LETTERATURA GASTRONOMICA
LIQUORE DI MALVAROSA
Un elisir dal gusto favoloso che inebriandoti la mente ricorda i misteriosi sapori orientali dei filtri magici
di Giulietta Livraghi Verdesca Zain
Dall’alto delle scale esplode la voce di “Zia Assuntina” e, prima ancora di vederne la delicata figura, ne avvertiamo il profumo: un aroma sottile di erbe e di fiori che si porta dietro e che la fascia, come un mistero di altri tempi e di altri luoghi. Poi ne scopriamo il volto, chino sul nostro salire, e, insieme al suo, s’illumina quello di “zia Maria”, che sgrana sorrisi e ammicca divertita, come se tra noi e lei corresse il filo di una cospirazione.
L’invito scocca sempre ai primi freddi, quando gli ultimi venti autunnali hanno già denudato gli alberi e la poesia dei camini accesi è ancora tutta da scoprire. Nell’ampio salotto ci troviamo fra due fuochi: quello del camino che borbotta nel cavo del primo ceppo e quello di Anna, la nipote numero uno delle padrone di casa, che fa scoppiettare la sua giovinezza e semina parole come manciate di coriandoli.
Siamo tutti un gruppo di amici e quando scatta la fatidica frase “Prendiamo qualcosa?”, tutti in coro affermiamo: Sì, un po’ di “zia Assuntina”. Ovviamente tutti sappiamo che si tratta del liquore di malvarosa che la signorina Assuntina, maestra nell’elaborazione di antiche e complicate ricette, prepara da anni con impeccabile bravura. E’ un liquore dal gusto favoloso che inebriandoti la mente ricorda i misteriosi sapori orientali dei filtri magici. Un elisir che ha creato intorno a “zia Assuntina” un alone di leggenda, tanto che gli amici più che chiamarlo “Liquore di malvarosa” amano identificarlo con il nome della sua fautrice.
Non è stato facile conoscerne la ricetta, e se ora la passiamo ai lettori dell’Apollo buongustaio, lo dobbiamo alla nipote Anna che, alternativamente angelo e demone, ha ben saputo usare le sue armi per ottenerla.
Si mettono in fusione, in mezzo litro di alcool, sei foglie di malvarosa, le pagliuzze di tre steli di menta e la buccia sottile di un limone, lasciando a macero per ventiquattro ore. A parte si prepara uno sciroppo, facendo bollire in mezzo litro d’acqua mezzo chilo di zucchero e, quando è freddato, si unisce all’infuso già filtrato. Dopo due, tre giorni si torna a filtrare e si aspetta che invecchi maturando l’aroma.
Da “L’APOLLO BONGUSTAIO”, ALMANACCO GASTRONOMICO PER L’ANNO 1973, a cura di Mario Dell’Arco (Dell’Arco Editore in Roma), pag. 69