di Rocco Boccadamo
Non bastano, invero, le parole, perlomeno si rivelano inadeguate secondo la sensibilità del comune osservatore di strada che scrive, per poter dire di Otranto, del suo cuore, della sua anima, della sua storia, impaginata fra momenti di osanna e di gloria e parentesi di tragedia, dei suoi stessi dintorni.
Otranto è, insomma, un impareggiabile tesoro, anzi un insieme di tesori, un autentico piccolo grande miraggio reale, punto e basta, sicché l’approccio dell’umana mente al suo indirizzo non può non coniugarsi anche con moti emotivi, con scansioni di commozione profonda.
A pochi chilometri dalla località, lungo l’arteria litoranea che si snoda in direzione sud verso Porto Badisco, Santa Cesarea Terme e Castro, più o meno all’altezza della Baia delle Orte, si trovano, ponendosi all’ammirazione stupita dei transitanti e visitatori, i resti d’una cava di bauxite, ormai notoriamente conosciuta e appellata come Lago di Bauxite e ciò a motivo della forma con cui si presenta, proprio simile a quella di una pozza d’acqua alpina.
E però, risalta, qui, l’eccezionalità del sito, giacché si è a ridosso dell’Adriatico, quasi a strapiombo sull’incantevole tratto di costa rocciosa.
Qualche breve nota di carattere tecnico, merceologico e cronologico.
La bauxite è un minerale dal quale si ricava l’alluminio, ad Otranto il processo estrattivo si è protratto per un ventennio con imbarco della materia prima dal porto cittadino e destinazione Marghera per la fase di lavorazione, la cava è stata definitivamente chiusa nel 1976 in mancanza di convenienza economica.
Il piccolo laghetto che oggi appare alla vista si è andato formando man mano, in virtù della presenza di una falda freatica incontrata durante lo scavo; poco a poco, la zona circostante si è andata arricchendo di piante acquatiche e paludose, come la cannuccia di palude.
E’ bello, stupefacente e struggente il contrasto fra il rosso cupo delle pareti del laghetto e la tonalità verde azzurro della massa liquida sul fondo.
Rosso cupo, giustappunto, è del resto il colore del minerale, consistente sia in masse aggregate e cospicue, sia in piccoli noduli di forma tondeggiante, sagoma dovuta al trasporto subito nel tempo ad opera delle acque meteoriche, il cui nome tecnico è pisoliti, sebbene, da queste parti, siano genericamente chiamati uddrie. Oh, le mitiche e magiche palline, strumenti a portata di mano e testimoni di semplici giochi e svaghi d’infanzia per chi c’era e cresceva nel Basso Salento!
Da ultimo, un richiamo del tutto particolare: rosso cupo, rosso, non caratterizza forse, cromaticamente, anche il sangue? E di sangue, non n’è forse scorso a rivoli, lasciando tracce indelebili, quel lontano 14 agosto 1480, in cui 800 idruntini scelsero d’immolarsi sul Colle della Minerva, piuttosto che rinnegare la propria fede, come pretendeva il Turco invasore?
Riprendendo il titolo delle note, il Lago di Bauxite d’Otranto si pone e si colloca alla stregua di un ideale muscolo decentrato del grande cuore della cittadina e, nella sua specificità intessuta di stupefacente bellezza abbinata ad un certo alone di mistero, riesce a incantare e a far innamorare ogni sguardo che vi si sofferma.
Testo e foto “accattivanti”… complimenti agli autori!
Senza nulla togliere a quanto scritto, anzi per aumentare il valore della descrizione si potrebbe ricordare (ma non molti “profani” lo sanno) che l’ambiente del “Laghetto di bauxite” conserva le tracce di un importante capitolo della storia geologica e paleontologica del Salento di tanti milioni di anni fa, cosa che rende ancora più necessaria e importante la sua conservazione e protezione.
Incredibile come un buco nel terreno, che se fosse fatto oggi all’interno del Parco Otranto-Santa Maria di Leuca porterebbe il responsabile direttamente in galera e sputato dalla collettività, diventi negli anni un capolavoro naturalistico. Mi ricorda tanto il “colosseo” dell’Acquaviva di Marittima che fu attaccato dalla comunità degli ambientalisti locali a morte, con tanto di dileggio sui siti di Lega Ambiente. Una volta “regalato” agli ambientalisti stessi finì di colpo di essere un ecomostro. In questi giorni girano naturalisti che scambiano le opere terminali della fognatura bianca comunale per laghetti naturali. E poi quelli che sono più contenti se il povero riccio lo schiacciano nella futura Circunsalentina e non a due passi dalla scogliera. Si sa, il riccio nel Parco frutta di più.
La capacità descrittiva dell’articolo è tale che anche mancando la foto si sarebbe potuto apprezzare al meglio la straordinaria e particolare bellezza del sito immaginandone forme e colori,complimenti un bell’articolo che promuove un altra località del ns. salento a molti ancora sconosckuta