Padre cielo, madre terra

Carpignano Sal. (Le), Contrada Cacorzo – Santuario della Madonna della Grotta (XVI sec.), loggiato nel cortile interno, (ph S. Montinaro)

 

di Sandro Montinaro

 

Il Salento è una grande famiglia patriarcale.

In modo silente, severo e semplice al tempo stesso, esprime e trasmette la sacralità della terra, secolari esperienze di vita, pane, lavoro e innumerevoli sacrifici.

La traiettoria ardita di una maestosa libellula, sospesa e riverente, libera i miei pensieri invitandomi al volo. La inseguo. Nel frattempo ascolto, rifletto e mi chiedo: era così anche per gli antichi abitanti di Terra d’Otranto?

L’accettazione fatalistica dell’inevitabile dolore insito nella condizione umana filtra dall’educazione, permea le menti rendendole forti dal punto di vista psicologico e resistenti di fronte alla durezza del vivere… Nel passato i giovani erano di certo meno liberi, ma senza dubbio meno fragili rispetto a noi.

Terra, pane, lavoro, resistenza alla fatica.

Valori propulsivi che per secoli hanno modellato menti e comportamenti giungendo, una generazione dopo l’altra attraverso la mediazione della famiglia, fino a oggi. Alcuni nel frattempo si sono rafforzati, altri indeboliti, per il susseguirsi delle stagioni dell’anno e della vita che scorrendo cambiano luoghi, uomini e cose.

Carpignano Sal. (Le), centro storico (ph S. Montinaro)

Oggi un valore è inalterato e vivo più che mai, anche se con sfumature nuove rispetto al passato: l’importanza della terra come generatrice di frutti e bene da valorizzare e difendere.

Residuo di questo ancestrale attaccamento alla terra, quasi una sorta di “terrestre” religiosità, è penetrata finanche nel mondo cristiano. Lo testimoniano le chiesette, le cappelle, l’edicole votive di cui sono disseminate le contrade e le campagne salentine.

Un esempio meraviglioso è dato dal sito di Cacorzo, nei pressi di Carpignano Salentino, dove sorge uno splendido santuario dedicato alla Madonna della Grotta, quasi che la devozione popolare abbia voluto porre sotto il mantello della bella santa, una Terra che gli uomini da soli non sarebbero bastati a difendere e preservare. Quante volte la statua della Madonna sarà stata portata in processione lungo strade e sentieri che correvano tra gli ulivi, a ridosso delle neviere e della colombaia, sotto un cielo tanto bello da sembrare forse l’immagine stessa del Paradiso. Di queste e di altre analoghe, intense esperienze religiose si nutrivano le famiglie che della religione facevano il pilastro della loro esistenza, come nel lavoro ne ponevano le basi.

Carpignano Sal. (Le), Palazzo ducale Ghezzi – Processione della Madonna della Grotta (ph primi del Novecento)

Tutto rientrava nel quadro dell’ordine e della tradizione con al centro la famiglia, mediatrice per eccellenza tra l’individuo e la società per la conservazione di valori sentiti e vissuti come irrinunciabili. È commovente oggi pensare a queste famiglie, all’infinita tenerezza dei membri per i quali la fatica di una realtà quotidiana a volte amara e la condizione di un’intera vita all’insegna del lavoro e del sacrificio, trovavano in un certo senso giustificazione in una visione ultraterrena che le rendeva accettabili. E se a volte l’amarezza era un calice impossibile da vuotare, specialmente per i giovani a causa dell’età e delle attese, allora – a domare l’irrefrenabile impulso alla ribellione – interveniva il sentimento dell’autorità anch’esso molto forte e radicato nella cultura contadina. Non doveva essere facile, per dei giovani nati e cresciuti in quel contesto, superare la zona impervia e difficile della giovinezza e approdare alla terra della realtà e della condizione adulta. Difficile, se non impossibile, il guado di questa terra di nessuno, senza l’apporto dei genitori, dei nonni, della famiglia in generale, senza il calore e la sicurezza che all’individuo viene da quei legami ideali forti, da quei sentimenti che nella famiglia stessa hanno la loro sede naturale. A questa prima “base psichica” che rende possibile, oggi come in passato, l’accettazione dell’autorità se ne unisce una seconda, che secondo il sociologo Vilfredo Pareto[1] risiede nei sentimenti di soggezione, di affetto, di riverenza. Nel passato, il rapporto dei giovani con la famiglia era gravato da un forte senso dell’autorità, e ciò faceva probabilmente sì che la loro psiche con i delicati meccanismi, anziché essere guardata con rispetto e trattata con delicatezza, fosse considerata un semplice mezzo per governare i comportamenti. E queste dinamiche si potevano determinare, come purtroppo avviene ancor oggi, a livello consapevole o a livello inconscio sia per chi subiva sia per chi dominava. D’altro canto provare quei sentimenti di soggezione mista ad affetto è stata, in tutti i tempi e in quasi tutte le società umane, la condizione indispensabile per la costruzione delle società umane.

Inoltre è stata sempre la famiglia a svolgere una funzione e un ruolo di primo piano per la preparazione psichica, «la conservazione e la riproduzione dell’autorità»[2]. Spesso tutto ciò non appariva né agli occhi degli adulti né a quelli dei giovani, offuscati da un alone di romanticismo che ancor oggi la famiglia dei tempi trascorsi si porta dietro nell’immaginario di anziani ma anche di una parte della popolazione più giovane. Se si vuole, tuttavia, fare un confronto tra la condizione giovanile di un tempo e quella dei giovani che vivono l’odierna realtà, bisogna scrollarsi di dosso le incrostazioni romantiche e sentimentali, che spesso nascondono realtà ben più crude. Rispetto a noi, giovani di oggi, quelli del passato, a fronte di una forte riduzione della libertà, godevano se non altro di maggiori sicurezze affettive e psicologiche. I ragazzi che oggi si incontrano in quelle stesse contrade, sono forse apparentemente più liberi, ma non sempre altrettanto sicuri. Siamo, dunque, come i nostri coetanei del passato, inclini a cedere ai ricatti psicologici, potenti quanto subdoli, della famiglia e dell’autorità, che ancora, in un certo senso anche se in modo diverso, da essa pretende di promanare.

Quello che forse di veramente bello e profondo aveva la società salentina in altri tempi era il ritmo lento della vita, che permetteva una comunicazione tra le generazioni, mentre oggi la rapidità che contraddistingue i contatti e le relazioni umane rischia di far perdere di vista l’antico valore della lentezza, quello che dava più voce ai deboli della società, anziani e bambini. Oggi sbiadendo, questo valore rischia di far tacere le voci delle generazioni estreme, ma ciò potrebbe scavare un solco più profondo anche nelle relazioni tra giovani e adulti.


[1] Vilfredo Pareto (1848-1923), ingegnere, economista e sociologo italiano, i cui concetti presenti nel Trattato di Sociologia Generale ripresi da H. Marcuse sono illuminanti per comprendere meglio le complesse dinamiche psicologiche che intervengono nel rapporto: io-autorità-famiglia. Cfr. V. PARETO, Trattato di Sociologia Generale, cit. da H. MARCUSE, L’autorità e la famiglia, Torino, Einaudi, 1970.

[2] F. FERRAROTTI, Lineamenti del pensiero sociologico, Roma, Universale Donzelli, 2002, p. 362.

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3 Commenti a Padre cielo, madre terra

  1. E’ l’artista che ha meditato più che letto quello che doveva rappresentare. Questo ho colto da quanto hai scritto e mi complimento con te, senza piaggeria affettiva. Bello :”il ritmo lento della vita”. Il ritmo, che è una cadenza armonica, vuole essere il rapporto fra quello che si fa e come si fa, non solo come velocità. Lento, non è tardo, ma meditato e forse interiorizzato. Oggi usiamo molto il cronometro e non solo sul lavoro, qualche volta anche andando al bagno perché dopo abbiamo un altro impegno urgente. Complimenti giovane leccese trapiantato sulla murgia.

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