “stava più a modo di prigioniera che di regina”. In realtà, nel periodo in cui indossò la corona da regina, il suo ingegno si invigorì, fu libera di uscire, visse i divertimenti, colse gli stimoli culturali della regia, diventata fulcro di scienziati e di bel vivere, completò l’educazione dei figli avviata a Lecce e collaborò all’amministrazione dello Stato, in virtù di un talento ed una predisposizione innata in ambito politico. Tra l’altro, durante gli anni a corte, la regina non trascurò la sua contea in favore della quale ottenne dal marito Ladislao la concessione di privilegi. Dell’esperienza napoletana, la perspicace ed intelligente Maria ne fa tesoro ed in lei si aprono nuovi orizzonti e conoscenze, che porterà al ritorno nella sua terra d’origine. Nel 1414 Ladislao morì e sua sorella Giovanna II, donna spietata, spregiudicata, omicida e lussuriosa, fece imprigionare Maria, che, una volta liberata da Giacomo della Marca, tornò nella sua amata Lecce. Non ancora cinquantenne, la contessa d’origine angioina, fin dal suo rientro salentino, dimostrò le sue eclettiche, indiscusse e non comuni capacità. Per un trentennio si occupò con incredibile spirito d’avanguardia di tutti gli ambiti ed i settori che garantiscono quella che oggi definiamo la sana “qualità della vita” legata al concetto di sviluppo sostenibile. Nel 1445 emanò gli “Statuta et capitula florentissimae civitatis Litii”, simbolo di una saggia amministrazione della città, convinta “che in tucte le cità bone se suole vivere con ordine et boni Statuti in tucte cause”, preoccupandosi, ad esempio, di disciplinare la pulizia della città, di fornire norme da seguire in caso di incendi, di far mantenere ai cittadini un comportamento decoroso e rispettoso delle persone e dei beni altrui. Con questa sorte di codice riguardante il municipio vietò ogni forma di violenza e l’uso di armi proibite, il correre a cavallo, il vendere materie avvelenate. Applicò un giusto sistema d’imposta, sviluppò il commercio e l’industria. Con l’amministrazione della contessa di Lecce si diffuse l’arte del tessere drapperie, dell’oreficeria, degli intagli di legno e della scultura. Riuscì a ristabilire rapporti d’interesse economico con la Repubblica Veneta da cui si importavano soprattutto tessuti e vetri in cambio di prodotti tipici pugliesi, e fece restaurare l’antico molo romano di S. Cataldo, che diventò un porto vivace, dove i mercanti veneti potevano disporre di uno scalo franco, adoperato successivamente anche da commercianti genovesi, ebrei, fiorentini, greci, albanesi. Sviluppò, quindi, un territorio con valenze multietniche e cosmopolite. Sotto la sua contea il territorio progredì, fu rinnovato e visse nel benessere. Negli atti pubblici cominciò a sparire il latino e s’innescò il dialetto ed il volgare usato anche dalla contessa Maria nelle lettere scritte ai suoi parenti.
La d’Enghien mirò anche e soprattutto a promuovere l’Arte, affermando il gusto estetico, consapevole del valore celebrativo che l’architettura e la pittura hanno sulla storia di un committente e di una civiltà, devota al sontuoso progetto edilizio avviato dal e con l’amato marito Raimondello Orsini.
La nostra bella Maria amò il bello e l’eccellenza. Fece completare, a Galatina, la chiesa di Santa Caterina in cui commissionò gli affreschi realizzati tra il 1417 e il 1446, come, ad esempio, il ciclo mariologico, che molto probabilmente rappresentò un suo omaggio speciale e particolarmente sentito alla Vergine di cui portava il nome. Tra le tante scene in cui compaiono numerosi personaggi con una molteplice varietà di volti, abiti, caratteri, attività, vi sarà indubbiamente il ritratto della committente, un modo per evidenziare la sua sponsorizzazione dell’opera d’arte, per comunicare la sua fede ed aderenza alla Sacra Scrittura ed alla Chiesa, per indicare che gli eventi cristiani avvengono quotidianamente in ogni contesto storico e geografico senza limiti di tempo e di spazio. Maria potrebbe essere identificata nell’unica donna presente all’interno di un riquadro della navata destra, in cui è raffigurato l’imperatore Teodosio, che inginocchiato bacia il piedino di Gesù in braccio alla Madonna con accanto San Giuseppe. La contessa d’Enghien è alle spalle della Vergine, con le braccia incrociate e fissa noi spettatori, in tipico atteggiamento di committente. Personifica il canone di bellezza del periodo storico in cui visse: bionda, con volto ovale, occhi a mandorla, carnagione chiara. Emana sicurezza, fierezza, forte personalità e bellezza per la quale era nota in tutto il Regno. Non è azzardato individuarla, inoltre, nella sposa incoronata affrescata nel “Matrimonio” all’interno della vela dei Sacramenti ed in una donna del “Trionfo della Chiesa” nella seconda campata.
Maria visse in molte dimore soprattutto leccesi, che possono essere considerate tappe significative del suo exscursus biografico ed indicatori delle sue personali esigenze. Al ritorno da Napoli ripopolò il suo ampio palazzo dei conti di Lecce, che nel 1435, col consenso del figlio Giovanni, vendette alla famiglia Guarini. Abitò anche nel mastio del castello incastonato nell’attuale architettura militare di Carlo V. Villeggiò frequentemente nella Torre di Belloluogo, sua residenza prediletta, in cui poteva rigenerarsi in un paradisiaco giardino e nelle acque del ninfeo. Ma considerò le proprie dimore più importanti Lecce ed il Salento che amò e difese con passione, rendendole eleganti, floride ed evolute con le sue opere d’incommensurabile valore civile, sociale, culturale, artistico, religioso ed economico, che permisero di creare un modello di città avanzata, precorrendo i tempi moderni. La nostra Maria morì quasi ottantenne, il 9 maggio 1446 e fu sepolta nell’antica Chiesa di S. Croce adiacente il mastio leccese, distrutta durante la realizzazione del castello aragonese, in una splendida arca mortuaria, descritta dal Ferrari, in cui il ritratto della regina era accompagnato dalle emblematiche immagini raffiguranti la Prudenza, la Giustizia, la Fortezza, la Temperanza, la Carità, la Fede e la Speranza, che non sono celebrano le virtù della Chiesa, ma anche le qualità personali della contessa d’Enghien.
La bella contessa dai grandi occhi, che riflettono la sensibilità della sua mente e l’intelligenza del suo cuore, merita di essere ancora ammirata dai nostri sguardi in un viaggio che evidenzi e si soffermi sulle sue incantevoli orme storiche così ancora magicamente contemporanee.
Sarebbe auspicabile risvegliare, promuovere, diffondere e valorizzare, tramite mirate iniziative culturali e specifici ed alternativi itinerari tematici dei suoi luoghi e delle sue opere celebrative, con metodi e progetti innovativi ed accattivanti, la figura di Maria d’ Enghien, che può e deve diventare un filo conduttore per la conoscenza del territorio locale, la cui identità non è rappresentata esclusivamente dalla risorsa “barocco”.
La figura più interessante e allo stesso tempo più misteriosa della nostra storia. Senza dubbio! Grazie Daniela
Condivido, Pierpaolo.
E’ una figura complessa ed eclettica.
Amo particolarmente questa donna, intrigante, intelligente, emancipata e colta, che ha segnato la storia e le storie del nostro meraviglioso Sud.
Grazie a te, per aver letto il mio ritratto di penna :)
Non è misteriosa Maria d’Enghien, nè risulta sia mai stata imprigionata. Complimenti a Daniela per l’affresco e per le proposte avanzate, che ritengo giuste e doverose.
Cordiali saluti.
Fernando Guida
Fernando, in quanto studioso serio proprio di quella fase della storia salentina, ovviamente ha i mezzi per vedere di più intorno a questa figura. Il lato misterioso a cui mi riferisco non è relativo solo all’epoca (per molti versi tuttavia non ancora messa a fuoco), quanto alla personalità stessa di Maria. Persino il suo ritratto, l’unica immagine che si ipotizza la ritragga, resta in fondo presunto…
Grazie Fernando per l’apprezzamento che so essere sincero. In effetti, a differenza dei leccesi che la credevano “prigioniera”, come riportano alcuni biografi della d’Enghien, ritengo, invece, come ho pennellato nel mio ritratto, che “nel periodo in cui indossò la corona da regina, il suo ingegno si invigorì, fu libera di uscire, visse i divertimenti, colse gli stimoli culturali della regia”.
Il “mistero”, come riflette Pier Paolo, risiede nella sua complessa personalità, negli aspetti caratteriali, in alcuni tratti biografici legati al suo privato, nelle sue alchemiche scelte manifestate anche nelle immagini iconografiche, etc..
E questo suo “mistero” e tanti altri risvolti ed eventi a lei strettamente legati e che spaziano dall’arte alla letteratura, dalla politica all’economia, dal costume alla religone, …sono un richiamo a scoprirla, conoscerla ed apprezzarla.
Per quei tempi Maria d’Enghien, per tutta la sua intensissima vita, fu una donna che oggi noi qualificheremmo “solare”. Proprio per le considerazioni così ben esposte da Daniela. E poi, caro Pier Paolo, visto che qualcuno la vuole nata nel castello di Copertino, non la vogliamo simpaticamente definirla anche un po’ …..macinnulara!?
Credo che fosse anche un po’ macinnulara ;)
Chissà se anche per questo motivo (la simbologia dell’iconografia è ampia e articolata) la Eva “punita” e cacciata dal paradiso terrestre, affrescata a Galatina, è intenta a filare con il fuso e la conocchia in mano.
Interessantissimo è il connubio Maria d’Enghien-Copertino.
Come ricorda Fernando, alcuni biografi indentificano Copertino come sua città natia (anno 1376)
I d’Enghien furono signori di Copertino e lo elevarono a contea, che Maria d’Enghien donò a sua figlia Caterina Orsini del Balzo, in occasione del suo matrimonio con Tristano Chiaromonte.
La presenza di Maria, a mio avviso, a Copertino è preziosamente testimoniata dalla cappella gentilizia all’interno del castello con gli affreschi di S. Maria Maddalena.
Ben detto Fernando ;)
vedi il libro di Mons. Antonio Antonaci, Galatina Storia & Arte, Panico editore, Galatina 1999, dove l’autore parla proprio della prigionia della regina di Napoli in Castelnuovo, se ricordo bene, ad opera della sorella di Ladislao, Giovanna. Su Maria d’Enghien i galatinesi diffusero un detto antico “facisti lu catto della Maria Prendi”, ancora oggi ricordato, dove Prendi era l’alterazione di Brienne, la casata di origine della regina. Il riferimento del detto era ad un ottimo acquisto fatto dalla regina in favore dei suoi figli.
Le cronache raccontano che la regina di Napoli, Giovanna II, dopo la morte di suo fratello Ladislao (secondo marito della d’Enghien), fece imprigionare la cognata Maria ed i suoi figli. La storia-leggenda narra che Maria, una volta liberata e tornata nel Salento, per vendicarsi, fece affrescare il serpente della genesi e del peccato (Basilica di Santa Caterina a Galatina) con il volto della cognata.
Alcuni studiosi sostengono, inoltre, che la committente Maria d’Enghien fece ritrarre la cognata anche nella raffigurazione di Babilonia (la prostituta che cavalca il mostro a sette teste).
Si sa esattamente quando fu commissionato l’affresco?
Ho molto ammirato l’articolo di Daniela Bacca, e rivolgo i miei pi sinceri complimenti per la cura del contributo in cui ha magistralmente rappresentato la poliedrica figura della regina di Napoli, D’Enghien, molto amata dal popolo salentino e galatinese in particolare. Sempre nel libro di Antonaci, si fa menzione del fatto che le sue spoglie non furono mai ritrovate nella chiesa di Santa Croce a Lecce, nel momento in cui la chiesa fu rifatta. Nella stessa dovrebbe essere sepolta anche la figlia Isabella, moglie di Tristano di Clarmont, il genero che aiutò la regina a fuggire da Castelnuovo. Il tutto, vado molto a memoria del libro…….
Grazie anche a te, Tommaso, per l’apprezzamento.
Relativamente alla biografia ed albero genealogico di Maria d’Enghien, sulla base delle fonti e degli studiosi, precisiamo che:
– era nipote di Isabella di Brienne e Gualtieri d’Enghien
– era figlia di Giovanni d’Enghien e Sancia del Balzo
-ebbe, da Raimondello Orsini del Balzo, 4 figli ( Maria, Caterina, Giovanni Antonio e Gabriele)
– sua figlia Caterina sposò Tristano di Chiaromonte, i quali ebbero 7 figli, tra cui la nota Isabella che sposò Ferdinando d’Aragona.
un contributo:
http://www.micello.it/wordpress/?p=4156
Isabella di Clermont è nipote, non figlia, di Maria d’Enghien. E’ sepolta nella chiesa di San Pietro Martire a Napoli.
maria d’Enghien e raimonello orsini ebbero 4 filgi:2 maschi e due femmine, e una si kiamava isabella orsini del balzo coniugata con tristano o cristano clarmont, che liberò la suocera dalla prigionia di castelnuovo….
No! La figlia di Maria d’Enghien si chiamava Caterina e dal suo matrimonio con Tristano di Clermont o Chiaromonte nacque Isabella che divenne regina di Napoli. Se non basta questa laconica replica, prego consultare gli atti del Convegno Internazionale sulle relazioni tra Clermont l’Hérault e Copertino, svolto nel castello della città del Santo dei Voli nel settembre 2006. E tante altre pubblicazioni sull’argomento. Ma perchè Daniela non interviene per confutare le inesattezze?
Sempre cordialmente.
Fernando
e ad isabella orsini del balzo toccò il feudo di galatone – copertino (?) che il fratello giovanni antonio orsini del balzo mise a ferro e fuoco
SICURAMENTE AVRò FATTO QUALCKE CONFUSIONE CON I NOMI, ANDANDO MOLTO A MEMORIA, SENZA RI-CONSULTARE I TESTI….KIEDO VENIA……….A TUTTI
bellissimo articolo, vorrei citarlo nella mia tesi sulla Puglia nel Quattrocento: potrei avere dei riferimenti più precisi per la citazione?