di Sandro Montinaro
Il Salento è una grande famiglia patriarcale.
In modo silente, severo e semplice al tempo stesso, esprime e trasmette la sacralità della terra, secolari esperienze di vita, pane, lavoro e innumerevoli sacrifici.
La traiettoria ardita di una maestosa libellula, sospesa e riverente, libera i miei pensieri invitandomi al volo. La inseguo. Nel frattempo ascolto, rifletto e mi chiedo: era così anche per gli antichi abitanti di Terra d’Otranto?
L’accettazione fatalistica dell’inevitabile dolore insito nella condizione umana filtra dall’educazione, permea le menti rendendole forti dal punto di vista psicologico e resistenti di fronte alla durezza del vivere… Nel passato i giovani erano di certo meno liberi, ma senza dubbio meno fragili rispetto a noi.
Terra, pane, lavoro, resistenza alla fatica.
Valori propulsivi che per secoli hanno modellato menti e comportamenti giungendo, una generazione dopo l’altra attraverso la mediazione della famiglia, fino a oggi. Alcuni nel frattempo si sono rafforzati, altri indeboliti, per il susseguirsi delle stagioni dell’anno e della vita che scorrendo cambiano luoghi, uomini e cose.
Oggi un valore è inalterato e vivo più che mai, anche se con sfumature nuove rispetto al passato: l’importanza della terra come generatrice di frutti e bene da valorizzare e difendere.
Residuo di questo ancestrale attaccamento alla terra, quasi una sorta di “terrestre” religiosità, è penetrata finanche nel mondo cristiano. Lo testimoniano le chiesette, le cappelle, l’edicole votive di cui sono disseminate le contrade e le campagne salentine.
Un esempio meraviglioso è dato dal sito di Cacorzo, nei pressi di Carpignano Salentino, dove sorge uno splendido santuario dedicato alla Madonna della Grotta, quasi che la devozione popolare abbia voluto porre sotto il mantello della bella santa, una Terra che gli uomini da soli non sarebbero bastati a difendere e preservare. Quante volte la statua della Madonna sarà stata portata in processione lungo strade e sentieri che correvano tra gli ulivi, a ridosso delle neviere e della colombaia, sotto un cielo tanto bello da sembrare forse l’immagine stessa del Paradiso. Di queste e di altre analoghe, intense esperienze religiose si nutrivano le famiglie che della religione facevano il pilastro della loro esistenza, come nel lavoro ne ponevano le basi.
Tutto rientrava nel quadro dell’ordine e della tradizione con al centro la famiglia, mediatrice per eccellenza tra l’individuo e la società per la conservazione di valori sentiti e vissuti come irrinunciabili. È commovente oggi pensare a queste famiglie, all’infinita tenerezza dei membri per i quali la fatica di una realtà quotidiana a volte amara e la condizione di un’intera vita all’insegna del lavoro e del sacrificio, trovavano in un certo senso giustificazione in una visione ultraterrena che le rendeva accettabili. E se a volte l’amarezza era un calice impossibile da vuotare, specialmente per i giovani a causa dell’età e delle attese, allora – a domare l’irrefrenabile impulso alla ribellione – interveniva il sentimento dell’autorità anch’esso molto forte e radicato nella cultura contadina. Non doveva essere facile, per dei giovani nati e cresciuti in quel contesto, superare la zona impervia e difficile della giovinezza e approdare alla terra della realtà e della condizione adulta. Difficile, se non impossibile, il guado di questa terra di nessuno, senza l’apporto dei genitori, dei nonni, della famiglia in generale, senza il calore e la sicurezza che all’individuo viene da quei legami ideali forti, da quei sentimenti che nella famiglia stessa hanno la loro sede naturale. A questa prima “base psichica” che rende possibile, oggi come in passato, l’accettazione dell’autorità se ne unisce una seconda, che secondo il sociologo Vilfredo Pareto[1] risiede nei sentimenti di soggezione, di affetto, di riverenza. Nel passato, il rapporto dei giovani con la famiglia era gravato da un forte senso dell’autorità, e ciò faceva probabilmente sì che la loro psiche con i delicati meccanismi, anziché essere guardata con rispetto e trattata con delicatezza, fosse considerata un semplice mezzo per governare i comportamenti. E queste dinamiche si potevano determinare, come purtroppo avviene ancor oggi, a livello consapevole o a livello inconscio sia per chi subiva sia per chi dominava. D’altro canto provare quei sentimenti di soggezione mista ad affetto è stata, in tutti i tempi e in quasi tutte le società umane, la condizione indispensabile per la costruzione delle società umane.
E’ l’artista che ha meditato più che letto quello che doveva rappresentare. Questo ho colto da quanto hai scritto e mi complimento con te, senza piaggeria affettiva. Bello :”il ritmo lento della vita”. Il ritmo, che è una cadenza armonica, vuole essere il rapporto fra quello che si fa e come si fa, non solo come velocità. Lento, non è tardo, ma meditato e forse interiorizzato. Oggi usiamo molto il cronometro e non solo sul lavoro, qualche volta anche andando al bagno perché dopo abbiamo un altro impegno urgente. Complimenti giovane leccese trapiantato sulla murgia.
Grazie di cuore zizì!
Ricordati di salutarmi la cara suor Michelina!
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