di Luciano Antonazzo
Fra le più antiche chiese di Ugento é da annoverare quella denominata “Madonna del curato”.
Sorge su una roccia scoscesa sul ciglio della stradina omonima, all’incrocio fra via Barco e la vecchia strada per Gemini, e chi ha cercato finora di tracciarne un profilo storico ha dovuto arrendersi davanti alla mancanza assoluta di notizie; oggi però grazie al rinvenimento da parte nostra di una breve relazione redatta in seguito ad una visita pastorale effettuata nei primi decenni del 1600 siamo in grado di fare un po’ di luce sulla sua origine e sulla sua reale intitolazione.
La piccola chiesa ad aula rettangolare é suddivisa in tre sezioni con copertura a spigolo e sul lato sinistro le é addossato un piccolo locale con volta a botte che era adibito ad abitazione “del curato” ciò che sarebbe secondo l’opinione corrente all’origine della sua denominazione.
Sulle sue possibili origini e per cercare di spiegarne l’intitolazione scrisse Mons. Ruotolo: “Ad Ugento c’è un’antica chiesetta, chiamata la Madonna del «corato» o curato. Tale nome suggerisce l’ipotesi che un tempo fosse officiata da un parroco, distinto dal Capitolo. Dato che la chiesetta, pur essendo antica, non è anteriore al secolo XVI, si può pensare che quel titolo alluda al tempo immediatamente posteriore alla distruzione del 1537. Allora essendo rimasti pochi cittadini e pochissimi sacerdoti, si sarà costituito un curato per la vita religiosa del paese, che risorgeva dalle rovine” .
Francesco Corvaglia, oltre a convenire col vescovo sull’origine della denominazione della chiesa, ritenne anche che nella stessa fosse stato officiato “il rito greco fino ai primordi dell’Ottocento”, derivando questa sua convinzione dalla presenza di “pitture bizantine” .
Contrariamente a quest’ultima opinione, riteniamo che non c’entri nulla con la chiesa il rito ortodosso, mentre per quanto riguarda la figura del curato, é possibile che quella possa aver avuto un ruolo, ma é da escludersi che sia all’origine dell’attuale intitolazione della chiesa, poiché questa é invece da farsi risalire ad una “correzione”popolare della precedente specificazione “del corato”.
Ma chi credette, in buona fede, di aver semplicemente tradotto nel linguaggio corrente quel termine, non si avvide di aver invece occasionato lo stravolgimento definitivo della vera ed originaria intitolazione della chiesetta che non aveva nulla a che fare con “corato” o “curato”ma era denominata Ecclesia Santae Mariae dello Corallo.
Così infatti la troviamo denominata nell’intestazione del citato documento e nell’incipit, dove a confermare una già avvenuta confusione, é detta “S. Maria del corato, aliter corallo”.
Di questa doppia denominazione non si trova però più traccia in seguito, a partire dallo stesso documento, nel resto del quale, come si trattasse di sinonimi, viene indifferentemente detta “del corato”e “del curato”.
In quasi tutte le carte che ne fanno menzione fino al XIX secolo viene anche precisato che la chiesa era cosi denominata“ volgarmente”, sottintendendo pertanto che doveva esservi una denominazione ufficiale; e quale poteva essere tale denominazione se non quella di “Madonna del corallo”?
La conferma di ciò la si rinviene nella tavola pseudoprospettica della città realizzata dall’abate Pacichelli nel 1703, dove la chiesetta é indicata inequivocabilmente come “S.M. del corallo”.
Ma ciononostante da allora, escluso il solo notaio Paolo Monsellato che la riporta in alcuni suoi atti della fine degli anni ottanta del 700, nessuno riprese più l’antica denominazione.
Sopravvissero le altre due fino a che verso la meta dell’Ottocento l’odierna denominazione di “Madonna del curato” non rimase l’unica.
La causa del travisamento dell’antica intitolazione é certamente da ricercarsi nella perduta memoria del suo significato, e anche a noi oggi é dato chiederci quale potesse essere stata la sua origine e se in quella sia ravvisabile una qualche relazione tra la nostra città (o la nostra storia) ed il corallo.
Per quanto però si possa indagare non si riuscirà ad individuare in proposito alcun nesso perché la ragione di quella intitolazione é da cercare altrove, precisamente a Siviglia. Qui, nella chiesa di S. Ildefonso esiste un antico dipinto risalente al XIV secolo, nel quale é raffigurata la Vergine col Bambino in braccio; l’elegante figura della Madonna é impreziosita
da un raffinato manto che avvolge anche le gambe di Gesù, riprodotto col petto nudo; e mentre la Madre regge tra le dita della mano sinistra un pomo, il Figlio nella destra stringe un volatile, probabilmente una piccola colomba.
Avevamo trovato che questo dipinto era intitolato alla “Madonna del corale” in virtu del fatto che si trova presso il coro, e data la comunanza della radice “coral” avevamo ipotizzato una sua possibile corrispondenza col nostro dipinto.
Tale ipotesi é pero divenuta certezza allorché abbiamo scoperto che quel dipinto raffigura invece la “Virgen del coral , ossia la Madonna del corallo, proprio come era originariamente intitolata la nostra chiesetta.
E la ragione della sua intitolazione non ha alcun rapporto con ciò che recano nelle mani Madre e Figlio, ma risiede nel ciondolo di una collanina che Gesù porta al collo: un pezzo di corallo rosso.
La presenza di questo monile sul petto nudo del Bambino può avere una duplice valenza simbolica: profana e religiosa.
Sotto l’aspetto profano era considerato, in quell’epoca di altissima mortalità infantile, come un amuleto contro le malattie e perciò era usanza appenderlo al collo dei bambini; mentre sotto l’aspetto religioso il suo colore secondo molti simboleggia il sangue di Cristo.
Anche nella nostra chiesetta, in un affresco sulla parete a destra dell’unico altare esistente, e raffigurata la Vergine che tiene in braccio il Bambino, ma sembra che non abbia nulla in comune con quello di Siviglia, tanto che si é sinora ritenuto che vi fosse rappresentata la “Madonna del latte”.
Nel nostro dipinto infatti, a differenza di quello nella chiesa di S. Ildefonso, il Bambino é vestito con una piccola tunica bianca, il capo della Madonna é coperto e vi sono raffigurati due angeli in volo nell’atto di incoronarla; tali differenze sembrano sufficienti ad escludere possa esservi qualche relazione fra i due dipinti, ma un particolare decisamente depone per il contrario: sembra proprio una coroncina con un ciondolo (una croce) di corallo l’oggetto che pende dall’indice proteso della mano destra del Bambino.
Depone decisamente in tal senso il rinvenimento, durante i recenti lavori di restauro, di numerosi frammenti proprio di corallo rosso, reperti che non possono considerarsi che come ex-voto verso la titolare dell’antica chiesa del “curato”.
In conclusione si può ragionevolmente sostenere che il culto della Madonna del Corallo sia stato “importato” dalla Spagna, magari da qualcuno dei tanti vescovi iberici che hanno retto la nostra diocesi.
L’attuale edificio di culto fu sottoposto ad un primo restauro sul finire del 1800, successivamente però, come altre chiesette suburbane, rimase abbandonato ed all’inizio degli anni ottanta del novecento fu devastato da un incendio che oltre a danneggiarne le strutture murarie, distrusse quasi del tutto le pitture su quelle esistenti.
Recentemente l’antica chiesa, grazie all’iniziativa dell’Associazione culturale Don Bosco, é stata sottoposta a restauro, e le sorprese non sono mancate.
Durante i lavori di smantellamento del pavimento, a poca profondità ed a circa tre metri dall’ingresso, sono stati rinvenuti tre gradini con ai lati i resti di muri, alti circa venti centimetri, che giungevano fino alle pareti laterali della chiesa.
Non si trattava dei muretti che secondo i sostenitori dell’origine bizantina della chiesa delimitavano l’iconostasi, ma dei resti della facciata della primitiva chiesa. Che fosse cosi é confermato dalle poche righe con le quali ce la descrisse il relatore della succitata visita pastorale della prima metà del 600.
Così egli la descrisse: “Ante ingressum ipsius Ecclesiae est cortile discopertum, quod antiquitus erat ecclesia Santi Viti; et per hoc patet ingressus ad ipsa Ecclesia Santae Mariae dello Corato per tres grados subterraneos. Ipsa Ecclesia habet duo altaria, unum quod est
titulus ipsius ecclesiae situm in parte occidentali, alterum in parte australi cum immagine Crucifixi, quod fuit inventum denudatum, tectum habet arondineum bene dispositum, et pavimentum equale; prope altare Divae Mariae est alia porta parva, que prebet egressum ad viam publicam.
Altare ipsius Beatae Virginis fuit inventum preparatum omnibus necessarjs ad sacrificandi. Habet pro icona immaginem in pariete cum vultu negro, et est ecclesia devota; habetque plurima fidelium vota circumpedentium” .
Segue quindi un breve elenco di suppellettili di arredamento fra cui figura “una campana di rotola 60 incirca, che sta sopra il campanile”, ma non si fa riferimento ad alcuna casa del curato.
Non ci é dato conoscere le circostanze, ma verosimilmente nella seconda metà del 600 l’antica cappella fu radicalmente ristruttura ed ampliata con l’inglobamento dell’antico cortile appartenuto alla chiesa di S. Vito. Fu sopraelevato il pavimento fin oltre il livello degli antichi tre scalini, utilizzando come riempimento cocci e terra, nonché un grosso lastrone in pietra, fratturato, che probabilmente era stato la mensa di uno dei due altari demolito.
Quello sopravvissuto fu posizionato sulla parete meridionale, dove ora si trova, ed al disopra fu dipinto un affresco ricoperto successivamente da quello attuale.
Parte dell’affresco seicentesco é stato riportato alla luce dagli esperti i cui saggi hanno evidenziato l’esistenza di altri dipinti al di sotto dell’intonaco delle due pareti laterali. L’unico dipinto coevo alla realizzazione della attuale chiesa, risparmiato dall’intervento umano e dall’incuria, é proprio quello della Madonna del corallo ed alla cui base dagli esperti é stata riportata alla luce la figura del committente ed una didascalia che risulta illeggibile.
Fu realizzato antistante l’altare un arco del trionfo e la copertura della nuova chiesa venne realizzata con tegole e non più a “cannizzo”.
E vennero certamente realizzati allora anche l’edicola campanaria e la “casa del curato”.
Così ricostruita la piccola chiesa giunse alla fine dell’Ottocento, quando si resero necessari altri interventi di manutenzione e di ristrutturazione conclusisi nel 1883.
Di questi interventi non ci é pervenuta alcuna testimonianza documentale, ma che ci siano stati a quella data é indirettamente confermato da un’iscrizione sulla piccola campana situata nel grazioso campanile a vela alle spalle della chiesa.
L’iscrizione testualmente recita: “FATTA NEL 1616 – RIFUSA – DAL CANONICO – LUIGI VITALE – NEL 1883”.
Non é dato sapere perchè la frequentazione della chiesa andò poi declinando fino ad un abbandono completo da parte dei fedeli.
Dopo che per decenni e stata esposta all’incuria ed al vandalismo finalmente si è deciso ai nostri giorni, per l’interessamento di coscienze sensibili alla storia cittadina, ad intervenire per preservare dal degrado questo antico luogo di culto, che come crediamo di aver contribuito a dimostrare, é a ragione tutelato dalle leggi come edificio di interesse storico ed artistico.
Ed infine é merito di queste poche note che si é reputato opportuno lasciare a vista i gradini di accesso all’originaria chiesa e parte delle sue originarie fondamenta.
(pubblicato su Il Bardo-fogli di culture– Anno XVIII, N. 2, Dicembre 2008).