di Gianni Ferraris
Non ero mai stato a Cannole. Ne avevo sentito parlare e, chissà poi perché, avevo l’idea di un paese in cui prima o poi sarei andato, giusto per vedere i luoghi in cui erano fuggiti gli otrantini mentre i turchi massacravano. Invece vale la pena andarci, anche se è un sabato sera di giugno. C’è anche il castello, piccolo ma austero, e c’è un’aria da paese, appunto, di tranquillità.
Signori seduti su una panchina che parlano facendosi scivolare addosso la sera d’estate, qualche ragazzo, pochi in verità. “Scusi, dov’è che presentano un libro?” “Un disco presentano, alla Pro Loco” e mi indica la strada. Il salone è grande e tappezzato da manifesti “antichi” della Festa te la Municeddhra. Antichi, parliamo del ‘900, quando chi scrive sapeva già di antico lui pure, ma questo non c’entra.
Ne è valsa la pena veramente ascoltare “Le ragazze del novecento” che cantano. Loro si chiamano Gina, Assuntina, Rosaria, Rosalba, Eva, Ndata, Nzina e cantano a cappella, senza musica come voleva il canto popolare, nei campi mentre si lavorava o nelle sere d’estate. “Al massimo c’era un tamburello e poco più” dice Luigi Chiriatti che ha curato il volume e il doppio CD delle ragazze. E c’è qualcosa di stupefacente scorrendo i titoli ed ascoltandole cantare, molti testi sono in italiano e provengono dal centro sud, quel “La mia mamma”, per citarne una, che è una delle versioni, a me sconosciuta, di Mamma mia dammi cento lire (che in America voglio andar). “Ci sono alcune interpretazioni sul come sono arrivate fin qui, chi parla degli emigranti che le hanno imparate, chi degli anarchici che si stabilirono in Salento portandosi dietro la loro voglia di libertà e le loro tradizioni, quella che reputo più convincente però è la convivenza nelle trincee della grande guerra fra italiani di cultura e tradizioni diverse, che si siano contaminati anche con i canti. Infatti molti testi sono quelli antichi che neppure nel centro sud riesci più a trovare nella lor interezza come le ricordano le ragazze di Cannole, non sono cambiati mai”, prosegue Chiriatti mentre ne parliamo a margine del concerto.
Un lavoro da ricercatore antico il suo, che riporta a Gianni Bosio, citato più volte, e alla tradizione di chi vuole caparbiamente, forse partendo proprio da Bosio, creare cultura ripartendo dal basso. Kurumuny lo fa e ci riesce. Questo è un lavoro che vale la pena di essere ascoltato. Le ragazze del Novecento sul palco erano bellissime, non avevano abiti da scena, non coreografie, neppure una regia. Non avevano necessità di essere dirette da maestri con nomi strani e stranieri, loro facevano da sole, ridendo anche, perché si divertono a cantare di fronte ai loro compaesani. E sono corrisposte da applausi e accompagnamenti ritmati dalla platea.
Eravamo pochi noi “stranieri”, mica come nei festival blasonati. Loro erano belle e ammiccanti mentre cantavano “Lu monacu meu” e altri doppi sensi. Mi sono venute in mente le mondine di lassù, e mi è venuto in mente che in fondo è bello lasciarsi contaminare dalle culture di un’Italia che ha simili pulsioni, da nord a sud.
Ricci i Tuoi Capelli – Arie e canti popolari di Cannole – Ed. Kurumuny – Libro e due CD € 15,00
CON SCRITTI DI LUIGI CHIRIATTI, CIRO DE ROSA, SALVATORE ESPOSITO, RAFFAELE CRISTIAN PALANO, ADRIANA BENEDETTA PETRACHI.
I due CD contengono 42 tracce.
Sul lavoro si veda anche: