di Pier Paolo Tarsi
Mi alzo, è molto tardi, è pure domenica mattina, il più infame dei giorni. È quasi ora di pranzo, ma non posso comunque rinunciare a un caffè. Mi vesto con le prime cose che trovo, oggi i prescelti sono un jeans e un maglioncino nero con una lampo difettosa che si chiude con enormi sforzi sul petto. Sono molto previdente in certe cose e prima di andare al bar penso bene di fermarmi un attimo da un tabaccaio aperto anche nei festivi. Non mi è affatto simpatico il tipo, un burbero che a mala pena ti guarda in faccia dandoti il resto. L’uomo tuttavia, con mia grande sorpresa, questa volta mi scruta con attenzione non appena entro nel suo negozio, mi segue con lo sguardo finché, fissandomi intensamente per qualche secondo, addirittura accenna a un sorriso. Mi porge con gentilezza il resto, si risofferma sul mio viso mentre quel suo mezzo sorriso si allarga sempre più, tanto che contagiandomi gli rispondo muovendo qualche muscolo facciale.
Lo so, non sono stato molto espansivo, ma è il massimo che riesco a fare di domenica mattina. Non posso più aspettare per un caffè e per evitare di riprendere l’auto parcheggiata in terza o quarta fila decido di entrare nel bar più vicino. Detesto anche questo posto, a servire al bancone c’è una signora dall’aria sempre grigia, con un’eterna espressione spenta e tetra, una donna musona e triste insomma. Guardandola mentre ti prepara qualcosa hai quasi l’impressione che sbuffi, il timore che da un momento all’altro ti sbotti contro un “Senti bello, vedi di fartelo a casa il caffè la prossima volta eh!”. Di fronte a lei non riesco a non pensare che la vita, in fondo, altro non sia che un duro e sporco mestiere! E certi pensieri tolgono il gusto di un piacere sacro come è per me il caffè. Evito scrupolosamente dunque di fermarmi lì, ma stamane l’ho fatto. Appena mi avvicino al banco la signora si libera immediatamente della sua faccia da depressa cronica e mi accoglie con un sorriso abbastanza amichevole e simpatico. Ma che succede stamattina? I suoi occhi sono illuminati, il viso appare persino disteso. “No non è possibile! E poi… come possono succedere certe cose di domenica?”. A questo penso in auto, e al tempo brutto e appiccicaticcio che non può certo spiegare tanta insolita allegria in giro. Ma una voce interrompe subito il circolo dei miei pensieri non appena entro a casa, una voce divertita che esplode in un “che cavolo fai?” mentre una mano indica verso il mio petto. “Che faccio?” chiedo a mia volta, un po’ sorpreso, e lei: “Ma guarda come sei uscito, ti sei messo il maglione alla rovescia!”. È vero, sono evidentissime le enormi etichette con le istruzioni per il lavaggio in lavatrice, le cuciture interne sul tessuto e quelle della cerniera lampo, che è stata una fatica più del solito chiudere. Sono uscito di casa in quelle condizioni, capita quando si è sempre distratti come me, soprattutto in certe cose. Vi chiederete se ho avuto voglia di sprofondare in quel momento? Beh, solo per un attimo a dire la verità. Già, solo un attimo. E sapete perché? Perché il mondo con qualcosa alla rovescia è molto più piacevole di questo.
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Il difetto, la piccola pecca è l’interruttore del divertimento e della comprensione caritatevole altrui. Meno male che li hai fatti sorridere un po’ questi due! Conosco il tipo di persone, musone e burbere, e conoscendo sorattutto te, anima empatica e di sovente sulle nuvole, capisco quanto sia stata cosmica l’urgenza del rito sigaretta-caffè della tua domenica.
A pensarci su, quell’etichetta in bella vista potrebbe diventare moda, il tabaccaio potrebbe sentirsi finalmente meno sfigato e forse la grigia barista, dopo essersi confrontata con quei minuscoli scritti su tecniche di lavaggio e prelavaggio, potrebbe aver avuto la conferma della sua bravura casalinga. Mi ricordi tanto qualcuno che conosco, amico mio, e… Acc, Paolo, mi ricordi anche che devo fare il bucato!!!!