di Armando Polito
Qualche giorno fa, curiosando in Facebook, ho digitato il nome del nostro comune amico titolare di questo sito e tra le sue foto mi ha colpito quella sotto riprodotta. Gli ho subito chiesto dove fosse collocata l’iscrizione riprodotta e, avutane puntuale notizia, ho pensato di scrivere queste righe per non perdere l’occasione di trasformare un impulso probabilmente voyeuristico (comunque, chi è senza peccato scagli la prima pietra…) in un’occasione di arricchimento culturale, per quanto modesto.
Come testimonia la data incisa ANNO D.(OMINI) MDCCLXXXX, essa risale al 1790.
Soffermeremo ora la nostra attenzione sul resto: VIRTUTI INVIDIA CEDIT (L’invidia cede alla virtù).
Risparmio al lettore il mio commento sul contenuto della massima, che sospetto fosse anacronistica pure al tempo in cui fu incisa, anche perché oggi, in tempi in cui la competenza, il merito, l’onestà, la lealtà (insomma quello che poteva essere riassunto nella parola virtù) sono soltanto difetti, mi riesce difficile non dico cogliere ma addirittura immaginare uno spirito “sportivo” che riconosca il valore dell’altro in ogni campo. La mia indagine sarà di carattere esclusivamente filologico e non è detto che essa non sia più barbosa di quella “filosofica” che ho appena dichiarato di voler evitare.
Solitamente di fronte ad una frase latina di contenuto inequivocabilmente morale c’è da sospettare la citazione da un classico. Per quel poco che so non credo che nel nostro caso le cose stiano così. Credo, invece, che ci troviamo di fronte all’adattamento del motto abitualmente usato nei primi libri a stampa e adottato nel frontespizio da parecchi editori. Il motto è: VIRTUTI SIC CEDIT INVIDIA (Così l’invidia cede alla virtù). In basso il frontespizio di un’edizione de L’amant resuscité de la mort d’amour di Théodose Valentinian, uscita a Lione nel 1558 per i tipi di Maurice Roy e Loys Pesnot.
Nel 1576 Charles Pesnot, fratello di Loys, conservò la salamandra ma sostituì il motto con DURARE MORI, ET NON PERIRE (Continuare a morire, e non morire) che era stato già adottato dagli editori Seneton, sempre di Lione, nel 1567 (in basso); da notare le due figure ai lati della cornice che versano acqua sui bracieri sottostanti.
In Italia il veneziano Damiano Zenaro (in basso il frontespizio di una sua edizione del 1580) iniziò ad usarlo nel 1563
In stampe successive di altri editori (in basso un’edizione milanese di Melchiorre Tradato del 1613) il motto è collocato in una diversa posizione (sopra la salamandra).
In VIRTUTI INVIDIA CEDIT della nostra iscrizione è stato soppresso il SIC (dopo si capirà perché) e INVIDIA precede il verbo (CEDIT) per consentire a quest’ultimo, nel rispetto dei canoni classici, di chiudere la frase1.
Secondo una tradizione medioevale2, che rimase viva anche nei secoli XVI e XVII3,la salamandra era ritenuta capace di vivere nel fuoco e di spegnere le fiamme, divenendo simbolo di immortalità, di costanza, di resistenza al nemico.4
Torniamo alla nostra iscrizione: se nei marchi tipografici il SIC aveva ragion d’essere per la similitudine adottata, sia pur ellittica di una componente [(come il fuoco cede alla salamandra) così l’invidia cede alla virtù)], nella nostra iscrizione, apparentemente priva di qualsiasi allusione figurativa, esso sarebbe stato come un pesce fuor d’acqua. Già, il pesce… ma qui in alto ce ne sono sei in posizione perfettamente simmetrica, testa contro testa, coda contro coda.
È noto che il pesce è uno dei più antichi simboli della Cristianità, dal momento che il suo nome greco (IXΘUS) è l’acronimo di Iesùs Christòs Theù uiòs sotèr (Gesù Cristo figlio di Dio salvatore).
Il pesce, perciò, simboleggia la virtù, cioé quello che nel marchio tipografico era la salamandra; lì, inoltre, c’era il fuoco che simboleggiava l’invidia e qui manca il corrispondente simbolo. L’assenza di un elemento della similitudine ha reso, perciò, necessaria la soppressione del SIC, il che ha conferito alla nuova massima uno spinto valore apodittico, in cui la virtù (figurativamente i pesci) ha già vinto, anzi cancellato l’invidia (che figurativamente, infatti, non compare).
In sostanza: un adattamento di un elemento testuale profano (non privo di suggestioni ultraterrene) ad un contesto sacro.
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1 C’è da dire, però, che anche VIRTUTI SIC CEDIT INVIDIA è in perfetta regola con i parametri stilistici classici, dal momento che l’avverbio (SIC) precede il verbo (CEDIT) ed entrambi seguono il dativo VIRTUTI, mentre il soggetto (INVIDIA) è collocato alla fine per dargli un rilievo almeno pari a quello del suo avversario collocato in testa (VIRTUTI).
2 Isidoro di Siviglia (VI-VII secolo), Etymologiae, XII, 36: Salamandra vocata, quod contra incendia valeat…Ista contra incendia repugnans, ignes sola animalium extinguit; vivit enim in mediis flammis sine dolore et consummatione, et non solum quia non uritur, sed extinguit incendium (Chiamata salamandra perché resiste agli incendi…Essa lottando contro gli incendi sola tra gli animali spegne le fiamme; sopravvive infatti in mezzo ad esse senza dolore e danno, e non solo perché non brucia, ma estingue l’incendio). Questa tradizione medioevale, a sua volta, ne riprende due più antiche, quella di Plinio (I secolo), Naturalis historia, X, 86: animal lacertae figura, stellatum, numquam nisi magnis imbribus proveniens et serenitate desinens. Huic tantus rigor, ut ignem tactu restinguat non alio modo quam glacies (animale dall’aspetto di lucertola, chiazzato, che compare sempre quando ci sono grandi piogge e scompare quando il tempo è sereno. È così freddo da estinguere il fuoco col contatto, come se fosse ghiaccio) e quella di S. Agostino (IV-V secolo), De civitate Dei, XXI,4: …salamandra in ignibus vivit… (…la salamandra sopravvive tra le fiamme…). La leggenda ebbe un’immensa fortuna nella letteratura due-trecentesca e in special modo nella lirica siciliana e siculo-toscana dove compare in similitudini evocanti la passione d’amore: Inghilfredi Siciliano, Canzoni II, vv. 6-7 : …E vivo in foco/qual salamandra…; Guido Guinizelli , Canzoni I, vv. 37-38: Che come salamandra/ s’alluma e ‘n foco vive,/sì in ogni parte vive lo mio core; III, vv. 18-20: Che io non ho sentero/di salamandra neente/che nello foco ardente/vive…; Jacopo da Lentini, Rime, 110, vv. 27-28: La salamandra audivi/che infra lo foco vivi,stando sana; Cecco D’Ascoli, Acerba,3, 5, vv. 1-6: La salamandra nello foco vive,/ed altro cibo la sua vita sprezza, /non sono in lei potenzie passive./Ardendo, si rinnova sua coverta:/così natura in lei pose fermezza: non vuol che in fiamma giammai si converta.Per il XIV secolo Petrarca, Canzoniere XXXV, 4: Di mia morte mi pasco, e vivo in fiamme/stranio cibo e mirabil salamandra. Interessante, perché già alla fine del XIII secolo sembra precorrere il razionalismo umanistico, la testimonianza di Marco Polo che nel Milione, parlando della provincia di Chingitalas (forse nel Turkestan orientale) racconta: Quivi àe montagne ove à buone vene d’acciaio e d’andanico (acciaio indiano); e in queste montagne è un’altra vena, onde si fa la salamandra (amianto). La salamandra non è bestia, come si dice, che vive nel fuoco, ché neuno animale puote vivere nel fuoco; ma dirovi come si fa la salamandra….Egli è vero che quella vena si cava e stringesi insieme e fa fila come di lana; e poscia la fa seccare e pestare in grandi mortai di covro (rame); poscia la fanno lavare e la terra sì cade, quella che v’è appiccata, e rimane le file come di lana; e questa si fila e fassine panno da tovaglie. Fatte le tovaglie, elle sono brune; mettendole nel fuoco diventano bianche come nieve; e tutte le volte che sono sucide, si pognono nel fuoco e diventano bianche come neve. E queste sono le salamandre, e l’altre sono favole.
3 Angelo Poliziano, Rime, Canzone II, vv. 13-14 : Qual salamandra in foco/vivo…; Pietro Bembo, Asolani, I, 26: Quale vive nel fuoco come salamandra, quale, ogni caldo vital perdutone, si raffredda come ghiaccio.; Michelangelo Buonarroti, Madrigali, XLVII, vv. 1-5: Se ‘l foco al tutto nuoce,/e me arde e non cuoce,/non è mia molta né sua men virtute,/ch’io sol trovi salute,/qual salamandra, là dove altri muore;/…
4 Non a caso anche in araldica è rappresentata come simile ad una lucertola, col collo lungo, lingua e coda che termina a freccia, sempre di profilo, poggiata su tizzoni che emettono fiamme. La salamandra compare anche nello stemma di Salsomaggiore Terme (in basso). La corona che reca in testa è simbolo del suo potere, purtroppo solo presunto (perché l’umore viscido e biancastro emesso da alcune ghiandole della sua pelle è in grado di smorzare solo per poco tempo i carboni ardenti su cui cade), sul più distruttivo degli elementi: il fuoco.
Quante cose sepolte dietro un piccolo segno è capace di scorgere e far vedere Armando, quante cose, partendo da un dettaglio che sfuggirebbe a molti, ci sa con leggerezza raccontare! Chapeau!