di Massimo Negro
Ad Alezio mi ero recato per visitare delle tombe, ma di altra datazione ed origine, risalenti ai tempi dei Messapi. Solo che, mentre ero all’interno del Museo Cittadino, dopo aver visitato la necropoli sul Mont’Elia, Mino, un gentilissimo signore aletino conosciuto poco prima, si avvicina e mi dice: -“Se ti interessa, questa mattina è aperta la Congrega, ci sono cose interessanti da vedere”.
Non che la visita nel locale della Congrega includesse ulteriori “approfondimenti” ma, come sanno coloro a cui piace parlare con le persone del posto che si visita e non solo limitarsi a fotografare i monumenti, una domanda tira l’altra e così si è arrivati a parlare delle “catacombe” presenti nel sottosuolo della Chiesa di Santa Maria della Lizza (XII secolo circa), più comunemente conosciuta come “Madonna della Lizza”.
Il termine “catacombe” è improprio, e forse deriva dall’attuale conformazione e stato dei luoghi. Corridoi e stanze che si dispiegano nel sottosuolo e che fanno pensare appunto alle antiche catacombe cristiane.
In realtà, nel loro stato originario quei luoghi erano ben diversi. Si trattava di sepolture ipogee realizzante mediante lo scavo di tombe a camera, secondo una tipologia di sepoltura molto usata nel passato nelle chiese e che, in quanto a struttura, ci arriva addirittura da antiche tradizioni mortuarie del passato.
L’uso di tumulazioni all’interno delle chiese e nei centri abitati vide il suo termine con l’Editto napoleonico di San Cloud; il decreto fu emanato in Francia il 12 giugno 1804 ed esteso in Italia con decreto del 5 settembre 1806. Un editto molto discusso e perlopiù accettato a fatica. Qualcuno ricorderà il famoso componimento di Foscolo, il carme “Dei Sepolcri”, con il quale l’autore polemizzava con i contenuti di quell’editto.
C’è da dire che gli aletini se la presero con grande calma nell’attuare quel provvedimento. Anzi lo attuarono quando ormai la Restaurazione aveva ormai avuto da tempo la meglio.
Infatti l’ultima sepoltura nel cimitero ipogeo della Lizza avvenne 12 giugno del 1867, un certo Vincenzo De Benedetto deceduto all’età di 57 anni. Come controprova, nei registri parrocchiali dell’epoca risulta che due giorni dopo avvenne la prima sepoltura nel nuovo Campo Santo, un certo Ippazio Vito Merenda morto all’età di 72 anni.
Ma anche dopo di allora qualche eccezione venne fatta e seppur per casi limitati si procedette alla tumulazione all’interno delle celle sepolcrali ipogee, come per il caso di morte prematura di Rocco Abele Capano, un bimbo di 3 mesi, che venne sepolto sotto la chiesa il 1 agosto 1874.
In conclusione, gli aletini ci misero un bel po’ a far propria quella normativa, tanto che a ulteriore riprova di questo comportamento, la benedizione della chiesa del Campo Santo e dello stesso cimitero fu impartita solo l’8 novembre 1879 dall’allora Vescovo di Gallipoli Mons. Gesualdo lochirico.
Come accaduto in altre occasioni (ad esempio, la cella mortuaria ipogea della Chiesa di San Biagio a Galatina (1), il rinvenimento avvenne in modo del tutto casuale. Nessuno aveva mantenuto memoria di quei luoghi. Così nel corso dei lavori del restauro svolti nel 1959 – 1962, d’un tratto parte del pavimento cedente e consentì la scoperta di una prima stanza sepolcrale. Si procedette così ad esplorare il resto dell’antica pavimentazione, e questo consentì il ritrovamento delle restanti stanze. Ben dieci ambienti.
Le stanze, come accennavo in precedenza, non erano unite da scale e corridoi che ora è possibile percorrere. Erano degli ambienti isolati, tipicamente di grandezza variabile di circa otto –nove metri quadrati e alti tre metri, con le pareti rivestite con blocchi di tufo. L’unico accesso era la botola attraverso la quale veniva calato il defunto. Ogni stanza era provvista di uno sfiatatoio verso l’esterno, ma anche di un semplice foro di collegamento con le stanze adiacenti. Questo consentiva di disperdere i gas che venivano prodotti dalla decomposizione dei corpi. Sulle pareti venivano ricavate delle nicchie che dovevano essere utilizzate per appoggiare le lucerne e quant’altro necessario per consentire la sepoltura.
La botola era chiusa con una lastra lapidea sulla quale veniva inciso l’anno di realizzazione ed il cognome della famiglia che in essa era sepolta, nel caso si trattasse di una cella destinata all’uso esclusivo di un parentado. All’interno le salme venivano riposte per strati.
In alcuni casi dalla botola si poteva scendere mediante delle scale realizzate con conci di tufo.
La disposizione delle celle sepolcrali era in funzione della dislocazione degli altari laterali della chiesa. Nella camera scavata davanti l’altare, la salma veniva disposta di fronte a questo, in segno di rispetto e remissione al santo protettore e guida dell’anima del defunto sepolto ai suoi piedi.
Il sepolcro di maggior prestigio, era quello più prossimo all’altare maggiore, per questo riservato alla famiglia di estrazione sociale più elevata, ovvero al clero. All’interno di questa stanza, la più grande presente all’interno del percorso, vi è un bel riquadro realizzato con delle maioliche sul quale è rappresentata la Vergine Immacolata. Allontanandosi dal presbiterio, le camere mortuarie erano destinate alla gente comune.
Di questi altari laterali non rimane purtroppo traccia in quanto sono stati distrutti nel corso del restauro del 1962, demolendo così un pezzo importante di storia collettiva della comunità aletina. Venne anche realizzato il corridoio di collegamento tra le stanze, che seppur creando un percorso suggestivo, ha definitivamente alterato lo stato dei luoghi.
Fino al Giubileo del 2000 erano ancora presenti ossa e teschi all’interno delle celle. In occasione dei lavori che furono condotti per quell’evento, i resti presenti furono prelevati e trasportati in un ossario all’interno del Cimitero. Sebbene sia un po’ macabro pensare che sarebbe stato più opportuno mantenere quei resti all’interno delle celle, c’è da dire che oggi percorrendo quelle stanze si ha solo una pallida idea di quello che poteva essere l’ambiente prima di quegli interventi.
Alcune delle persone che mi hanno accompagnato, e hanno visitato il luogo prima della rimozione dei resti umani, ricordano tra i tanti una piccola bara di una bimba di pochi mesi con il suo vestitino bianco di merletto quasi intatta. Di quella sepoltura in quei luoghi resta solo la lapide con la quale i genitori ricordavano la scomparsa prematura della piccola.
Tra i locali messi in comunicazione anche la vecchia cisterna d’acqua, l’unico locale intonacato, che serviva la comunità religiosa.
Al termine del percorso, è stata realizzata una stanza nella quale sono stati riposti alcune antiche suppellettili, pezzi di cornicioni e stemmi di antiche arme. Tra le tante cose, anche qualche piccolo osso umano poggiato sull’improvvisato altare.
Una visita inaspettata e per questo ancora più emozionante, in questo un percorso nelle memorie del nostro passato.
Riferimenti e fonti:
– Sito “Madonna della Lizza”
http://digilander.libero.it/cristianami/struttura%20madonna%20della%20lizza.htm
http://massimonegro.wordpress.com/2012/05/30/alezio-le-catacombe-della-madonna-della-lizza/
Quando è possibile visitare quei sacri luoghi?
Caro Salvatore la mia è stata una visita fortuità. A mio avviso occorre mettersi in contatto con il Comune di Alezio per recuperare i riferimenti utili. Cordialmente, Massimo
Bellissimo lavoro, complimenti.
Ciao Massimo … a dire il vero non ricordo il tuo volto … se torni ad Alezio, gran piacere rivedersi !!! Mino Petruzzi.