Sal(ent)ino connubio dei sensi

di Sandro Montinaro

È un dato incontestabile che col passare del tempo i luoghi cambino, e cambi inoltre la stessa percezione dei luoghi; cambiano gli uomini e i paesaggi: in una parola cambia e si modifica la geografia di un determinato territorio.

Nel caso però del Salento il paesaggio fa eccezione, al punto da conquistarsi un posto di rilievo nel cuore degli abitanti e dei forestieri.

Qui, infatti, è proprio la centralità del paesaggio il dato più interessante. Quel paesaggio, che nel passato doveva apparire meraviglioso agli occhi forse inconsapevoli dei suoi stessi abitanti, oggi potrebbe sembrare, per la lontananza nel tempo, non meno affascinante ai contemporanei. Eppure quello stesso paesaggio esiste ancora e mantiene talvolta miracolosamente intatti molti di quegli elementi e di quelle caratteristiche che lo connotavano. Ma di questa felice e fortunata contingenza chissà quanto sono consapevoli gli attuali abitanti!

Il Salento ha da sempre un fascino ambiguo e misterioso, selvatico e solitario, un salino connubio di sensi. Fortunatamente quell’impronta meravigliosa è rimasta, proprio come le forti radici degli ulivi secolari che respirano ancora nella terra la stessa linfa di un tempo a testimonianza di una continuità con il passato tutt’altro che estinto.

La cosa più bella e che rende più caro e prezioso il paesaggio salentino ai suoi abitanti e ammirato dai forestieri è che esso, faticosamente costruito e addomesticato da dure fatiche, è il risultato del lavoro: muretti a secco, furni, pajari, aire, tratturi, oliveti, mandorleti, ficheti …

È quindi un paesaggio sociale, culturale non solo, ma umano nel senso più pieno del termine.

Serrano – ulivo secolare nei pressi di Santa Marina di Stigliano

 

Un paesaggio unico e particolare nei confronti del quale gli abitanti nutrivano un forte valore di sacralità, valore ancestrale, radicato sin dal tempo in cui, tra gli antichi culti portati in Italia dai Greci attraverso i lidi meridionali, vi giunse anche quello di Demetra, dea della terra, generatrice di frutti: la Cerere dei Latini.

Dal valore della sacralità della terra a quello della bellezza di un paesaggio magnifico, ricevuto in dono dalla stessa dea e madre Terra, il passo era breve. Tuttavia, uomini e donne, vecchi e bambini che, per volere del destino, abitavano la Terra d’Otranto, godevano ben poco di questa bellezza, poiché essi erano legati a un duro e faticoso lavoro che non concedeva spazio allo svago e al godimento. Di conseguenza, più che essere inteso nel senso della bellezza da contemplare, il valore della terra era percepito come bene concreto dal quale sarebbe scaturito, a prezzo di pesanti fatiche, il sostentamento e forse anche il benessere.

Dire terra era dire lavoro e dura fatica.

Carpignano Salentino – tratto della via Traiana-Costantiniana

 

Questo valore, come d’altronde tanti altri, si è nel tempo rafforzato ed è per certi aspetti mutato – per legge naturale della vita che scorrendo cambia uomini e cose – restando tuttavia vivo più che mai.

Oggi la sua importanza, riconosciuta anche da coloro che col lavoro agricolo non hanno dimestichezza o addirittura ne sono lontanissimi, è intesa secondo un’accezione più ampia e con sfumature di significato nuove rispetto al passato.

Mai la presenza umana si è fatta sentire come nella cura gelosa che ha portato alberi così lenti e duri a crescere a diventare i nodosi e forti secolari ulivi, destinati una volta piantati a gratificare le generazioni successive. Ed è proprio in questa dedizione degli uomini alla terra, ma anche ai figli e ai nipoti non ancora nati, che prende corpo e si comprende profondamente tutto il senso pregnante dell’identità salentina.

È vero che oggi – in una situazione e in un processo che si potrebbero definire inversamente proporzionali rispetto al passato della Terra d’Otranto – molta ‘natura’ è stata fagocitata dall’insediamento abitativo. Ma è altrettanto vero che resiste tuttora un paesaggio agrario assai vitale che conserva inalterate le stesse funzionalità che aveva in passato.

Per quanto tempo ancora?

Per quanto tempo la società locale manterrà fede a un lascito che è insieme un bene economico e un patrimonio naturalistico e culturale come pochi sul territorio nazionale?

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