di Paolo Rausa
Attore, regista e scrittore, Carmelo Bene, un uomo che ha trasformato ogni messa in scena possibile, è nato a Campi Salentina in provincia di Lecce il 1° settembre 1937. A dieci anni dalla scomparsa lo ricordiamo con le parole del Marco Giusti, voce fuori campo nella trasmissione televisiva “Bene! Bravo!”: “Un giovanotto magro, nervoso, spiritato, venuto dalle Puglie per inventare a Roma un suo personalissimo teatro. Si chiama Carmelo Bene. Non ha ancora trent’anni. Ha già scritto il romanzo Nostra Signora dei Turchi. Ha diretto come attore, autore e regista, una decina di spettacoli. Dieci spettacoli, dieci polemiche clamorose. È un istrione? Oppure: è un genio? È un mistificatore? Su questi giudizi il pubblico e la critica si interrogano…” Siamo tra il 1965 e il 1966. Nel 1967 Carmelo Bene inizia la sua esperienza da regista cinematografico, arrivando l’anno successivo a vincere il Leone d’Argento al Festival di Venezia con quello che viene considerato il suo capolavoro: Nostra Signora dei Turchi. Nel 1981, con la Lectura Dantis dalla Torre degli Asinelli di Bologna, recita la Divina Commedia davanti ad un pubblico di oltre centomila persone, in occasione del primo anniversario della strage della stazione. Lancia così due sfide – una costante della sua attività artistica: una culturale e l’altra politico-sociale.
Negli anni successivi porta sulle scene teatrali numerose opere. Per citarne alcune, nel 1983 viene rappresentato il Macbeth al Teatro Lirico di Milano, L’Egmont in Piazza Campidoglio a Roma, l’Adelchi nell’84 sempre al Teatro Lirico di Milano, la seconda edizione dell’Otello nell’85 al Teatro Verdi di Pisa, il Lorenzaccio nell’86 al Ridotto del Teatro Comunale di Firenze.
Il 12 settembre dell’87 è a Recanati per rendere omaggio al grande poeta Leopardi e recita i Canti, mentre il 10 novembre dello stesso anno è al Teatro Piccinini di Bari con l’opera Hommelette for Hamlet, dissacrante fin nel titolo.
Il 16 marzo del 2002 Carmelo Bene muore a Roma. “Non è solo l’amico che manca, – ricorda Giancarlo Dotto – ma quella voce, chissà dov’è andata, quella voce che ci dava calma e forza, quella voce che ci dà la nostalgia di tutto ciò che abbiamo perduto senza averlo, peraltro, mai avuto!”.
Dotta e accurata commemorazione di un nostro conterraneo illustre e illuminato. Paolo Rausa ce lo fa amare regalando a questi righi un pizzico di quell’anima inquieta che Carmelo Bene si portava dentro per donarla poi al suo pubblico attonito sottoforma di passione allo stato puro.
Un vero artista non si dilunga a sostare nei suoi successi, ma sorvola lieve quelli ancora a venire perchè ciò è scritto nel suo DNA e Paolo, con la sua scrittura precisa ed elegante, ce lo fa ben assaporare. E’ vero che la magnificenza dei grandi ci sfiora ma non ci appartiene, ma è anche vero che in quella sua nostalgia si nasconde tutta l’umana pulsione verso l’eternità del bello.
Circa una decina di anni fa, Carmelo Bene di Vignacastrisi, cugino ed omonimo del grande attore, in seguito ad alcune mie richieste di particolari sul suo famoso parente, mi raccontò che da ragazzino volle sperimentare dal vivo la reazione spontanea della gente davanti all’incendio di una casa. Per far ciò, mise fuoco ai mobili e alle suppellettili della sua abitazione, poi insieme al suo omonimo cugino (quello che mi ha raccontato il fatto) si nascose per non essere visto e con interesse osservava la reazione della gente e dei suoi genitori davanti alle fiamme che invadevano la casa.Questa aneddoto (vero) è una dimostrazione del binomio genio/sregolatezza che solitamente accompagna i grandi della storia sin da quando sono ancora ragazzini.
Ho avuto la fortuna di assistere a Roma a tutti gli spettacoli di Carmelo Bene. Quell’uomo sprigionava una forza, una voce, un delirio che mai s’erano visti in scena. Il pubblico era soprattutto femminile, non solo perché era un bell’uomo, ma per quella voce che si faceva corpo toccando tutte le altezze sonore del creato. E lo spettatore era lì incantato a godersi uno spettacolo unico al mondo. La scena poi, di un barocco che portava alla nostra terra salentina: fiori rossi a dismisura, drappi e scene dai mille colori. Te ne uscivi dal teatro come se avessi partecipato a un amplesso e già ti mettevi in attesa per il prossimo spettacolo. Ci manca Carmelo Bene, era unico Carmelo Bene, neanche a inventarlo ci può essere più un Carmelo Bene.