Palazzo Comi a Lucugnano di Tricase

PALAZZO COMI A LUCUGNANO DI TRICASE:

OGGI BATTE IL CUORE E HO PERSO LA PAZIENZA

 

di Giuliana Coppola

“Menomale, menomale che la stampa, quella che parla troppo, non ha parlato di noi, dice papà Tarlo a mamma Tarlo” nell’angolo loro d’un tavolino di legno d’olivo “menomale che possiamo stare ancora tranquilli almeno noi in questi tempi di magra”. Si riaddormentano i Tarli nobili di Casa Comi, mentre la campanella, a Lucugnano, alle sei suona prima tre tocchi e poi, in cadenza cinque e poi sette e attende che si svegli l’orologio e sono le sei e un quarto e anche l’orologio si sveglia; di notte, a Lucugnano, anche l’orologio dorme e si riposa.

Lo sveglia tocco di campana, canto di galline nei giardini, voci di contadini che già ritornano dai campi con la verdura fresca; così riprende un altro giorno e questa è un’altra storia di una notizia sfuggita dal segreto, di Tarli un po’ poeti, di un prato all’inglese e di un caffè.

E anche di quattro chiacchiere al bar Comi, naturalmente; ché esiste già un bar Comi accanto al palazzo suo; un caffè e la notizia della giornata; e il cielo benedica sempre la stampa, quella, oggi fa rimbalzare la notizia anche quella di un “fazzoletto, piccolissima porzione d’un giardino chiuso sino ad ora trascurato e dimenticato da tutti, logisticamente separato da palazzo Comi”. E come fai a dimenticarlo? Se lo chiedono i cittadini di Lucugnano intorno al caffè, è là, sotto gli occhi di tutti, ci passi decine di volte al giorno, che è quasi un obbligo se si vuole andare in chiesa, comprare sigarette e giornali, fare la spesa, sedersi in piazza, è lì e non può essere dimenticato; qualcuno, a turno, da volontario, l’ha sempre coccolato ed ora c’è Cesario, c’era prima Fernando. Già Fernando; “ora se ne è andato in pensione”, ti dicono. Era lui l’anima del giardino; quello che ne curava ferite, coccolava e carezzava piante e s’è disperato perché vedeva morire le palme e gli sembrava di tradire memoria del barone che scendeva dalle scale di casa sua e lo sentiva subito il primo sbocciare d’una rosa; questo tu pensi e intanto si legge insieme che quel “fazzoletto” si descrive lontano e diviso e invece è proprio legato, comunicante da tutti gli angoli e da tutte le porte alla Casa Comi, basta scendere scale per ritrovarsi giù, tra le piante.

“E mo pacenzia”… il giardino tanto quanto, dice la voce, é dentro che sta morendo “sta casa” e tanto quanto significa che proprio non è che stia tanto male il giardino e invece… ma il caffè è finito e il sole avanza e suda anche lui, il barone sul suo piedistallo e chissà che pensa, chissà se pensa. E la giornata continua per tutti. Tu, notizie in testa, chiedi rifugio alla frescura dell’atrio di Casa Comi, quello che per tante ore della giornata continua ad offrirsi al pubblico, anche a quello lucugnanese, oltre che a quello del mondo. I lucugnanesi la conoscono come le proprie tasche la storia di questa casa, chè nella loro vita sono stati e continuano ad essere artigiani e contadini e i segni dell’arte loro e della loro laboriosità restano ancora, in quelle stanze, aristocratici e preziosi come vaso di terra cotta, tappeto e arazzo, libreria e tavoli e sedie azzurre in cucina e poltrone e cuscini e ancora angoli dove volgere gli occhi sulla piazza e chiacchierare con le rondini e sant’Antonio. Lo sfiorano, oggi, con occhi di nostalgia che a loro più non appartiene.

“E mo pacenzia” pensi, come loro ti hanno insegnato, mentre sali le scale col tuo amico, uno dei tanti che porti con te, osservi la rete, posata lì su in alto, ultimo regalo di Fernando e dei custodi della biblioteca, per difendere, visto che chi di dovere non ci pensava, dal guano dei piccioni, bellissimo balcone in pietra, con affaccio sull’atrio; rete chiesta in dono ad un albero d’ulivo, ben contento d’operarsi anche lui per un bene comune.

T’accolgono le stanze, come al solito, come sempre e tu inviti al silenzio perché tutti lo sentano il battito del cuore del palazzo e s’innamorino di lui e non lo dimentichino più. E cerchi, disperatamente cerchi, di non farle notare le ferite impresse dal tempo e dalla dimenticanza di chi questo battito non lo ha mai sentito e non poteva sentirlo in una visita fugace, di quelle che non si sa mai se lo lasciano il segno perché per amare questo luogo “bisogna stare seduti a pensare sulle poltrone rosse dello studio o su quelle gialle del salone; vi è veramente qualcosa di notevole che è suscitato dal ritrovo sul posto e dall’atmosfera del luogo”. Ma Maria Corti e i suoi “vaghi pensamenti” sono passati; che senso ha stare a rimuginarli ora, mentre qualcuno, quello che hai portato con te d’un tratto osserva “ma è polvere di tarli e i tarli distruggono tutto e forse bisogna sbrigarsi prima che danno irreparabile sia” e tu distogli lo sguardo e diventi di pietra; di tutto avresti voluto parlare, tranne che di questo; “mo pacenzia” sta andando a farsi benedire e finalmente urli (anche mammolette a volte urlano) che “i gioielli culturali” quelli da presentare a pubblico vasto dopo che pubblico vasto s’è debitamente ristorato su prato inglese e gli è venuta curiosità, a quel gioiellino di famiglia non resta molto da vivere se qualcuno non pensa a restaurarlo. “Peccato peccato, un luogo così dolce invaso dai tarli” continua ad osservare il tuo amico e d’un tratto zittiscono per un attimo bestioline in questione che sono sagge, colte e diplomatiche e lo sanno che visita finirà e potrà continuore loro pasto instancabile in  tavoli e sedie e forse anche libri, pur se meno gustosi di profumato legno d’ulivo.

Ridiscendo la scalinata e mi ritrovo in giardino, quel “fazzoletto così logisticamente separato da Palazzo Comi” che hai raggiunto scendendo le scale e attraversi vialetto ed entri in biblioteca e c’è buon odore di libri e di pietra leccese quella che suda e si sgretola un po’ e appare ruga ma che fa? Oggi batte il cuore; l’hai sentito bello e forte oggi che per un giorno hai perso pazienza e sei diventata di pietra per parlare di Tarli colti, aristocratici e un po’ diplomatici che, in silenzio, divorano memoria d’un gioiello di cui si è così orgogliosi, da decidere di offrirlo come sorbetto al limone dopo pasto abbondante su prato inglese all’ombra d’un gazebo.

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3 Commenti a Palazzo Comi a Lucugnano di Tricase

  1. E come tarlo, tarlo del cuore, le parole di G.C. hanno lavorato nel corso della giornata, alla ricerca d’altre parole, di argomenti, di uno straccio di ragione…Forse noi salentini ci portiamo dietro ancora sentimenti rugginosi di classi sociali divise e distanti come continenti, forse siamo ancora sulla scia di antichi rancori e rivendicazioni che travolgono cose buone e belle…
    E le Istituzioni non hanno promosso il salto di democrazia tanto atteso. Ora al mancato progresso culturale, si unisce l’affronto e l’offesa.

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