di Armando Polito
Se pensiamo al successo, soprattutto economico, di maghi, indovini, fattucchiere e simili non deve far meraviglia che in tempi meno tecnologici e razionali dei nostri ci fossero anche nel Salento entità occulte ad uso degli adulti e dei bambini.
Inizio dal mondo degli adulti sui i quali il discorso è più breve, nel senso che, a parte le entità da loro consapevolmente inventate per i bambini, c’era il solo munacèddhu, spirito folletto delle credenze popolari, molto dispettoso, che sovente assumeva le sembianze di un piccolo monaco, ad alimentare, turbandole, le loro fantasie. Era un’entità, in fondo, benigna che si divertiva a fare piccoli dispetti, come nascondere gli oggetti o sedere sulla pancia del dormiente; con una facile ironia, che non mi sento di condividere completamente perché avulsa dalle pur necessarie considerazioni storico-ambientali (basti pensare che l’omologo napoletano munaciello assurse a dignità giuridica in un decreto emesso il 24 dicembre 1587 dal Conte di Miranda, all’epoca vicerè, per cui si stabiliva quanto segue: “Se avvenga che nella casa locata l’inquilino spinto da panico timore creda essere assalito de’ maligni spiriti che in Napoli chiamansi Monacelli, anche gli si permettesse di lasciarla senza essere tenuto a pagamento di mercede”1), qualcuno potrebbe parlare di folletto-arteriosclerosi nel primo caso, di folletto-digestione difficile nel secondo.
Passo ora ai bambini per i quali l’assortimento di spauracchi era più ampio. Comincio con il meno spaventoso, perché, almeno nell’ambiente salentino, realmente esistente: il mmammòne. Il termine, infatti, designa un parassita delle fave secche, nelle quali scava gallerie; esso corrisponde all’italiano mammone (dall’arabo maymun=scimmia, anche in funzione appositiva nella locuzione gatto mammone, mostro immaginario presente in certe fiabe in lingua) ed è figlio diretto della cultura contadina.
Le creature più spaventose, però, erano quelle immaginarie che, a differenza del mmammòne, erano in grado di divorare interamente un individuo, preferibilmente un bambino (l’ironico di prima parlerebbe di un naturale, maggior gradimento della carne tenera). Ecco, allora, il mau (secondo il Rohlfs deformazione di mago, ma secondo me non è da escludere che sia una voce infantile di origine onomatopeica; ancora oggi, infatti, nei giochi tra bambini la pronuncia cupa e prolungata della m dovrebbe servire, almeno nelle intenzioni, ad incutere terrore): era un mostro gigantesco, dalla voce cavernosa, antropofago.
Siccome probabilmente con qualche bambino particolarmente sveglio il mau non funzionava, venne inventato, per raddoppiamento, il mamàu, che, credo sulla parola, anzi sul suono, qualche effetto doveva farlo anche sui più ribelli. Ma anche in questo campo non mancava la concorrenza e alla pari col mamàu era quotato il nanniuèrcu, composto da nanni, variante di nonnu=nonno (usata solo, con suffisso dispregiativo, nella voce nannàscinu=antenato/uomo molto vecchio e nel nesso alli tièmpi ti lu nanni=ai tempi del nonno) e uèrcu che può derivare dal latino Orcus, dio dell’oltretomba, ma anche da orca, il cetaceo che già presso i Romani godeva fama di voracità ed antropofagia. Bastava (!?) l’espressione mo’ chiàmu lu nanniuèrcu ca ti màngia (=adesso chiamo il nonno orco che ti mangia) per far sì che i bambini ubbidissero o se ne stessero buoni.
E come dimenticare la manu longa (che inevitabilmente avrebbe ghermito il bambino che imprudentemente si fosse affacciato all’orlo di un pozzo e simili) che proprio per questa sua identità mutilata era, forse, la più misteriosa ed inquietante?
Tali sistemi educativi oggi fanno rabbrividire i moderni pedagoghi e psicologi (sarebbe, forse, più opportuno che ogni tanto aleggiasse sul loro volto, almeno su quello dei più attempati, un sorriso non di sprezzante ironia, ma di nostalgico affetto), però vale la pena ricordare che essi (i vecchi sistemi educativi) non hanno traumatizzato nessuno e che sono certo più dannosi quelli odierni basati su una forma di ricatto peggiore, cioè non più sull’assunto antico se non fai il buono perdi qualcosa che già hai (addirittura la vita, per colpa del nanniuèrcu), ma su quello moderno e consumistico se non ti comporti bene, non avrai quella cosa che tanto desideri (il motorino, la playstation, il telefonino nuovo, l’i pod).
Come si fa a spiegare ad un adolescente di oggi quanto fosse più poetica, intrigante, addirittura, forse, misteriosamente più educativa e formativa la figura dell’incombente nanniuèrcu di fronte a quella, tanto per citarne solo una, del freddo e metallico motorino, incombente pure lui in ogni pagina o spot pubblicitario e in ammiccante attesa in questa o in quella concessionaria? La considerazione più amara nasce dal fatto che oggi, paradossalmente, il mau, il mamàu e il nanniuèrcu non sono morti, anzi sono più vivi che mai, solo che hanno assunto sembianze insospettabilmente umane, entrando così in una dimensione più crudele ed innaturale, insomma sono diventati il campione della peggiore umanità, quella dei sadici, degli incestuosi, dei pedofili, peggio ancora se padri o addirittura nonni; e alla manu longa che in passato esercitava il suo ipotetico potere sui bambini imprudenti è subentrata, nelle forme più disparate e impensabili (tv e pubblicità per citarne solo due) , la longa manus che subdolamente manipola le nostre esistenze.
La realtà, purtroppo, ha superato ancora una volta, e in peggio, la fantasia. Quanto al mmammòne che, come ho detto era il meno cattivo o pericoloso, ha fatto la solita fine dei buoni, cioè è scomparso da tempo non solo come spauracchio ma ha i giorni contati pure come parassita, di fronte a veleni sempre più potenti ed ai miracoli (?) della transgenetica. Proprio il contrario di quello che succedeva nelle care, vecchie fiabe!
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1 Gregorio Grimaldi, Istoria delle leggi e magistrati del Regno di Napoli, De Simone, Napoli, 1771, tomo IX pag. 4.
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