Quello che resta

di Stefano Manca

Riprendere in mano vecchi saggi sulla storia delle organizzazioni malavitose italiane, riprendere quel vecchio libro-intervista a Giovanni Falcone e sovrapporlo alle dichiarazioni delle ultime ore. Procuratori, politici, uomini d’ordine, magistrati, cronisti di giudiziaria. Le immagini si susseguono. “Flusso”, lo chiamano i sociologi. Ascoltar tutto e tutti e poi confrontare frasi, idee, ipotesi, indizi. Hanno ammazzato Melissa, una studentessa sedicenne, attraverso un ordigno piazzato nel cassonetto davanti alla scuola. Con qualche amico del sabato giochi a ripercorrere la storia d’Italia degli ultimi sessant’anni. Non ti sfiorava, fino a stamattina, manco l’idea della paternità. D’un tratto invece ci pensi. Poteva capitare a mia figlia, ti ripeti. Poi di nuovo cambi inquadratura e ti ritorna in mente con colpevole campanilismo che Falcone e Borsellino erano meridionali e che Melissa era una ragazza meridionale. Magre consolazioni, certo, ma non è tempo per pensieri coerenti. Eppure ci provi e ci riprovi, a inquadrare lucidamente tutte le cronache che ti passano davanti. Non ci si mette molto tempo ad essere invasi dalle notizie, sapete. Nell’epoca sempre più “social”, sempre più “media”, sempre più “new media” le opinioni e i rimandi di certo non mancano. Linkare qualcuno o qualcosa diventa un’operazione quasi mentale. Alla fine, quando il televisore è spento e il portatile è chiuso, quello che resta sono sempre le stesse immagini: l’assolato asfalto salentino all’ingresso di una scuola e una giovane vita a cui è stato tolto, quel sole, assieme al diritto di godersi un’adolescenza senza stare a pensare a massimi sistemi e democrazie compiute.

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Un commento a Quello che resta

  1. L’avere (O haver)

    Resta, al sommo di tutto, questa capacità di tenerezza
    Questa perfetta intimità con il silenzio
    Resta questa voce intima che chiede perdono di tutto:
    – Pietà! perché essi non hanno colpa d’esser nati…

    Resta quest’antico rispetto per la notte, questo parlar fioco
    Questa mano che tasta prima di stringere, questo timore
    Di ferire toccando, questa forte mano d’uomo
    Piena di dolcezza verso tutto ciò che esiste.

    Resta quest’immobilità, questa economia di gesti
    Quest’inerzia ogni volta maggiore di fronte all’infinito
    Questa balbuzie infantile di chi vuol esprimere l’inesprimibile
    Questa irriducibile ricusa della poesia non vissuta.

    Resta questa comunione con i suoni, questo sentimento
    Di materia in riposo, questa angustia della simultaneità
    Del tempo, questa lenta decomposizione poetica
    In cerca d’una sola vita, una sola morte, un solo Vinícius.

    Resta questo cuore che brucia come un cero
    In una cattedrale in rovina, questa tristezza
    Davanti al quotidiano; o quest’improvvisa allegria
    Di sentir passi nella notte che si perdono senza memoria…

    Resta questa voglia di piangere davanti alla bellezza
    Questa collera di fronte all’ingiustizia e all’equivoco
    Questa immensa pena di se stesso, questa immensa
    Pena di se stesso e della sua forza inutile.

    Resta questo sentimento dell’infanzia sventrato
    Di piccole assurdità, questa sciocca capacità
    Di rider per niente, questo ridicolo desiderio d’esser utile
    E questo coraggio di compromettersi senza necessità.

    Resta questa distrazione, questa disponibilità, questa vaghezza
    Di chi sa che tutto è già stato come è nel tornar ad essere
    E allo stesso tempo questa volontà di servire, questa contemporaneità
    Con il domani di quelli che non ebbero ieri né oggi.

    Resta questa incoercibile facoltà di sognare
    Di trasformare la realtà, dentro questa incapacità
    Di non accettarla se non come è, e quest’ampia visione
    Degli avvenimenti, e questa impressionante

    E non necessaria prescienza, e questa memoria anteriore
    Di mondi inesistenti, e questo eroismo
    Statico, e questa piccolissima luce indecifrabile
    Cui i poeti a volte danno il nome di speranza.

    Resta questo desiderio di sentirsi uguale a tutti
    Di riflettersi in sguardi senza curiosità e senza storia
    Resta questa povertà intrinseca, questa vanità
    Di non voler essere principe se non del proprio regno.

    Resta questo dialogo quotidiano con la morte, questa curiosità
    Di fronte al momento a venire, quando, di fretta
    Ella verrà a socchiudermi la porta come una vecchia amante
    Senza sapere che è la mia ultima innamorata.

    Vinicius De Moraes (poeta brasiliano)

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