di Armando Polito
Δεî μέγα πίνειν.
Copiose bibere opus est.
Se la televisione fosse esistita ai tempi dei Greci e dei Latini quasi sicuramente i nostri antenati si sarebbero dovuto sorbire in questa stagione più volte al giorno un Bisogna bere in abbondanza, che è, poi, la traduzione delle due frasi, di mia invenzione, appena scritte.
Il problema, oggi probabilmente più assillante di allora, veniva risolto bevendo acqua o vino freschi, in un modo, cioè, vino a parte, non dissimile da quello puntualmente raccomandato ai nostri giorni dal tg e suggerito, per non dire subliminalmente imposto, (questa volta anche ma non solo per l’acqua…) dalla miriade di messaggi pubblicitari al cui bombardamento siamo sottoposti tutte le ore del giorno e della notte.
Si, ma come facevano a rinfrescare ciò che bevevano? Tutto questo lo vedremo tra un attimo, dopo la pubblicità…
Greci e Romani, ma pure altri popoli più antichi, rinfrescavano ciò che bevevano più o meno come si è fatto fino alla fine del XIX secolo: con la neve. E, per mantenere costante la temperatura per un periodo sufficientemente lungo, a partire dal VI secolo a. C., i Greci usavano un contenitore chiamato ψυκτήρ (alla lettera refrigeratore, da ψύχω=soffiare, respirare, raffreddare; i primi due significati denotano pure la derivazione dallo stesso verbo di ψυχή=vita, anima; nel linguaggio specialistico ψυκτήρ è reso in italiano con psictère), avente una forma particolare, che, riempito di neve o acqua fredda, veniva posto nel cratere contenente il vino (secondo altri il ruolo dei due contenitori era invertito); un altro modello più raro e in uso solo nel VI secolo somigliava ad un’anfora con doppia parete, la cui intercapedine era riempita con il liquido refrigerante: sono, soprattutto quest’ultimo, gli antenati del thermos.
I brani che seguono da me tradotti nelle due sezioni, la prima dedicata agli autori greci, la seconda ai latini1, rappresentano adeguatamente il tema di oggi (limitato all’acqua e alla neve visti solo come mezzi per la soddisfazione della sete e per sollievo dall’arsura e non, tra l’altro, come strumenti terapeutici) nelle sue molteplici sfaccettature: dalla sentimentale alla scientifica, dalla polemica all’economica, dalla sociologica all’ironica (mi riferisco all’ironia dei testi originali, non alle mie superfetazioni alle quali, purtroppo, non ho saputo o potuto rinunciare).
1)
Senofonte (V-IV secolo a. C.), Memorabilia, II, 1 nel citare la favola di Ercole al bivio da un’opera perduta di Prodico (V-IV secolo a. C.) così fa parlare la Virtù all’indirizzo della Felicità: “… per bere con piacere ti procuri vini costosissimi e d’estate vai in giro a cercare la neve…”.
Vuoi vedere che l’allusione non è tanto alla neve che serve alla Felicità (leggi evasore fiscale) per raffreddare il suo costosissimo vino (leggi champagne) ma, piuttosto, a quella artificiale sparata in estate da un cannone ante litteram sui campi da sci di qualche località rinomata per la pratica di sport invernali (se ancora non avviene, potrebbe essere un’idea per qualche coraggioso “imprenditore statale”)?
Teocrito (III secolo a. C.) nell’XI idillio (vv. 47-48) mette in bocca a Polifemo innamorato di Galatea queste delicate parole con cui il gigante (leggi la bestia) descrive le comodità del suo appartamento (leggi caverna) cercando di conquistare la ninfa Galatea (leggi la bella): “C’è acqua fresca che il boscoso Etna mi fornisce dalla bianca neve, bevanda divina”.
Altro che altissima, purissima, Levissima!
Strabone (I secolo a. C.), Geographia, XI, 4: “Dicono che qui [in Armenia] nel corso di scalata dei monti spesso intere cordate sono state fagocitate dalla neve; che per far fronte a questo pericolo i viandanti hanno dei bastoni da sollevare in superficie in modo tale che possano respirare e segnalare la loro presenza ai soccorritori e che ne hanno tratto giovamento e sono stati liberati e salvati. Dicono pure che nella neve si formano zolle cave contenenti all’interno, come se avessero la buccia, acqua da utilizzare”.
Sulle capsule di acqua non ho nulla da dire; mi chiedo, invece, quante volte abbiano funzionato i bastoni perché, allora come oggi, quando t’inghiotte la neve o t’investe una valanga, per potere restare col bastone in mano e poi manovrarlo adeguatamente ci vuole la stessa fortuna che ha avuto Schettino col suo scivolone nella scialuppa… Comunque, fatte le dovute differenze non so a vantaggio di chi, il bastone è un ARVA (acronimo di Appareil de Recherche des Victimes en Avalanche), un rilevatore di posizione ante litteram.
Ateneo di Naucrati (II-III secolo d.C.), I deipnosofisti, IV, 21: “Su un treppiedi c’erano uno psictere di bronzo, una brocca, un bacile di argento contenente due coppe e una tazza, una coppa di bronzo più grande per versare il vino”.
E, dopo questa presentazione collettiva di contenitori per bevande, che a qualcuno può pure ricordare per certi versi qualche vendita televisiva di una batteria di pentole:
III, 35: “Semo di Delo nel secondo libro de L’isoletta dice che nell’isola di Cimolo d’estate vengono approntati luoghi per tenere fresca l’acqua, dove vengono riposti vasi di creta pieni di acqua tiepida, poi vengono usati come se contenessero neve sciolta…….. Alessi dunque ne Il parassita dice: -Voglio che tu assaggi la mia acqua; ho dentro casa la grande ricchezza di un pozzo la cui acqua è più fredda di Ararote2-. Ermippo ne Il furfante chiama freatica l’acqua del pozzo. Alessi ne La donna che beve la mandragora dice che bevevano pure la neve: Non è forse l’uomo una strana creatura che gode di cose tra loro contrarie? Disprezziamo i parenti, amiamo gli estranei. Pur non avendo nulla siamo ricchi per gli altri, quando si fa una colletta la nostra partecipazione è misera. Per quanto attiene il vitto quotidiano vogliamo che la nostra focaccia sia quanto più bianca possibile e poi la inzuppiamo in un brodo nerissimo; sovrapponiamo ad un colore bello uno indelebile. E siamo pronti a bere la neve mentre critichiamo il cibo se non è caldo. Sputiamo il vino inacidito e poi perdiamo la testa per le salse piccanti. Non è vero dunque ciò che i sapienti vanno dicendo, che sarebbe stato meglio non nascere o morire appena nati? Dexicrate nella commedia intitolata Gli ingannati da se stessi: Quando sono ubriaco bevo neve e l’Egitto mi fornisce un ottimo unguento con cui spalmarmi il capo. Euticle ne I dissoluti o Epistola: Per primo egli seppe se la neve ha un prezzo ma prima fu necessario che quello mangiasse interamente un favo3. L’elegante Senofonte in Fatti memorabili mostra di conoscere la bevanda ottenuta dalla neve. Chares di Mitilene in Le storie di Alessandro espose pure per quale motivo bisognava conservare la neve trattando dell’assedio della città indiana di Petra. Dice che Alessandro fece scavare trenta fosse poco distanti tra loro le fece riempire di neve e coprire con rami di quercia; così la neve durò parecchio tempo. Stattide in Quelli che prendono il fresco dice che raffreddavano anche il vino per berlo più fresco: Neppure uno sopporterà di bere vino caldo ma molto prima refrigerato in un pozzo, mescolato con la neve. E Lisippo in Le Baccanti: A -Ermone, che succede? Dove ci troviamo? – . B -Nient’altro se non il fatto che, mi sembra, il padre dall’alto si è calato nel pozzo come fa con il vino in estate-. Difilo ne Il piccolo monumento dice: Refrigera il vino, Dori. Protagoride nel secondo libro de Le storie comiche narrando la navigazione del re Antioco su un fiume parla di un’artificiale refrigerazione dell’acqua con queste parole: Dopo aver esposto l’acqua al sole di giorno ed averne filtrato di notte la parte più densa, ciò che resta lo espongono all’aria aperta in vasi di creta sulla parte più alta delle case e per tutta la notte due schiavi bagnano con acqua i vasi. All’alba sollevano i vasi, di nuovo filtrano il sedimento rendendo l’acqua limpida e potabile e pongono i contenitori sotto la paglia. E così si servono di quell’acqua senza aver bisogno della neve. Anaxilade ne La suonatrice di flauto parla così dell’ acqua di cisterna: Sappi che da parte mia è a disposizione per te quest’acqua di cisterna. E di nuovo: Forse si è esaurira l’acqua di cisterna. Apollodoro di Gela ne La traditrice ricorda anche lui l’acqua di cisterna, come noi diciamo, così: Ansiosa, dopo aver sciolto il secchio del la cisterna e quello del pozzo, tenni pronte le funi. Mirtilo sentendo ciò disse: Amici miei, io che sono amante del pesce sotto sale voglio bere la neve seguendo Simonide. E Ulpiano dice: Si legge amante del pesce sotto sale in Onfale di Antifane così: Non sono per nulla amante del pesce sotto sale, o ragazza. Alessi ne Il potere delle donne chiamò uno pure pesce salato in umido con queste parole: Questo è Cilice, Ippocle, un pesce salato in umido, un ipocrita. Che sia quello che dicesti a proposito di Simonide non lo so. -Certo – ribattè Mirtilo – perché non ti curi della conoscenza delle storie, ghiottone! Infatti sei un goloso e, come dice il poeta Asio di Samo, quello senior, un parassita goloso-. Callistrato nel settimo libro de I mescolamenti dice che, banchettando il poeta Simonide in casa di alcuni nella stagione del caldo e mescolando i coppieri agli altri con la neve il vino da bere e a lui no, improvvisò questo epigramma: Quella [la neve] facilmente un tempo Borea impetuoso muovendo dalla Tracia sparse intorno ai fianchi dell’Olimpo e morse i sensi degli uomini privi di mantello; poi s’intenerì ricoperta viva4 dalla terra di Pieria. Qualcuno me me ne sciolga un pezzo. Non è conveniente infatti porgere ad un amico una bevanda calda”.
Plutarco, Convivio dei sette sapienti, VI, 5: “Penso che tu ricordi cosa ha detto Aristotele intorno alle pietre e ai pezzi di metallo che gettati nell’acqua la raffreddano e la congelano”; VI, 6: “Come anche la paglia posta attorno delicatamente per la sua leggerezza non indebolisce la massa di ghiaccio; altre volte [la paglia] è fitta e spessa sì da respingere il calore dell’aria e non permettere al freddo della neve di disperdersi”.
Ricordo che fino a tutta la metà del secolo scorso l’unica possibilità di preparare bevande fresche era offerta dal blocco di ghiaccio (la produzione del ghiaccio artificiale era iniziata un secolo prima) e la parte (il blocco intero costava troppo per chi, anche allora, non era un evasore…) acquistata veniva avvolta in un panno, collocata in una cassa e ricoperta di paglia per ritardarne la liquefazione. Sul potere isolante della paglia vedi più avanti anche la testimonianza di Seneca. Un rito era poi, specialmente per noi ragazzini, il movimento di quella specie di pialla usata per raschiare da quel pezzo, con movimenti rapidi per motivi facilmente intuibili, scaglie con cui preparare granite senza tante scelte nel loro gusto: caffé per gli adulti, limone per noi. Gli adulti maschi (per le femmine sarebbe stato perdizione…), poi, a Nardò potevano gustarle così preparate nella sua rivendita di ghiaccio ed altro dal mitico Pippinu Giuranna.
2)
Plinio il Vecchio (I secolo d. C), Naturalis historia, XIX, 19: “La natura aveva creato gli asparagi selvatici perché chiunque li raccogliesse qua e là; ecco che ora si vedono asparagi coltivati e a Ravenna tre pesano una libbra. Prodigi del ventre! Sarebbe strano che non fosse lecito al bestiame pascersi di cardi, eppure non è permesso alla plebe. Si separano pure le acque e gli stessi elementi della natura sono resi differenti dalla potenza del denaro. C’è chi beve la neve, chi il ghiaccio e trasforma in piacere della gola i fastidi dei monti. Si conserva il freddo per il caldo e si trova il modo perché la neve rinfreschi nei mesi caldi. Altri fanno bollire l’acqua e subito dopo la fanno ghiacciare. Così l’uomo non ha nulla che piaccia alla natura”; XXXI, 23: “Fu un’invenzione dell’imperatore Nerone far bollire l’acqua e posta in un vaso di vetro farla raffreddare nella neve. Così il piacere del freddo si ottiene senza i difetti della neve”.
Chissà cosa direbbe oggi il buon Plinio di fronte alle violenze continue cui protervamente sottoponiamo la natura!
Plinio il Giovane (I secolo d. C.), Epistole, I, 15: “Erano state preparate per ciascuno una lattuga, tre lumache, due uova, spelta con vino al miele e neve; infatti terrai conto pure di quest’ultima, anzi di questa soprattutto perché sparisce nel piatto”.
La spelta con vino al miele e neve ha tutta l’aria di essere l’antenata del sorbetto, parola che non ha nulla a cha fare con la sorba e tanto meno con sorbìre (che è dal latino sorbère, di probabile origine onomatopeica) poiché è dal turco şerbet=bevanda fresca, a sua volta dall’arabo sharab=bevanda.
Marziale (I secolo d. C.),Epigrammi, V, 64: “Versa, o Callisto, due bicchieri di Falerno e tu, Alcimo, scioglici sopra le nevi estive”; IX, 22: “Solo grandi coppe di cristallo siano sfiorate dalle mie labbra e i nostri Falerni rendano nere le nevi”; 91: “Lontano da ogni fastidio possa tu bucare il ghiaccio col nero vino della coppa”; XIV, 103: “Mi raccomando, allunga nelle coppe il vino di Sezze con la mia neve; con un vino meno pregiato puoi tingere il sacco”; 104: “Anche il mio sacco sa liquefare la neve; dal tuo colatoio l’acqua non zampilla più fresca”; 105: “Quando la chiedi non ti manchi l’acqua fresca nè la calda, ma evita di scherzare con la sete che dura da lungo tempo“; 106: “Ti viene donato questo rosso orciolo col manico curvo: lo stoico Frontone vi beveva l’acqua gelida”; 116: “Bevi il vino riposto nelle grotte di Soleto o dei Marsi; che ti giova il nobile freddo dell’acqua bollita?”7; 117: “S’immaginò un’ingegnosa sete: non bere la neve ma bere l’aqua gelata dalla neve”; 118: “ Evita, ragazzo, di mescolare gli affumicati vini di Marsiglia8 all’acqua fresca proveniente dalla neve, altrimenti l’acqua costerà più del vino”.
Seneca (I secolo d. C.), Naturales quaestiones, IV, 13, 7: “E non sono contenti della neve, ma cercano il ghiaccio come se il freddo fosse più sicuro nella sua solidità e spesso lo sciolgono ripetutamente con l’acqua: il ghiaccio non è preso dalla superficie ma perché abbia una forza maggiore e un freddo più persistente viene scavato in profondità . E così il suo prezzo non è unico, ma l’acqua ha dei bottegai e, che vergogna!, un prezzo vario. Gli Spartani cacciarono dalla città i profumieri e imposero loro di allontanarsi rapidamentedai loro territori, poiché sprecavano olio. Che avrebbero fatto se avessero visto i depositi di neve e le tante bestie da tiro necessarie per il trasporto dell’acqua, il cui colore e sapore inquinano a causa della paglia con cui la proteggono?”; Epistulae morales ad Lucilium, XV, 3: “Non pensi che quella neve estiva procuri insensibilità all’animo?”.
Meno male che a distanza di duemila anni noi siamo messi meglio: la privatizzazione dell’acqua, infatti, favorirà la concorrenza e determinerà un calo delle tariffe; proprio com’è già successo per trasporti, telefonia, banche, assicurazioni e chi più ne ha più ne aggiunga; e, per quanto riguarda la neve, è un conforto sapere che, mentre ai tempi di Seneca costava caro conservarla, oggi costa carissimo alle finanze pubbliche eliminarla dalle strade e ai singoli cittadini affrontare e superare i disagi provocati dalla sua caduta… 9
Elio Lampridio (forse IV secolo d. C.), Vita di Eliogabalo, XXIII: “Fece realizzare in estate nel giardino della sua casa un monte di neve fatta trasportare apposta”.
Abbiamo chiuso in bellezza con colui che fu proclamato imperatore nel 218 d. C. a 14 anni (altro che il Trota!) e che probabilmente fu il primo ad usufruire dell’aria condizionata (sia pure nel solo giardino, poveretto!) grazie ad un sistema molto più spettacolare ed esteticamente appagante dello schiavo-ventilatore di egizia memoria; però dopo quattro anni di malgoverno fu ucciso dai pretoriani, e qui mi fermo…
______
1 Il dato temporale che accompagna ogni singolo autore consente al lettore di approntare, se vuole, un’unica sequenza cronologica.
2 Frecciata micidiale, anche se indiretta, ad Aristofane, il padre della commedia di mezzo, il cui figlio si chiamava Ararote ed era anche lui poeta comico.
3 Qui la tradizione manoscritta è estremamente varia e le interpretazioni molteplici. Ho fornito la mia basata sul testo dell’edizione curata da Johannes Scweighaeuser, Ex typographia societatis Bipontinae, Argentorati, anno IX (1801). L’immagine di chi ingurgita un favo (api comprese) e per lenirne le conseguenze usa la neve è perfettamente plausibile in un testo comico. All’ipercritico che dovesse obiettare che in estate è facilissimo imbattersi nelle api ma impossibile nella neve rispondo che anche a quell’epoca c’erano sistemi per conservare la neve.
4 Interrata in buche prima che sciogliesse.
5 L’apparente ossimoro è da intendere come nevi cadute in inverno e usate in estate.
6 Nell’epigramma precedente ed in questo sono ricordati i due modelli di colatoio per il vino; il primo (colum vinarium o colum nivarium, sembra un gioco di parole…), riservato ai ricchi, era di argento o di bronzo e consisteva in un contenitore con buchi che veniva riempito di neve e poi vi si versava il vino che, freddo, scolava nella coppa; il secondo, quello della povera gente (saccus vinarius), era costituito da un semplice panno.
7 Che l’acqua prima di essere rinfrescata con la neve venisse bollita è una prova, già allora, della sua scarsa potabilità.
8 I vini importati dalla Gallia Narbonese, spesso contraffatti, erano i più scadenti.