Il Mangialibri/ L’acquerello

di Michele Stursi

 

Sono a casa ora.

Il fuoco scoppietta davanti ai miei occhi e quelle piccole fiamme mi riportano con la mente indietro nel tempo. Siedo dinanzi a un vecchio camino, fisso un tizzone in incandescenza e all’improvviso sento quella cenere solleticarmi le narici, sul mio volto si posano, danzando nell’aria, piccoli frammenti di fogli bianchi. E così per ore, sino a quando mi accorgo che sono completamente sommerso, non riesco quasi a respirare e, quando faccio per alzarmi dalla sedia, una valanga d’inchiostro nero mi rimette a sedere.

A questo punto salto in aria urlando e mi accorgo di essermi addormentato. Il fuoco si è spento, fuori piove a dirotto e la pioggia sembra bussare alla finestra, poi alla porta. Subito i miei pensieri rievocano quel tamburellare incessante, quel volto d’uomo riflesso nello specchio, quel leggero tocco tra i capelli, e inizio a tremare come un ramoscello d’ulivo. Ribussano e in quel fracasso mi sembra di sentire una voce.

«Pasquale ci sei? Sono Eleonora». La mia coscienza mi dice di non aprire, mi mette in allarme, potrebbe non essere Eleonora. «Scusa se ti disturbo, ma ho finito ora di lavorare e ho pensato di passare a salutarti» – la voce dietro la porta continua a perseguitarmi. Poi vedo un pezzo di carta bianco passare lentamente sotto la porta, ripenso a quei frammenti bruciacchiati e il livello di paura sale. Lentamente mi sollevo dal letto e vado a raccattare quel biglietto, lo apro e leggo: “Ciao Pasquale sono passata a salutarti. Vieni a trovarmi appena puoi”. Mi faccio coraggio, apro la porta e vedo con stupore Eleonora scendere le scale. Allora istintivamente mi viene da urlare.

«Eleonora». Lei si gira, mi guarda e mi sorride: «Credevo non fossi in casa».

«Scusa, ma mi ero addormentato».

«Niente, passavo da queste parti e ho pensato di salutarti».

«Ti ringrazio. Sali, ti va una cioccolata calda?».

«Sarebbe il massimo, dopo una giornata come quella di oggi!» – mi dice ridendo. Man mano che si avvicina mi accorgo che ha qualcosa in mano; e infatti, appena è di fronte a me, mi porge un quadro.

«Tieni, te lo regalo».

«Grazie, ma non dovevi scomodarti» – lo guardo e mi accorgo subito che si tratta dell’acquerello che avevo notato stamattina nel suo studio.

Rivedo Chiara piangere nel mio incubo, scongiurarmi di lasciar perdere. Mi ridesto da quel flash-back, la ringrazio con un abbraccio e la faccio accomodare sul divano. Mentre vado in cucina a preparare la cioccolata, rigirando quel dipinto tra le mani, mi accorgo di una foto attaccata con del nastro adesivo dietro la tela. La stacco e, dopo aver messo il latte sul gas, la restituisco a Eleonora: «Ti eri dimenticata di questa» – le dico porgendole la foto.

«Tienila pure, a me non serve. In genere quando copio da una foto, o comunque da un’immagine stampata su carta, ho l’abitudine poi di attaccarla dietro il quadro. Quindi quella appartiene a te, è parte del mio regalo!» – sorride fissandomi negli occhi.

«Grazie mille» – le faccio timido. Mi siedo sulla poltrona accanto al divano e imbarazzato rigiro quella foto tra le mani inumidite dal sudore. All’improvviso poi mi accorgo di qualcosa di strano che mi pare manchi nella riproduzione; per sicurezza allora mi alzo e vado a riprendere l’acquerello che avevo distrattamente posato sul tavolo in cucina. Difatti, noto che quella macchia nera, in fondo a destra nell’affresco originale manca nella riproduzione di Eleonora. «Scusa, mi levi una curiosità?».

«Dimmi tutto» – mi fa la ragazza, che nell’attesa sfoglia una mia vecchia rivista letteraria.

«Per caso mi sono accorto di questa macchia nera nella foto, guarda» – mi siedo accanto a lei sul divano . «Perché non l’hai riportata nel tuo dipinto?».

Prende quella foto in mano e poi porgendomela cerca di dirmi qualcosa ma non ci riesce. Colgo una strana espressione di stupore, di smarrimento e finalmente balbettando sussurra: «Nie… niente. È … è solo uno strano effetto di luci» – conclude in maniera fulminea e poi si volta dall’altra parte, dandomi le spalle. Capisco che quel discorso termina lì, sospeso nel dubbio; non insisto, non ho alcun motivo per dubitare della veridicità di quelle parole.

Poi sfogliando l’ultimo libro che avevo appena iniziato a leggere, mi domanda: «Che lavoro fai?».

«Ora come ora niente, sono in pensione. Sino a qualche giorno fa ero un critico letterario. Ah, scusami un attimo, vado a controllare il latte!» – corro in cucina e mentre mescolo il cioccolato nel latte bollente, penso alla faccia che Eleonora ha fatto alla mia domanda: i muscoli facciali si erano subito contratti in una smorfia di paura, la solita paura che vedo e rivedo, oramai ogni giorno, sui volti di chi mi sta vicino quando vien fuori quella leggenda o comunque qualcosa che abbia a che fare con quella storia.

Dopo qualche minuto davanti a una tazza fumante provo con cautela a ripescare l’argomento. «Sai, pensavo a quell’artista che ha scolpito le casette sul palazzo baronale». Eleonora si scotta e posando la tazza sul tavolino mi guarda.

«Non ti piacerebbe saperne qualcosa di più? Ad esempio, conoscere la sua fonte d’ispirazione, magari il motivo per cui ha fatto il suo progetto sulla parete e non su un foglio di carta» – recito con enfasi.

«Pasquale, ascoltami. Ci sono delle cose che è meglio non conoscere» – mi dice lasciando trasparire la sua rassegnazione.

«Non esistono queste cose. Tutto alla fine viene a galla. Bisogna stare attenti, cogliere ogni minimo segnale e in questo modo si riesce a ricostruire il passato».

«Non sono d’accordo, mi dispiace. Credo che questa tua ricostruzione poggi su una sabbia molto fine, direi quasi invisibile agli occhi di tutti, tranne che ai tuoi. Chiamala pure fantasia e non sbaglierai» – sentenzia, leccando il cucchiaino.

«Può essere, a volte mi lascio trascinare troppo dalla curiosità, la mia mente, seppur intasata da mille pensieri, riesce a trovare ancora la forza per non rassegnarsi. Credimi è uno sforzo immane fantasticare in un mondo in cui tutto sembra recintato, preconfezionato, già pronto per l’uso».

«Ti credo, ma ora la fantasia può portarti fuori strada. In questo paese regna sovrana la superstizione, acerrima nemica della tua amata fantasia».

«Non capisco» – dico leccandomi i baffi sporchi di cioccolata.

«Dico solo di non cacciarti nei guai, ecco tutto».

Eleonora sembra alquanto seccata dalla mia ostilità, intravedo una sensazione di nausea, disgusto e allora decido di smetterla, di cambiare discorso.

«Ah, prima mi chiedevi del mio lavoro, vero?».

Fa cenno di sì con la testa e si mette comoda sul divano.

«In effetti, ho passato una vita a leggere libri. Non ricordo precisamente quante storie sono riuscito a mandar giù sinora, ma ti giuro che non sono per nulla poche. E credimi, ancora riesco a stupirmi come fosse la prima volta! Eppure dovrei provare una sensazione di nausea solo a voltar le pagine di un libro, ma oramai sono entrato in un meccanismo vizioso, come una sorta di tolleranza, in cui occorre aumentare la dose per sentire l’adrenalina salir su per la schiena».

«Posso chiederti che tipo di libri recensivi?».

«Un po’ di tutto, per poter campare. Però quando potevo scegliere, preferivo sempre leggere vecchi romanzi sgualciti, maltrattati, maledetti e magnifici allo stesso tempo» – concludo, alzando forse un po’ troppo la voce, poiché mi accorgo che Eleonora mi fissa impaurita.

Scoppio in una risata: «In altre parole mi piacciono i classici. Sgualciti, perché troppe volte sfogliati, maltrattati da chi non trova il tempo per leggerli, maledetti, in quanto costretti a vivere in eterno con l’uomo e magnifici, poiché unici e irripetibili».

«Sei veramente strano!» – mi dice scattando in piedi – «Ora devo proprio andare, è tardi, ma spero di rivederti presto».

«Che ne dici di domattina al bar?» – propongo in maniera forse un po’ troppo impulsiva.

«Non mancherò. A domani!». Mi dice di spalle scendendo di corsa le scale. Poi arrivata sull’uscio, si volta e mandandomi un bacio con la mano sussurra: «Buonanotte, vecchio sognatore».

tratto da Il Mangialibri di Michele Stursi, L’Osservatore Nohano, 2010

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