di Pier Paolo Tarsi
Non è per nulla vero – come vanno i più pessimisti ripetendo – che qualche goccia di meraviglia e, per dir così, di sempre atteso seppur non preteso incanto, non possano senza sforzo alcuno pioverci addosso, dall’alto, senza nulla aver fatto per meritarle. Credetemi, persino i più pigri, arroccati nelle indolenti attese di eventi lieti non rincorsi, accomodati nell’immobilità più o meno quieta dell’accidia, hanno spesso le loro occasioni per rallegrarsi e smuoversi dall’apatico torpore.
Insomma, piccole gioie ci cascano talvolta in testa senza nemmeno cercarle, ci trovano da sé, deliberatamente, forse per puro caso. E per poco non tamponi una Fiat Marea azzurra che hai davanti a te quando accade, per esempio se stai guidando in un pomeriggio soleggiato sulla tortuosa Casarano-Taviano trafficata di pensionati in Ape che vanno zigzagando alle loro campagne, e d’un tratto, così, all’improvviso, come fosse un bel sogno bizzarro, quasi ti casca sul cofano un coloratissimo uomo volante con il suo paracadute e il suo motorino ad elica che indossa a mo’ di zainetto in spalla. E allora un po’ per la sorpresa e un po’ per l’incanto fanciullesco che ti coglie, ti infili di corsa nel primo sentiero sterrato tra i campi, sperando di non rompere le sospensioni dell’auto o la coppa dell’olio, e accosti in fretta dove puoi. Ti fermi e, salutando dal basso l’uomo volante come farebbe un bambino ubriaco di stupore, aspetti che questi finalmente atterri nella campagna in fiore, tra le pieghe del manto variopinto della signora natura, vestita a festa per il gran ballo di primavera.
Ci sono tanti modi di trasfigurare la vita in versi, di attraversare i giorni così come fanno i poeti: l’uomo volante le sue rime le scrive in cielo, ed io trepidante lo osservo da sotto recitare la sua chiosa finale, lo ammiro declamare le ultime manovre di atterraggio controvento, prima che, giunto con le punte dei piedi e con grazia sulla terra, la vela del suo paracadute si sgonfi e, avvolgendo tutto, si richiuda come un sipario sul protagonista della scena. Appena l’uomo volante riemerge mi avvicino e lo assalgo di domande, lì, tra l’erba alta, quasi avessi voglia di sapere proprio tutto di lui e di quei versi appena scritti nell’aria. E lui si concede volentieri, avverte subito che comprendo anche io la bellezza del suo sogno di Icaro.
L’uomo volante si chiama Giuseppe ed è un vispo ragazzo di oltre quarant’anni. Freme e spinge come può nel ripercorre lesto con le parole quelle strade principali della vita che lo hanno portato a conquistare tra mille difficoltà un brevetto di “paramotore” preso altrove, svirgola, devia e tralascia qualche sentiero secondario della sua complessa avventura, perché il tempo concessoci sembra proprio poco, mentre la foga di raccontarsi tante cose è assai più grande, anche più della vela che egli nel frattempo sta ripiegando. Gli fanno onore questi sacrifici fatti per rincorrere un sogno, per giungere a un brevetto da uomo volante in una terra, la nostra, dove egli è stato il primo a carpire i segreti e le tecniche del volo con paramotore. Qui, prima di lui, non vi era nessun altro che conoscesse e potesse insegnare questa disciplina aerea. Oggi però non è più così. Da ogni parola dell’uomo volante trasuda infatti, sopra ogni altra cosa, il suo nuovo sogno: donare anche agli altri un paio d’ali per librarsi sul Salento, la terra che egli ama contemplare e fotografare dall’alto, da una prospettiva dove tutto ha davvero un altro sapore. Se nel cielo l’uomo volante rincorre le bianche nuvole e le brezze migliori, sulla terra insegue quindi questo piccolo grande progetto: condividere la sua ormai pluriennale esperienza col volo, trasferendola (“travasandola” direbbe egli) a chiunque abbia voglia di assaporare un modo alternativo di godere della bellezza di questo immenso Sud mirato dall’alto. Questo vivo amore per il Salento e la voglia di condividere con chiunque la gioia del volo, passioni che lo fanno librare anche a motore spento, hanno già condotto Giuseppe a fondare con qualche amico FLYSALENTO, un gruppetto di viaggiatori salentini che vagano tra le nuvole sui nostri paesaggi, pochi uomini e poche donne con ali colorate spiegate al vento, aperte come un accogliente invito rivolto a chiunque di noi voglia spiccare il volo inseguendo il loro sogno.
Lo vado da sempre ripetendo a me stesso che noi tutti siamo creature alate, costrette tuttavia, per qualche oscura ragione, a camminare quaggiù, magari con lo sguardo malinconico rivolto in su. Basta trovare un uomo volante per rendersi conto che è così, che noi apparteniamo proprio al cielo. Cercatelo anche voi!
Cosa darei per avere il coraggio di volare!
Ritmato dal vento in un volo di pensieri,
in un silenzioso batter d’ali!
Volare è come scrivere:
ci vuole coraggio, bisogna saper osservare!
“Eh no” mi sono detto leggendo Pierpaolo e lasciandomi ammaliare dalla sua tastiera “Non ho nulla da aggiungere, nulla da rispondere. Accidenti a Pierpaolo, dice le cose in modo da tarparti le ali. Non replico”. Tarpare le ali parlando di volo, bizzarra figura retorica. Poteva parlare, che so, dei carciofi. “Guardi, li ho raccolti stamattina” mi dice quel signore con l’Ape che li vende sul ciglio della strada. Io volevo due finocchi e me ne ha rifilati due chili. Ma lui voleva vendrmi carciofi. Ci teneva proprio. Sono stato irremovibile. Oppure poteva, Pierpaolo, parlare del mare. In fondo siamo in Salento, che diamine. Il mare azzurro blu nero bianco verde. Il mare che invade e pervade, avvolge e circonda. I due mari. Perché a Gallipoli un’amica, figlia di pescatore, mi dice “che i pesci dello ionio sono diversi da quelli dell’Adriatico…” Loro, i pescatori, li riconoscono. Dal sapore, dal profumo, dall’amore che emanano.
Il volo. No, non parlo del volo.
Poi ho capito tutto. Passando vicino ad una cappelletta, Pierpaolo è del paese del santo che vola. Rappresentato ovunque levitato da terra. Benedicente. Il santo degli avieri, dei trasvolatori, dei sognatori. Eccolo qui il mio amico di Copertino. Non so cosa abbia trasvolato, quali savane abbia visto. In quali antri reconditi si sia infrattato, magari con un bicchiere di negramaro in mano e lo sguardo ironico rivolto al cielo sperando di vedere planare un sogno. Certamente appartiene alla schiera, ahimè esageratamente immensa, dei sognatori. Quelli che si stupiscono vedendo un fiore e nello stesso momento di parlano di Hegel o di Kant come se sapessero la vita e la morte. Come se tutto fosse stato già visto e detto. E poi si accorgono che ancora tutto è da dire e vedere. Non parlo del volo, l’ha già fatto lui. E lo fa il suo amico Giuseppe. E io che ho il sogno segreto dell’aliante. Volare in silenzio. Tagliare l’aria, fendere il nulla e l’azzurro, arrivare senza sospiri dove si incontrano eros e thanatos. Rubare da lassù i sogni dei bimbi. Commuovermi ripensando al piccolo sul passeggino che mi sorride guardandomi. Poi si può anche scendere. E si potrebbe anche cadere. In fondo ne abbiamo viste di cose. Là in alto, nel silenzio dell’ aria che avvolge come il mare, lasciarsi franare sui luoghi comuni. Senza la TV che ripete ossessivamente le stesse cose da decenni. Vecchi refrain che stancano senza staccarsi da terra. Giocarsi, da lassù, la partita a scacchi con la vita e con un angelo che vola vicino. Perché anche noi abbiamo un nostro angelo. Vendicatore, sterminatore, leggero, ossessivo, impudente, prudente. Tutto e il suo contrario. Il mio vuole che smetta di fumare, per esempio. Forse ha studiato nella stessa facoltà del mio medico. E voli con accanto i fantasmi che ti inseguono ovunque. “Sognatori, siete dei falliti, non producete, non avete dato nulla di buono alla società. Ora inchinatevi che passa lui, sua maestà il PIL.” Già, lui può tutto, decide la vita e la morte delle persone. Tu sei quanto consumi. Una volta eri quanto producevi, ora non più. Accidenti al volo e ai fantasmi.
Camminava nella foresta a mille e altri mille chilometri dagli ulivi del Salento, l’uomo che sognava. Senza voltarsi indietro, perché là poteva solo guardare avanti. Ah Orfeo, tutto è già scritto per voi sognatori. Proprio ad Orfeo pensavo stamattina guardando i bimbi che entravano in una suola elementare. Alcuni di loro si voltavano a salutare i genitori. Altri tiravano dritti ridendo e vociando. Le due facce della luna.
Forse volando, da lassù, anche gli ulivi sembrano meno contorti, chissà. E sembrava volare sulla sua bicicletta il pirata. Pantani che saliva assurde strade che neppure i muli osano. E volava raso terra fino a trent’anni fa, Oscar Romero. Arcivescovo di San Salvador. Ha incontrato uno che non sapeva volare. Rimaneva fermo, con radici solide piantate per terra. Il suo angelo l’aveva abbandonato, perché non tutti meritano. Ed ha voluto tagliare con un proiettile le ali di Oscar. Perché anche lui smettesse di volare.
No, Pierpaolo, non mi freghi, non parlo del volo. Fallo tu che sei capace. Io guardo là sotto, dal quinto piano che mi ospita, passare auto e persone.
“Ciao, come stai?” Era un secolo che non ci si vedeva e sentiva. Forse due. Anche lui aveva un sogno una volta, chissà che fine avrà fatto, dove l’avrà riposto. Non lo chiedo, perché la complicità è anche voler credere che i sogni non finiscono mai. Così, per rimanere giovani forse, o forse solo per non ammettere sconfitte.
Fly Salento, certo, le ali dei due mari, e quelle del finibus terrae. “La baia dei turchi” pare un luogo magico, nell’immaginario entra di diritto fra Monpracem e il Moulin Rouge, fra l’isola del tesoro e quella che non c’è. Immagini alate, fatine e pirati che cantano bevendo rhum.
Passavamo in auto, andando piano, nelle campagne fra Lecce ed il mare. Erba tagliata di fresco. Odore intenso di fieno e di primavera. Così diverso dal profumo del fieno piemontese, finocchio selvatico e menta qui. Erba medica lassù. Parlavamo poco, inebriati da quell’ondata di primavera e di ricordi. Uno dei primi che ho del sud è proprio il profumo di finocchio selvatico. Intenso, dolce, sa di anice. Eravamo sulla ritmo nera. Erano le due del pomeriggio, in ferie verso sud. Un caldo che toglieva l’aria. Aumentato da quegli operai che stendevano un manto di asfalto bollente. Intorno tutto era erba secca e quel profumo intenso. Non sapevo, allora, di torri costiere, neppure del vecchio sulle mura di Gallipoli che esorcizzava le trombe marine con la sua litania. Neppure sapevo il profumo del salice salentino. O di una serata passata a parlare di dolmen e menhir a Zollino. E pensavo che, in fondo, i pomodori hanno tutti lo stesso sapore. Poi sono invecchiato, forse ho smesso di volare, forse sto smettendo. Ora non penso più molto. Guardo, osservo, vedo. Quello che ho imparato è l’emozione, sempre intensa, vedendo lo sguardo di quel bimbo sul passeggino, o quella chiesa in pietra leccese. O una pagghiara gettata lì, in un uliveto. E penso che forse, volando un po’ ancora, dall’alto è tutta un’altra storia.
mi pare tanto un incontro-confronto fra titani!
meraviglioso duetto…
Semplicemente coinvolgente, emotivamente partecipato, in una parola….
STUPENDO!!!
Cosa si potrebbe fare per organizzare un evento a Mancaversa?????
Parliamone al più presto!
Grazie per questo dono meraviglioso!
Rocco D’Argento
Pier Paolo ci regala spesso queste emozioni! conoscere un gruppo come questo in maniera tanto originale non è da tutti
E’ un incontro Marcello, dici bene, forse meglio ancora chiamarlo un abbraccio quello che mi ha regalato oggi il caro Gianni. Gianni Ferraris, perchè bisogna dirla tutta sul come si chiama, anche se a noi basta solo un nome per sapere chi sia questo sognatore, o basta leggere due righe per indovinare chi sia il demiurgo, anzi, visto che siamo in volo, il pilota, l’aviatore del sogno in cui ogni volta siamo condotti con parole e ricordi.
Grazie di cuore Gianni, e grazie anche a tutti voi.
Pier Paolo
Ciao, sono Giuseppe, Giuseppe D’Amilo, o se preferite “l’uomo volante”, faccio fatica ad esternare la mia gioia e la mia incredulità nel vedermi raffigurato in questo modo fiabesco da un’amico conosciuto solo ieri, ma che in un solo sguardo e scambiando solo poche parole è riuscito ad entrare in sintonia con me. Ho avuto la sensazione che noi due ci conoscessimo da sempre e da sempre condividessimo l’amore per la natura, per la nostra amata terra salentina e il volo. Non posso che ringraziare il cielo, compagno di sempre, per avermi fatto incontrare un Amico atteso da tempo, un’amico unico che ognuno vorrebbe al suo fianco, per raccontare le sue belle esperienze ma anche i suoi tristi racconti, sicuro che questo sosterrà la sua mano in un cammino quotidiano di uomo.
Grazie Pier Paolo Tarsi
Ci basta chiudere gli occhi per ritrovare l’uomo volante, sentire una raffica di vento sulla faccia e ricordare per un breve istante quell’emozione.
Siamo sognatori risvegliati dal PIL…
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IO PRIMA O POI…VERRO’ A VOLARE!