di Michele Stursi
Volti di carta. Storie di donne del Salento che fu
di Raffaella Verdesca, Albatros 2012
Mi fido del vento. Soprattutto quando sono fuori dal mio Salento e poi è maggio, il cielo è terso e il sole impotente. Mi fido del vento perché ho scoperto che dietro ai suoi sbuffi, all’apparenza casuali, tende quasi sempre a nascondere qualcosa. Per poco, però, perché so anche che non riesce a mantenere a lungo i segreti.
C’è vento, appunto, un vento pungente, quando Giorgio mi avverte che è arrivato un pacco per me. “Ecco, sarà stato il vento”, penso io allora, rincorrendolo all’interno della portineria. In realtà mi consegna un sacchetto giallo ocra del quale decido di non conoscere subito contenuto e mittente. Non lo apro, quindi: ho intenzione di godermi sino in fondo questa strana sensazione che mi fa vibrare come una corda di violino, emettendo di continuo delle mute onde di curiosità che mi solleticano il palato. Lo abbandono sul letto e vado a fare una passeggiata, convinto che ci sia troppo vento per restarsene chiusi in casa.
È ancora giorno quando rientro deluso dalla magra pesca: il sacchetto dal contenuto ignoto mi guarda ansioso, lo afferro di scatto e non posso fare a meno di vedere sul lato corto nome, cognome e indirizzo del mittente, che mi affretto a coprire con il palmo della mano illudendomi forse di aver fatto in tempo a non leggere. Apro col sorriso e tiro fuori un libro, anzi il libro, quello che Raffaella Verdesca qualche giorno prima aveva promesso di farmi avere.
Lo guardo, lo annuso, lo giro e lo rigiro tra le mani, incredulo dinanzi a cotanta fatalità: il vento, ancora una volta il vento soffia, ora sulla copertina dell’ultimo lavoro di Raffaella. Una fanciulla in bianco e nero siede sugli scogli, un elegante gioco di pieghe e svolazzi sul costume da bagno, i suoi capelli fluttuano confondendosi con le onde del mare sullo sfondo, un ghigno all’improvviso le si tratteggia sul viso, come carta che s’increspa, senza tuttavia riuscire a intaccarne la grazia. “Volti di carta”, leggo.
Ad occhi chiusi sembra quasi di apprezzare l’odore del Salento che si diffonde lentamente dalla copertina per poi inondare le narici quando sprovveduti ci si accosta alla lettura delle venti brevi storie che hanno forza e intensità di mille testimonianze. Con la pazienza che si addice al pescatore di storie, l’autrice ascolta, raccoglie e poi suggella incantevoli ritratti di parole tra le pagine di “Volti di carta. Storie di donne del Salento che fu” (Albatros, 2012). Si ha come l’impressione che Raffaella Verdesca abbia atteso pazientemente seduta in un angolo che quella valigia di cartone, rimasta per troppo tempo dimenticata in soffitta, si inginocchiasse dinanzi alla volontà del vento, e al momento giusto non ha esitato a chinarsi anche lei per cogliere documenti, fotografie, lettere, perfino medaglie al valore per una guerra lontana e oramai dimenticata. La immagino, quindi, rincorrere insieme al vento quei ricordi che aspettavano solo di essere salvati da un mondo che cerca in tutti i modi di cancellare per mancanza di spazio, cercare di afferrare gli stormi di pagine e volti levatisi in volo e inseguire le stagioni di vite passate miste alle foglie, agli sguardi pietosi, ai taciti onori, alle risa festose di un presente maturo.
La scrittrice tesse parola dietro parola incantevoli merletti che non si limitano ad abbellire e restaurare i documenti sbiaditi e danneggiati dal tempo, ma hanno la capacità di ridare vita e significato agli “abitanti” di quella misteriosa valigia, restituendo al lettore storie che hanno il sapore dei frammenti di libri.
– Voglio dire, cosa diavolo scriveva in quei ritratti?
– Scriveva delle storie, disse Rebecca. (…) Jasper Gwyn mi ha insegnato che non siamo personaggi, siamo storie. Ci fermiamo all’idea di essere un personaggio impegnato in chissà quale avventura, ma quel che dovremmo capire è che noi siamo tutta la storia, (…) diceva che tutti siamo qualche pagina di un libro, ma di un libro che nessuno ha mai scritto e che invece cerchiamo negli scaffali della nostra mente. (da “Mr Gwyn” di Alessandro Baricco, Feltrinelli, 2011).
Raffaella Verdesca, come il Mr Gwyn di Alessandro Baricco, parte da un soggetto, nel caso specifico vecchie fotografie, singoli volti di donne, tracce residue di storie e percorsi umani (dalla prefazione di Pier Paolo Tarsi), e si cimenta in bellissimi ritratti di parole capaci di prendere per mano le donne del Salento che fu e riportarle finalmente a casa, nel nostro Salento.
Se il vento non l’avesse aiutata …l’eternità sarebbe ancora in cerca delle proprie radici.
io non avrei resistito!