di Stefano Manca
L’attentatore di Brindisi, raccontano i giornali di oggi, conservava in casa un libro di Paulo Coelho: “Manuale del guerriero della luce”. Me lo ricordo bene quel titolo. Adolescente, mi venne regalato dalla fidanzatina dell’epoca. È una raccolta Bompiani che racchiude racconti brevissimi (potete sfogliarlo a caso e leggere la prima pagina che vi capita) in cui l’uomo è intento a risvegliare la propria anima nei suoi momenti di difficoltà.
Collaboro saltuariamente con una libreria della provincia. Mi hanno sempre incuriosito i gusti letterari degli italiani. Al punto che qualche anno fa provai a leggere uno degli autori più venduti degli ultimi tempi: Fabio Volo. Il libro era “È una vita che ti aspetto”, pubblicato, come tutti gli altri di Volo, da Mondadori. Ammetto di essere riuscito a stento ad arrivare all’ultima pagina. Non ho nessun pregiudizio nei confronti della letteratura popolare. Ma ritengo che nei diari degli studenti si possa trovare di meglio. Tuttavia, quelle ore trascorse a leggerlo non furono sprecate. Ricordo il distacco, direi quasi l’odio del protagonista, uno spaesato quarantenne, per le ragazze snob, fighette, altezzose e piuttosto oche. Poi mi sono venute in mente alcune lettrici di Volo. Quelle che mi ritrovavo e mi ritrovo in libreria e che lo adorano e ti parlano di lui. Spesso sono snob, fighette, altezzose e piuttosto oche. Mi chiedo quindi cosa spinga un lettore a leggere libri che parlano male di lui fino ad arrivare ad adorare l’autore e paradossalmente essere d’accordo con ciò che scrive.
Ecco, cosa c’entra tutto questo?
Il libro di Coelho è pieno di amore per la vita. Ma era in casa di un assassino.
Il libro di Volo parla male delle fighette. Ma è letto dalle fighette.
Forse la letteratura serve a questo. A farci sentire per un attimo ciò che non siamo e che non saremo mai.
In fondo, sono solo parole.
Uno strumento nelle mani di un incompetente rischia di fare danni o di non essere funzionale alla sua stessa funzione. Un libro nelle mani di uno scellerato, di un analfabeta, di un incapace è solo un pacco di carta straccia, qualunque sia il suo contenuto. Ecco perchè anche la lettura, come ogni altro apprendimento, esige un duro lavoro di sensibilizzazione e di esercizio continuo affinchè la nostra ragione e la nostra sensibilità, anche emozionale, siano cesellate ad arte per un utilizzo culturalmente ed emotivamente arricchente.
Bene e male convivono e ad un certo momento l’uno o l’altro domina, anche solo per un attimo, quell’attimo fatale. Dietro ad ogni libro c’è un uomo, mille uomini, l’intera umanità. Ma sono uomini morti, assenti nel presente, a tal punto da non riuscire a colmare la solitudine di un lettore solo con i suoi impulsi e con le sue passioni non controllate, non riconosciute appartenenti a se stesso. Il libro con le sue immagini e le sue parole (che non sono solo parole), fatte di segni e simboli che risuonano ossessivamente nelle menti deboli, può diventare uno strumento di morte.
I libri che acquistiamo rivelano la nostra natura, i nostri interessi, i desideri, le aspirazioni, ma anche i vuoti relazionali e sociali. Essi sono specchi nei quali cerchiamo di riflettere la nostra anima nobile o persa, smarrita nei vicoli ciechi della vita. Le “fighette”, la “ricerca di amore”, la ricerca del “Sè” non sono altro che immagini di una identità che non trova modelli di riferimento e modi costruttivi di affermarsi, se non quello dell’imitazione e del rischio. In questa ricerca c’è il vuoto delle relazioni e del mondo circostante. Nulla può un libro senza colui che te lo porge come oggetto, che si anima attraverso il suono della parola, le vibrazioni emozionali, i ritmi, le pause, i silenzi… Il libro, in questo caso, è un oggetto mediatore della relazione e della condivisione. Quando, invece, siamo soli e smarriti, disperati o vinti, tutto risuona dentro producendo una “implosione emozionale” che porta alla deriva.
Quando ho letto che Giovanni Vantaggiato si sia ispirato, nel suo gesto criminale, al libro “Manuale del guerriero della luce” di Paolo Coehlo, ho fatto un salto sulla sedia. Può un libro essere colpevole? No, il libro non può avere colpa. Sarebbe come dire che assistendo a un film avente per soggetto crimini e misfatti si possa avere la tentazione di commettere un delitto. Di Coehlo ho solo letto, tanti anni fa, “Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto”. E mi è bastato. Ma un libro non ha colpa, semmai può accadere che una mente malata o infantile trovi una giustificazione ai suoi propositi insani. Ogni opera letteraria è sempre una finzione e, come tale, ha il compito di incanalare le nostre pulsioni, i nostri tormenti, le nostre spinte emotive. La letteratura insomma ha una funzione catartica. Soprattutto un libro è un compagno di vita, un piacere, un viaggio verso le colonne d’Ercole, un viaggio alla ricerca del vello d’oro. Certo, penso alla povera Melissa, al suo triste destino in cui c’entra anche un libro, lei che magari amava leggere e perdersi per mari sconosciuti alla ricerca del suo principe azzurro.
Questa storia di Coehlo è una delle tante fesserie giornalistiche ovviamente, è incredibile quanto si sopravvaluti una banale sottolineatura in un testo (di un autore altrettanto banale e sopravvalutato peraltro). Se un giorno mi arrestassero non prendetevela con Husserl o con Carnap ma con me, ve ne prego.
Il mio avvocato personale (e che…!, solamente Lui, non si tratta del Padreterno che non ne ha bisogno, poteva e può permetterselo?) mi ha appena suggerito, nel caso venissi arrestato, di dichiarare, prima ancora delle mie esatte generalità, di essere il “frutto di un’infanzia infelice”…Forse, caro Pier Paolo, se il fattaccio dovesse succedere, sarò meno coraggioso di te.
Ma siamo sicuri che l’abbia letto?