di Michele Stursi
«Quanto pensi di fermarti?».
«Fino a quando non avrò finito».
«Cosa?».
«Di scrivere il finale della mia vita».
«Ma sei sempre così enigmatico o è solo una mia impressione?».
«Sì, dottoressa, ne sono cosciente» – ironizzo. Chiara si è seduta al mio fianco. La sala d’attesa è vuota. Increspa le sottili sopracciglia e mi dice che non riesce proprio a capirmi. Io le dico che non c’è nulla da capire: sono ritornato per sempre a Noha. La imploro anche di non chiedermi il motivo di questa mia improvvisa decisione, poiché neanche io sono riuscito ancora a darmi una spiegazione esaustiva. Lei si alza, raggiunge la finestra, scosta le tendine e guardando fuori mormora: «Si saranno messi già a pettegolare, non aspettano altro. Sembra essere il loro passatempo preferito! Sono tutto il giorno con un occhio sulla strada a osservare, non si lasciano sfuggire nulla».
La sua voce è ricolma di un sentimento di frustrazione. Chiara ama il piccolo paesino in cui è cresciuta, ma allo stesso tempo odia la mentalità retrograda e ottusa della sua gente.
«Che se ne fanno dei fatti degli altri? Che cosa si prova a captare notizie qua e là e spargerle per il paese come sale sulla neve? Non li capisco».
La stanza sprofonda nel silenzio. Non so cosa dirle. Anch’io da giovane avevo provato quel disagio e in maniera forse un po’ troppo istintiva avevo deciso di porgli fine fuggendo via. Ma ora, se devo essere sincero, provo un certo fascino per questo strano modo di comportarsi, per questa smaniosa ricerca di storie da raccontare.
Chiara continua a fissare fuori. Poi mi chiama alla finestra e m’indica con il dito una bambina che gioca per strada, mi racconta che la sua mamma è morta dandola alla luce e che ora vive con sua nonna. La guardo perplessa non capendo il motivo di tanta attenzione e dopo un attimo di esitazione mi dice che c’è una storia che io devo sapere, una leggenda che si tramanda da ormai qualche decennio a Noha.
«E cosa c’entra tutto ciò con Maria?» – chiedo perplesso non riuscendo a immaginare alcun nesso plausibile.
«Come fai a conoscere il suo nome?» – mi domanda con tono indagatore.
«Strani poteri, dottoressa».
Chiara fa finta di niente, abituata ormai alla mia stravaganza e continua.
«La sua famiglia si dice custodisca da anni un segreto».
«Sì, ma dai. Non credi di essere abbastanza grande da credere alle storielle di paese?».
«La gente mormora strane cose».
«Chiara, è stato sempre così da queste parti».
«Lo so è stupido, non ci credevo neanche io».
«Sentiamo, di cosa si tratta?» – dico preso ormai da un’irresistibile voglia di sapere.
«Ma niente, niente. Sono solo dicerie».
«E allora perché darne tanto credito?».
«Ma figurati!».
«È una vita che leggo libri e credo di averne lette di tutti i colori. Quindi spara, non ti preoccupare».
Chiara è agitata come se quello che mi sta per rivelare è qualcosa di sconvolgente, d’indicibile. Continua a scrutare quella bimba seduta sul marciapiede, che osserva con aria innocente gli altri ragazzi rincorrere il pallone. A un tratto si gira verso di me, specchia le sue pupille nei miei occhi e mi rivela il segreto.
«Si mormora di una strana biblioteca, nascosta nel palazzo baronale».
«Una biblioteca? Perché strana?».
«Si racconta che una quantità incalcolabile di libri sia nascosta lì dentro, ma nessuno ha mai trovato nulla».
«Continuo a non capire però cosa c’entra quella bambina con tutta questa storia».
«La leggenda vuole che la sua famiglia custodisca questo segreto e prova ne è che quella gente conosce un sacco di storie».
Rimango sbigottito. Spalanco la bocca, incredulo, penso e ripenso agli ultimi suoni articolati dalla voce calda di Chiara.
«Scusami ma questo è veramente troppo. Non si può dare retta a queste corbellerie. Tutto ciò è semplicemente assurdo!».
«E il bello è che nessuno li ha mai visti con un libro in mano» – continua come se non avesse prestato minimamente attenzione alle mie parole.
«Scusami ma allora come fanno a “conoscere” senza aver mai letto?».
«In effetti, si può conoscere anche per sentito dire, per fede, per fantasia, per esperienza, per intuito, per …».
«Basta, basta, ho capito. Mi vuoi dire che questi non hanno mai avuto un libro tra le mani, non hanno mai avuto modo di sfogliarne uno, di annusarlo, di accarezzarne le ruvide pagine, e nonostante ciò hanno impressa nella mente, come per magia, ogni possibile storia che un uomo possa cercare di raccontare?».
«No, no, vacci piano. Come al tuo solito stai volando con la fantasia. Io non ho mai detto che conoscono ogni possibile storia sinora scritta e raccontata e tanto meno che non hanno mai letto un libro».
Faccio finta di non aver sentito e, al culmine dell’eccitazione, continuo. «Vuoi dirmi che sarebbero in grado di raccontarmi la storia d’amore di Renzo e Lucia, senza avere la più pallida idea di chi sia Alessandro Manzoni? Che sono in grado di immaginare un viaggio nel mondo dell’aldilà allo stesso modo di Dante Alighieri o di raccontarmi la storia di un piccolo pezzo di legno senza sapere che Pinocchio è stata la fortuna di Collodi? Potrebbero dirmi di uomini che hanno venduto l’anima al diavolo per avere la bellezza eterna oppure di guerrieri che hanno combattuto al fianco dell’ultimo imperatore romano, alla pari di Oscar Wilde e Valerio Massimo Manfredi?» – ormai sono stato stregato da questa storia ed esausto scongiuro Chiara – «Spiegati meglio, ti prego, ho bisogno di sapere. Capisci, se quello che mi stai raccontando fosse vero, sarebbe la cosa più bella al mondo. Potrei partire proprio da qui per realizzare il mio sogno».
«Quale sogno?».
«Voglio anch’io scrivere una storia. Sono stufo di leggere, ora voglio raccontare!».
«Pasquale non puoi» – mi urla impaurita. I suoi occhi tremano alla luce fioca del tramonto, una lacrima le attraversa il volto sino a fermarsi sul labbro, sul suo volto un invisibile scalpello traccia in maniera istantanea una smorfia di sgomento. Si getta sulla mia spalla e si lascia andare in un pianto ininterrotto. Sono spaventato, non riesco a capire a cosa sia dovuta questa replica tanto profonda.
«Cos’hai Chiara? Che ti succede?».
«Ti prego Pasquale, se mi vuoi bene, lascia stare questa storia».
«Perché?» – le chiedo sempre più perplesso e sorpreso da così immenso e inspiegabile pathos.
«La storia è molto più complicata di quanto tu possa immaginare. Ti prego non chiedermi altro, ti scongiuro. A suo tempo saprai tutto, ma ora sono troppo stanca per raccontare».
Chiara sembra veramente sconvolta e io non oso continuare. Una strana voglia di sapere però si tormenta, si dilania dentro di me. Cerco di sopprimerla con tutte le mie forze.
tratto da Il Mangialibri di Michele Stursi, L’Osservatore Nohano, 2010