di Paolo Vincenti
“Che fai tu Luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa Luna?”: questi versi immortali di Giacomo Leopardi ci fanno entrare nella suggestione che da sempre “l’astro della sera”, la vagante Luna, suscita negli uomini al suo apparire. Dalla notte dei tempi, Selene, che nella mitologia greca era figlia di Iperione e Teia e sorella di Helios (il sole splendente) e Eos ( la delicata Aurora), ispira i poeti e gli scrittori in un lungo canto d’amore.
Da Saffo (“Tramontata è la luna e le Pleiadi a mezzo della notte..”) a D’Annunzio (“O falce di luna calante che brilli su l’acque deserte, o falce d’argento, qual mèsse di sogni ondeggia a ‘l tuo mite chiarore qua giù!”), da Omero a Pablo Neruda (“Tra i pini scuri si srotola il vento. Brilla fosforescente la luna su acque erranti. Passano giorni uguali, inseguendosi l’un l’altro..”), da Pascoli (“Dov’era la luna? ché il cielo notava in un’alba di perla, ed ergersi il mandorlo e il melo parevano a meglio vederla.”) a Tagore (“Calma, calma questo cuore agitato, tu, notte tranquilla di luna piena”), tanti hanno cantato questa divinità notturna, raffigurata nell’antica Grecia come una bella fanciulla (assimilata a volte ad Artemide o ad Ecate) dal pallido viso e dalle lunghe e morbide vesti bianche, recante sulla testa una falce di luna crescente ed in mano una torcia.
Da sempre, questa madre notturna, descritta e cantata da Esiodo e da Carducci, da Strabone e Pausania e da Nonno di Panopoli fino a Baudelaire, è stata al centro delle nostre riflessioni ed ispirazioni, nei suoi tanti epiteti (sorella luna, vergine notturna, luce del bosco, guardiana della notte…). E la rotonda luna, la mutevole luna, è stata anche la protagonista di tanti incontri culturali a tema e performance poetiche in Italia e, per venire a noi, nel nostro Salento. Una di queste bellissime occasioni si realizzò nel marzo del 2004 a Maglie quando, presso la Libreria Einaudi diretta da Giuliana Coppola, si tenne una serata intitolata “ La luna nella poesia di Giuseppe Greco e nell’immagine pittorica di Nicola Cesari”. In quell’occasione, i versi di Pippi Greco, poeta parabitano molto conosciuto in Salento ed apprezzato, raccontavano le immagini di Nicola Cesari, pittore magliese e critico d’arte, “in un incontro di sillabe e colori”, come recitava il comunicato stampa. E già il cartoncino di presentazione della serata era tutto un programma, e proprio in quell’occasione Giuseppe Greco inaugurò quella sua particolare forma artistica di promozione poetica che consiste nel distribuire a tutti piccoli quadretti delle sue poesie, a mo’ di santini, arricchiti dai suoi schizzi. Su quel cartoncino del lontano 2004, ormai rarità per bibliofili, vi erano, insieme alle informazioni sulla serata, dei versi di Greco ed un dipinto di Cesari.
“L’immagine è sola” scriveva ancora Giuliana Coppola nel comunicato stampa, “la sostiene il sogno-metafora che nessuno può impedire di chiedere la luna, anche se la realtà è ben diversa”. Fu di sicuro successo quel connubio fra i versi di Greco e le immagini di Cesari, entrambi dedicati alla luna, come metafora dell’eterna ricerca, la ricerca che è nella produzione dei due artisti salentini. Giuseppe Greco, Pippi per gli amici, scrive da sempre poesie, presenti su tante riviste e fogli sparsi ma è anche pittore, ed ha pubblicato Traìni te maravije misteri te culori te tanti jaggi poisie, una “raccolta d’opere di segni-colori-parole, tecnica mista”, con Prefazione di Donato Valli e traduzione in lingua italiana di Giuliana Coppola (Tipolitografia Martignano, Parabita 2008).
Molti studiosi hanno scritto di Greco, che ha partecipato a numerosissimi premi di poesia in tutta Italia, vincendone anche parecchi. Giuseppe Greco, che in un lontano passato, con gusto spagnoleggiante, come pittore si faceva chiamare Josè Amaz, ha insegnato per 35 anni “Teoria e Applicazioni di Geometria Descrittiva e Rilievo Architettonico” presso l’Istituto Statale “Giannelli” di Parabita, quella Parabita alla devozione della cui protettrice, la Madonna della Coltura, Greco è da sempre fortemente attaccato, come confermano anche alcune sue opere pittoriche, per esempio una installazione artistica di grandissime dimensioni in cui è raffigurata la Madonna parabitana e che accompagna in maggio i festeggiamenti in onore della patrona degli agricoltori.
Nella sua poesia, a volte partendo da una “poetica degli oggetti”, di matrice quasi realistica, rafforzata anche dall’uso della “lingua de lu tata”, Greco passa ad inserire oggetti e situazioni comuni in una atmosfera rarefatta, quasi onirica, attraverso delle immagini evocative che ci fanno viaggiare, come sui suoi “carretti di meraviglie”, nel tempo e nello spazio . E questo, conservando sempre una naturalezza del parlato e una estrema semplicità delle situazioni descritte, che prendono a pretesto contesti antropologici minimi, e che suscitano nel lettore quasi un senso di nostalgia nei confronti di quell’ambiente umile e spartano e di quel tempo passato certamente meno avaro di valori e di solidarietà fra consimili.
Alcune sue liriche creano una sincera commozione all’ascolto, a conferma del suo successo. Nicola Cesari, nato a Maglie nel 1940, ricordato anche sul penultimo numero di “Meridiano 18” (settembre 2011) da un bellissimo servizio a cura del figlio Massimiliano, era un pittore ma anche un critico d’arte. Diplomato all’Istituto d’Arte “G. Pellegrino” di Lecce, dal 1960 al 1998 aveva insegnato discipline artistiche e storia dell’arte negli istituti di istruzione superiore, in particolare, per oltre venticinque anni presso il Liceo Sperimentale “F. Capece” di Maglie.
Come pittore era un infaticabile sperimentatore; una ricerca continua, la sua, che non si è mai interrotta fino alla sua morte, avvenuta nel 2010. Numerosi i riconoscimenti ottenuti e le mostre realizzate in Italia e all’estero, come, ad esempio, Astratto Cosmico, Segni e Colori, il Segno dell’eros, All’amico Egon Schiele, I luoghi e la memoria, Aquilonia, Onirica, E’ una povera storia, Se riesci a volare vedrai tutto azzurro. Sue opere si trovano in numerose collezioni pubbliche e private e significative le testimonianze critiche riguardanti la sua produzione artistica. “Informale” è la definizione più usata dalla critica specializzata per la sua pittura, che comunque coniugava perfettamente l’astrattismo con il legame forte, tenace, ancestrale, della memoria. Come non riconoscere, infatti, nei colori forti e brillanti delle sue tele, alcuni scorci dei nostri paesaggi salentini, i muri, le pietre, le case, un menhir svettante al cielo, il rosso del nostro sole, che solo un sole del sud può avere, il blu e l’azzurro del nostro cielo salentino, così fortemente nostro, così fortemente salentino. A conferma di questo attaccamento viscerale alla nostra terra, l’allestimento del Museo della Tradizioni Popolari di Giuggianello, a sua cura, nel 2010, che è poi l’ultima sua realizzazione prima della dipartita, come ci ricorda il figlio Massimiliano, nell’articolo prima ricordato. Ha collaborato a giornali e riviste quali: Realtà Salentina, Tempo d”Oggi, Nuovo Spazio, Pensionante de’ Saraceni, Titivillus. La pittura di Nicola Cesari si sposava felicemente con la poesia di Pippi Greco. Chi c’era quella sera a Maglie la ricorda come una bellissima serata in cui l’incontro dei colori di Cesari e dei versi di Greco creò un’alchimia difficilmente ricreabile. Non sappiamo se la luna, a cui la serata era dedicata, sorridesse sorniona dall’alto del cielo sulla libreria Einaudi. E’ sicuro,ce lo testimoniano alcuni presenti a quella serata, che fu per la città di Maglie un piccolo evento “memorabile” che a noi, in questa occasione, è piaciuto “rimemorare”.