di Wilma Vedruccio
Maria è la parte del nome che rimane.
Forse Maria Assunta o Maria Concetta, Maria Luce?
Ricamava nei lunghi pomeriggi estivi, sull’uscio della porta di casa.
Lo schienale della sedia rivolto verso la strada, i piedi posati sullo scalino di pietra, lucido e consunto dal calpestio degli anni.
Ciocche di capelli cadevano sulla tela quando lei piegava il collo per controllar da vicino un punto e le facevano da cortina nel riverbero della luce del tramonto; uno sguardo vellutato scivolava allora furtivo, sulla polvere della carreggiata ad inseguire un cigolio di ruote nell’ora del ritorno dalla fatica, cigolio sempre preannunziato da un odor di erbe selvatiche, di fieno.
Quell’ odore le accendeva le voglie, la rendeva un po’ smaniosa in quel suo stare ferma per ore, diventava più piccola dei piccoletti che nella piazzetta vicina giocavano vocianti. Avrebbe volentieri preso due di loro, uno per mano, per correre lungo il sentiero di campagna a inseguire fantasie senza nome, a cogliere more, ad addentare uno o due fichi maturi, a respirare orizzonti lontani… ma non si decideva mai a “spiccare il volo”.
Voleva metter fine a quel ricamo prima della penombra del crepuscolo, prima del ritorno del padre dai campi, così che la sua giornata avesse dato frutto.
Una tovaglia di lino, ricamata a fiori e frutta, con sfumature di colore da pittura, con orli e smerli fini, per banchetti di chissà quali feste o… per la processione del Corpus Domini.
Il ritorno del padre la rendeva più quieta e contenta, le piaceva ascoltare il suo silenzio, il respiro ritmato che piano allontanava la fatica, il sorseggiare lento di un bicchiere di vino e le pigre parole del racconto del giorno.
Domande appena abbozzate, resoconti essenziali della vita quotidiana, qualche novità del vicinato… tutto qui, giusto per rassicurare che la vita aveva fatto il suo corso anche per quel giorno e non c’erano anomalie di cui doversi preoccupare.
Intanto la luce del crepuscolo si scansava per lasciar apparire le prime stelle della sera e Maria quasi si assopiva… non sapeva che presto qualcuno, venuto da lontano, l’avrebbe poi chiamata solo Meri.
Prima che nuovi post prendano l’attenzione dei lettori, voglio soffermarmi sulla bella immagine che la Redazione di Spigolature Salentine ha gentilmente voluto a commento del mio piccolo testo: Maria.
Una trama di luce e ombre del fogliame ricade su tutta la scena, ricopre la ricamatrici, la tela-oggetto del loro lavoro, l’angolo di mondo, la cornice dentro cui l’autore ha voluto rappresentarle.
Il gioco di luce, la penombra del rampicante, aggiunge preziosità al già prezioso lavoro, aggiunge bellezza alla composizione, aggiunge ricamo a ricamo.
E si indovinano racconti, confidenze, segreti, dai sorrisi appena abbozzati,
e si indovinano gesti da quelle mani, da quelle dita impegnate nel compito.
E s’indovina la vita che scorre lì sui quei gradini e dietro quei vetri nell’ombra, che vorrebbero rispecchiare ciò che vedono fuori ma se ne astengono con discrezione.
E la tela e le giovani donne, le loro storie, diventano la perla racchiusa da un bozzolo vegetale intessuto di filo e di luce. E il mistero rimane arrotolato nella ciotola sul gradino.
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