di Alessio Palumbo
All’alba del natale di Roma del 1943, il generale Solmi passò in rassegna le truppe schierate nella piazza d’armi della caserma Antonio Cascino di Salerno. Nino, suo attendente da oltre due anni, ossia dal rientro dalla campagna di Francia, sfilò dietro lui, a cavallo.
Il fotografo del reggimento lo immortalò in una posa agile e sicura e, pochi giorni dopo, gli donò la foto, senza voler nulla in cambio. Era proprio venuto bene.
La sera stessa, dopo aver accudito il suo mezzosangue ed esser passato da Solmi per le ultime consegne, uscì dalla caserma e si diresse spedito verso il bar di via Candia, a due isolati da lì. Sedette comodamente, ordinò un’orzata e si mise a contemplare con soddisfazione la foto. Gustata la bevanda, rivoltò l’immagine e, con la grafia che i pochi anni di scuola gli permettevano, scrisse: “Tornerò. Saluti, Nino”.
L’indomani spedì la foto con la posta del reggimento.
Una mattina di maggio, nell’androne del nuovo tabacchificio, Concetta accostò Cristina, intenta a mangiare il suo pezzo di pane e sarde di metà turno. Dopo un lungo sorriso le disse: “Nino ha scritto” e cavò dal tascone del grembiule la foto. Cristina gliela strappò dalle mani e la fissò, estasiata. Avrebbe voluto mettersi a correre, a saltare… ma riuscì a trattenersi. Con Nino si conoscevano da quando lei era una ragazzina e lui quasi un uomo. Sette anni di differenza! Troppi, almeno per i rispettivi genitori, i quali avevano fatto di tutto per tenerli lontani l’uno dall’altra. La guerra era riuscita ad allontanarli ancora di più, ma poi Nino aveva trovato il modo di riallacciare i contatti, mandando di tanto in tanto qualche lettera. Naturalmente non poteva spedire nulla a Cristina e così indirizzava i suoi messaggi a Concetta, che era orfana ed amica di Cristina.
La ragazza fissò la foto, finché non dovette tornare al lavoro.
Solo a notte inoltrata riuscì a rivedere quell’immagine tanto cara. Addormentatasi sua sorella, si avvicinò alla piccola finestra della camera, dalla quale penetrava una flebile luce lunare. Nino era proprio bello: magro, col viso curato ed i baffi neri e sottili. Aveva scritto “Tornerò” e lei ne era sicura.
Per mesi Nino non si fece più vivo. La posta dall’Italia e dai diversi fronti di guerra oramai veniva consegnata a rilento o non arrivava per niente. Dopo la caduta di Mussolini e la firma dell’armistizio, molte cose erano cambiate. Si sapeva poco di tutto e ciò faceva paura, forse più di qualsiasi brutta notizia.
Cristina conservava gelosamente la foto di Nino, insieme a quella del fratello Nicola, partito perla Russia.Anchedi lui non si avevano notizie da mesi.
Un giorno di fine settembre, il proprietario del tabacchificio mandò a chiamare con urgenza le sue operaie, ad appena due ore dall’inizio del turno. Si ritrovarono tutte nel baio della villa di don Vittorio. Questi disse loro di tornare a casa, cambiarsi ed andare in piazza: sarebbe passato il re.
Cristina, assieme a Concetta, corse al paese, si lavò velocemente e altrettanto velocemente raggiunse la piazza già gremita. Si fecero avanti a spintoni, riuscendo a vedere un vecchio basso e magro che, sceso da un’auto impolverata, procedeva a piedi, mentre tutti attorno urlavano “ Viva il re! Viva il re!”. Dietro al re veniva il principe, molto più brutto rispetto a come lo immaginavano. I due attraversarono la piazza, poi risalirono in macchina, con altri ufficiali, e presero la via per Maglie.
Svanita la macchina, il maresciallo dei Regi Carabinieri, impettitosi sulla gradinata che introduceva alla banca cittadina, annunciò che il paese avrebbe avuto l’onore di ospitare parte delle truppe di sua maestà. Subito dopo l’annuncio, mentre la gente cominciava a defluire disordinatamente, si videro i soldati arrivare con il loro passo cadenzato. In molti abbandonarono il proposito di lasciare la piazza e si schierarono nuovamente, come fatto in precedenza per il re.
Le truppe iniziarono a sfilare e a tante donne si riempirono gli occhi di lacrime. Rivedevano i propri figli, padri, mariti. Anche Cristina non riuscì a trattenere il pianto pensando a Nino ed al fratello. Le lacrime gli offuscarono la vista, tanto da non riuscire più a distinguere le figure che le marciavano di fronte. Sentiva solo il loro passo, come fosse stato un forte ronzio. Pensò di svenire.
Si sentì scuotere forte. Spaventata, asciugò le lacrime per tentare di riconoscere quella sagoma sfuocata che la agitava in quel modo. Vide un sorriso sottile, sormontato da due baffi neri ed un viso magro cotto dal sole.
“Hai visto che sono tornato?”