UN ASSALTO DI PIRATI SULLE COSTE DI UGENTO DESCRITTO IN UN DOCUMENTO DEL 1752
di Ennio Ciriolo
Il 18 aprile del 1752 un grande veliero con un albero a vela latina (tartana), partì dal porto di Manfredonia per raggiungere Napoli, capitale del Regno, con un carico di cinquemila tumuli di orzo. Un tumulo è pari a circa 15 Kg. Quindi, la tartana doveva far arrivare a destinazione circa 75.000 Kg di orzo. La Puglia era considerata il granaio del Regno di Napoli e, infatti, la maggior parte dei carichi mercantili provenienti dalla Puglia, trasportavano frumento.
La tartana si chiamava Immacolata Concezione ed Anime del Purgatorio e l’equipaggio era composto dal comandante Michele Guida e dai mozzi Salvatore di Palma, Egidio Rossano e Michele Visco, tutti provenienti da Vico Equense, una delle più belle città del napoletano affacciate sul mare.
Il percorso più rapido per un’imbarcazione salpata da Manfredonia era quello di arrivare a Capo di Leuca e da qui proseguire per le coste calabresi, passando poi per lo stretto di Messina e risalendo infine per Napoli. La distanza non doveva superare le 600 miglia nautiche. Certamente il tragitto non era dei più lunghi se paragonato alle grandi traversate di ciurme che praticavano il commercio via mare fin dall’inizio dell’Età moderna, toccando i maggiori porti europei come Barcellona, Marsiglia, Genova, Venezia, Napoli, Bari, Taranto, Malta, fino alle coste più a sud del Mediterraneo.
Tuttavia un tragitto più breve non significa certo meno pericoloso.
Il nostro veliero, partito il 18 aprile, dovette già fermarsi il giorno dopo, a pochi chilometri a sud di Otranto, presso Porto Badisco, per il vento poco favorevole. Solo la sera del 24 aprile, dopo cinque giorni, il veliero Immacolata Concezione salpò per proseguire la sua rotta fino a Napoli. Ma per l’imbarcazione comandata da Michele Guida le insidie non erano certo terminate (e non quelle legate alle sfortunate condizioni atmosferiche).
Infatti, all’alba del 26 aprile, la tartana, giunta a Leuca, fu seguita da cinque imbarcazioni turchesche, in particolare da tre sambecchi, grosse barche con vele latine usate nel Mediterraneo dai pirati ottomani, e da due pinche, imponenti imbarcazioni a tre alberi, con una capacità di carico fino a trecento tonnellate.
Fra la tartana e i bastimenti dei pirati ci fu un vero e proprio inseguimento. Le intenzioni del comandante Michele Guida erano quelle di dirigersi verso il sicuro porto di Gallipoli, scappando così dal saccheggio dei pirati (da notare come le parole “turchi”, “saraceni”, “pirati” siano, a seconda delle occasioni, intercambiabili, segno questo di una paura collettiva e di un comune nemico da combattere).
Ma a Gallipoli la tartana Immacolata Concezione non ci arrivò mai.
L’inseguimento, iniziato all’alba, durò fino alla tarda mattinata, quando dalle imbarcazioni degli inseguitori uscirono in mare quattro barche, piccole e veloci (lanze), con a bordo l’armata dei pirati.
La tartana non poteva certo competere in velocità con le quattro lanze corsare che per di più cercarono di dirottarla verso le secche di Ugento. Il tentativo dei pirati andò a buon fine e la tartana rimase incagliata sulle secche.
Così l’equipaggio dell’Immacolata Concezione, pur di aver salva la vita e non cadere schiavi dei pirati, abbandonò l’imbarcazione con tutta la sua mercanzia, dirigendosi sulla costa con una barchetta. Subito, le quattro lanze dei pirati salirono a bordo della tartana cercando di appropriarsi non solo del carico mercantile, ma della stessa imbarcazione. Tentando invano di assarpare, la nave restò incagliata sulle secche. I pirati iniziarono così il saccheggio, che durò l’intera giornata, portando tutto con sé, persino le vele. Tutto venne osservato dal faro di Torre San Giovanni dal sindaco di Ugento, dai deputati della Salute e dalle altre autorità presenti.
Dopo il saccheggio, i pirati si allontanarono e solo a quel punto il comandante cercò l’autorizzazione per ritornare a bordo e cercare di disincagliare la nave. Ma non gli fu permesso, perché i turchi erano considerati portatori della terribile peste ottomana, che, tra l’altro, aveva già dei casi accertati a Ugento e a Felline.
Tuttavia, non furono pochi i pescatori delle zone limitrofe che salirono di notte sull’imbarcazione e appropriarsi di tutto ciò che poteva tornargli utile.
Questo che ho finora descritto può sembrare una trama di un racconto uscito dalla penna di Salgari, o un soggetto di un film, come capita spesso di vedere al cinema, magari ambientato sulle coste dell’America Latina o nei Caraibi. In realtà è davvero accaduto e viene riportato in un documento stilato alla presenza di tutto l’equipaggio dell’Immacolata Concezione e dei pubblici ufficiali di Sanità della Città di Ugento. Anche per questo varrà la pena leggere l’originale, così, senza intermediazioni o parafrasi che non sarebbero certo in grado di tradurre tanto la bellezza del documento quanto i timori e le paure di un pericolo appena trascorso.
«[Partiti il 18 aprile] con detta loro tartana dal Porto della Città di Manfredonia già fatto il carico di tumola cinquemila di orzo per condurlo nella città di Napoli in conto del Sig. Luigi Liotti assentista [colui che provvede] delli viveri delle Reali truppe di S.M.» erano giunti, il 19 aprile, «nel Porto di Badisco per avere avuto contrario vento, e la sera de’ ventiquattro con prospero vento seguitarono il navigare. Mercoledì ventisei di aprile 1752, al far del giorno, sopra il Capo di S. Maria di Leuche comparvero cinque bastimenti turcheschi, cioè tre Sambecchi e due Pinchi, quali avendo vista la tartana d’essi costituiti incominciarono a darli caccia. Essi costituiti si diedero in fuga navigando per mare con rotta Gallipoli per poter scappare e liberare la suddetta tartana. Dal far del giorno insino ad ore tredici furono inseguiti da detti bastimenti turcheschi, dai quali spiccarono quattro lanze piene di molti Turchi due per terra e due per bordo e non potendono li suddetti più fugire per mare e per non andar schiavi tutti quanti si obbligarono di darsi sopra delli Secchi di Ugento, ed altro non si possette fare se non di salvar la vita con la Barchetta di detta tartana lasciando sopra della medesima tutta la mercanzia del modo e maniera che si trovava carica. Subito furono sopra detta tartana le quattro lanze di detti corsari, che montarono a bordo, quali con molta fatiga fecero le diligenze se la potevano assarpare, e vedendono esser impossibile poterla assarpare incominciarono a sguernirla e saccheggiarla. Con dette Lanze trasportarono tutto, fino alle vele. [La tartana] essendo stata sguarnita e saccheggiata detta tartana li bastimenti nemici presero altra via. [Solo allora il comandante] cercò licenza ai deputati della Salute di detta Ugento per andare in bordo per vedere se poteva assarpare e salvare detta tartana».
Questo può essere un ulteriore esempio di storia locale che si intreccia nelle maglie più ampie della storia, facendo acquisire al benevolo lettore non solo la consapevolezza, ma anche l’importanza delle nostre aree geografiche e della loro valorizzazione. Certo, non c’è miglior tema delle azioni piratesche che può influire sull’immaginazione e sulla fantasia di ognuno, magari confortata da innumerevoli leggende che corrono nel nostro territorio. Tuttavia, documenti alla mano, a volte la realtà supera davvero la fantasia.
Qui troverai alcuni miei articoli come: Grano e corsari; Vita da marinai. Il naufragio della tartana nominata “Ecce Homo e Santo Stefano”; La salina di Avetrana, spola tra Torre Colimena e Gallipoli per la raccolta del sale; Per grazia ricevuta; Repressione del contrabbando nella Gallipoli del ‘700: il caso delle Galere della Sacra Religione di San Giovanni Gerosolimitano.
Cmq negli atti notarili di Ugento come anche in quelli di Gallipoli è pieno di tali testimonianze. Basta un po’ di fantasia per stilare un romanzo.
Complimenti.