particolare di carta nautica del Mediterraneo (1561)
di Alessio Palumbo
Giorni fa, un bell’intervento di Rocco Boccadamo, comparso su Spigolature Salentine, rimarcava la curiosa coincidenza temporale tra i moti libici di questi giorni e l’avventura coloniale italiana in Tripolitania e Cirenaica, nel contesto della guerra italo-turca. Nell’ottobre di un secolo fa, le navi italiane “volsero la prora” verso Tripoli, lanciandosi in un’impresa che da mesi faceva discutere partiti, mezzi di informazione, circoli culturali e cancellerie di mezza Europa. L’Italia si accingeva a conquistare la tanto agognata quarta sponda. Ma come visse il Salento questo evento?
La guerra contro l’Impero Ottomano per la conquista della Libia riscosse immediati consensi tra la popolazione e le classi dirigenti salentine. Le ragioni di questo fervore coloniale sono parecchie.
Innanzitutto presso le masse analfabete e ridotte in miseria, la Tripolitania fu presentata come la nuova terra promessa. Un vero e proprio Eden che avrebbe garantito ricchezza e prosperità. I salentini manifestarono rumorosamente tali aspettative: nei giorni immediatamente antecedenti alla guerra con la Turchia furono inscenate imponenti manifestazioni a Lecce, Gallipoli, Alezio, Aradeo, Casarano, Neviano, etc. Le piazze si riempirono per ascoltare i comizi dei politici nostrani e i battaglioni di soldati in partenza furono salutati da ali di folla festante.
Nel ceto politico salentino, mentre i socialisti si scindevano tra favorevoli e contrari, i moderati, i conservatori ed i cattolici soffiarono sul fuoco dell’imperialismo, mettendosi a capo delle manifestazioni e delle iniziative di quei giorni. Gli stessi vescovi, nell’opera di graduale avvicinamento allo stato italiano, benedirono le bandiere dei reggimenti in partenza. Tuttavia, nel fervore cattolico verso l’impresa libica, c’erano degli elementi che andavano oltre la politica di riavvicinamento allo stato laico. Da un lato influivano gli interessi che la Santa Sede ed il Banco di Roma avevano impiantato nell’Africa settentrionale, dall’altro era riscontrabile un rinnovato spirito di crociata, di lotta al musulmano, che in alcuni ambienti cattolici di Terra d’Otranto non si era mai sopito.
Riportiamo, a testimonianza di ciò, una poesia composta in onore del conflitto libico dal poeta Angelo Perotti. In essa la guerra contro i turchi è presentata come una sorta di riscatto del Salento e, in particolar modo, di Otranto, che dagli ottomani era stata devastata.
“Otranto è l’ora della tua vendetta!
T’eri ravvolta nel dolor tuo santo,
ma guardavi lontan come chi aspetta.
Più non piangevi sul tuo sogno infranto,
ma sapevi che il fior sarebbe nato
dal seme del tuo sangue e del tuo pianto.
Otranto, ed ecco che s’adempie il fato.
In gloria, in fede, in carità ti rende oggi
la patria quel che tu le hai dato.
Sciogli dal capo le abbrunate bende;
Lèvati, gitta il grido che tu sai,
alluma il faro su cui l’angue scende;
raccogli i cittadini e i marinai nella chiesa
che appar riconsacrata dalla gioia che tu diffonderai;
pianta sul colle di Minerva astata
la pia bandiera della tua fortuna,
dove il delfino dalla groppa arcata
morde la falce della mezza luna;
e incidi sul solenne monumento una parola: Italia.
E sia quest’una il motto del nuovo giuramento”.
( A. Perotti, Poesie, Bari, Laterza, 1926, p. 203).