Taranto: città delle industrie, città dell’inquinamento, delle brutture, però anche città dei tesori nascosti che non trovano una piena fruibilità. E’ il caso di un dipinto seicentesco di notevole formato conservato negli uffici di Palazzo di Città raffigurante San Francesco che soccorre gli ammalati.
La tela faceva parte del sontuoso arredo di palazzo D’Ayala-Valva (già Marrese), e abbelliva il soffitto a cassettoni del salotto di rappresentanza. Con l’espropriazione del palazzo a favore del comune nel 1981, tutti i beni conservati nel palazzo sono diventati di proprietà comunale.
Il professor Galante dell’Università di Lecce, analizzando la suddetta tela, aveva attribuito l’opera al pittore napoletano Pacecco De Rosa; successivamente lo studioso Leone De Castris riconduceva il dipinto (giustamente, secondo il parere di chi scrive) al palermitano di formazione napoletana Michele Regolia autore di numerose tele nel vicereame. Educato presso la scuola tardo-manierista di Belisario Corenzio, l’autore del dipinto tarantino non è esente da influenze emiliane alla Domenichino.
Regolia si apre alle nuove istanze del naturalismo caravaggesco imperante a Napoli, nei due personaggi maschili in primo piano torniti da vigorosi effetti chiaroscurali.
All’estrema sinistra della composizione è raffigurato un personaggio in abiti nobiliari che volge lo sguardo allo spettatore, molto probabilmente il committente del dipinto, devoto di San Francesco; sulla destra una madre con il figlio cieco in braccio implora al Santo la grazia.
Il maestro palermitano era un autore caro ai francescani perché rispondente a determinati precetti, quali la devozione e la pacatezza nelle figure, la dottrinalità nelle immagini secondo i dettami rigorosi della controriforma. Caratteristica dell’artista siciliano è, inoltre, la raffigurazione di angeli dalle ampie ali che irrompono dall’alto o sospesi a mezz’aria.
Una Taranto che può quindi inserire il Regolia ad altre figure di spicco della cultura artistica napoletana del 6-700 quali i fratelli Fracanzano, Luca Giordano, Giaquinto e lo scultore Sanmartino.
Questo gioiello pittorico è stato fortunatamente sottratto all’incuria e al vandalismo che ha purtroppo svalorizzato il prestigioso palazzo di via Paisiello. Il restauro, curato dalla Soprintendenza, ha pulito la tela da pesanti ridipinture e ha portato alla luce gli squillanti colori delle vesti e l’atmosferico paesaggio collinare che si schiude tra le figure.
Un dipinto difficilmente fruibile, che andrebbe valorizzato maggiormente, con l’esposizione in qualche mostra, anche per capire i gusti di una committenza sopraffina quale era quella dei D’Ayala-Valva, i quali secondo lo studioso Farella, avrebbero acquisito la tela dal convento di San Francesco per collocarla nell’ottocentesco palazzo.
Un doveroso ringraziamento va alla dottoressa Danese e all’assessore Davide Nistri per la disponibilità dimostrata e per avere permesso le riprese fotografiche.
* Tutor diocesano dei beni culturali (Diocesi di Oria)
Pubblicato su CORRIERE DEL GIORNO Mercoledì 9 marzo 2011