Nonno raccontami una storia

NARRAZIONI E GENERAZIONI 

 

di Paolo Rausa

                                

L’intervento, da me svolto nel corso della manifestazione di premiazione “Nonno raccontami una storia” sui testi prodotti dai ragazzi della 1^ e 2^ Media di Poggiardo sulla base dei racconti e dei vissuti dei nonni al Teatro Illiria di Poggiardo (LE) il 19 maggio 2008, discende dalla mia veste di curatore del libro di poesie dialettali “Terra mara e nicchiarica” di Fernando Rausa, mio padre. Nel mentre stava per essere pubblicata una nuova raccolta  dal titolo “L’umbra de la sira”, quest’ultima più legata alla rappresentazione di significativi personaggi poggiardesi, protagonisti di fatti salienti e inseriti nei luoghi caratteristici del nostro paese, che hanno lasciato traccia della loro azione, sia pure in ambito locale, tanto da meritare menzione  e riconoscimento da parte della comunità.

Ho ritenuto molto importante l’iniziativa proposta per una serie di ragioni: innanzitutto perché il racconto e la narrazione gettano un ponte fra le generazioni, inoltre testimoniano la necessità di conoscere la nostra cultura e di assumerla come bagaglio proprio da ritrasmettere alle generazioni che ci seguiranno, infine propone di traghettare, con un’operazione di memoria riconosciuta da tutti, usi, costumi, modi d’essere che costituiscono le fondamenta di qualsiasi società civile e quindi della nostra società e perciò devono essere preservati dall’oblìo.

Il riferimento precedente al “lasciare traccia di sé” ha costituito l’aggancio per introdurre il mio intervento.

Per quanto la traccia, il solco evochino passaggi da un luogo ad un altro, ovvero da un tempo precedente a quello successivo, ho cercato di scambiare le parti e di simulare un ruolo paterno, come se io fossi mio padre, immaginando che fosse ancora vivo, e tentassi di parlare attraverso i suoi scritti, ovvero come se ci fosse lui nel ruolo di narratore e mio figlio fosse il destinatario del suo raccontare.

Il narratore con il suo atto consegna un lascito molto importante, costituito da valori, ai quali ha ispirato la sua vita, da esperienze, da convinzioni, ecc.

Questo patrimonio assume il significato di eredità culturale quando passa da un rapporto personale a quello sociale, ovvero quando coinvolge le vecchie e le nuove generazioni in un gioco di riti di passaggio, finalizzati a mantenere e a migliorare la tradizione.

La narrazione comporta l’affidamento di una pluralità di intenti, di propositi, di convinzioni e di urgenze che, dal momento in cui il poeta consapevolmente assume su di sé il destino della comunità, diventano espressione e lirica, canto di dolore, desiderio e aspettativa di cambiamento che riguardano noi tutti.

Che cosa avrebbe detto mio padre a mio figlio che valga la pena di ascoltare?

Facciamo una premessa letteraria. La narrazione, intesa come l’esposizione di fatti, accaduti o meno, è sempre avvenuta per via orale. Attraverso di essa erano trasmessi la conoscenza e il sapere, intesi come manualità, riflessione e astrazione. Un adolescente era in/formato, attraverso i riti di passaggio, che con l’avanzare dell’età gli competeva l’assunzione di una nuova posizione sociale e la comunità gli avrebbe richiesto lo svolgimento di nuovi compiti, relativi alla sua condizione di adulto e comportanti la conoscenza delle regole di convivenza, il loro rispetto, e una serie di obblighi, come per es. rendersi utile agli altri, procacciarsi il cibo e formare una nuova famiglia per rigenerare la vita.

Le vicende umane non hanno conosciuto solo le attività volte alla sopravvivenza della specie (agricoltura, allevamento, manifattura, ecc.), ma anche purtroppo quelle indirizzate alla guerra di conquista o di difesa, durante le quali si affermavano il coraggio e la determinazione, oppure quelle pervase dall’ansia della scoperta, della conoscenza di territori mai esplorati, infine quelle intese a ottenere la sospensione di condanne a morte ingiuste.

Solo più tardi la trasmissione di queste modalità esistenziali costituite da stati d’animo, sentimenti e rapporti sociali verrà affidata alla scrittura e alla narrazione.

Immaginate di quanto saremmo privati, per es. degli incitamenti di Achille ai greci a sfondare le mura di Troia e nell’altro campo dei compartecipi e accorati sforzi dei troiani sostenuti da Ettore per impedirlo, o della pena nel condividere le peregrinazioni di Ulisse che è sottoposto a numerose prove e incarna proprio l’ansia di conoscenza dell’umanità, se non fosse esistito l’aedo Omero e i tanti cantori che si sovrappongono in lui. Ora ignoreremmo questi eroi o quello che essi rappresentano.

Mentre il compito di narrare le storie che si intrecciano e che mirano a salvarle la vita tocca a Sherasade, che nelle “Mille e una notte” con la narrazione tenta di avvincere il sultano e cerca di dilatare il tempo in cui sarà pronunciata la sua condanna a morte.

E potremmo proseguire con altri esempi, ma uno su tutti non può essere taciuto: l’uso delle parabole da parte di Cristo. Chi non conosce quella del buon samaritano (su chi è il nostro prossimo), del figliol prodigo (sul ritorno a casa del figlio che ha lasciato la casa per affrontare il mondo, ma con deludenti risultati), sul resoconto dei denari (su come li si utilizza, facendoli fruttare)?

In questo caso la modalità narrativa presenta esempi semplici ed è scelta in funzione dell’interlocutore popolare, che ha bisogno di comprendere intuitivamente il messaggio nascosto e di svelarlo immediatamente.

Per tornare alla funzione del narratore, egli compie lo sforzo ed ha la pretesa di assumere su di sé la tradizione culturale della propria terra, della propria gente, preparandosi a rielaborarla con la sua sensibilità, a trasmetterla alle nuove generazioni, come se fosse un tedoforo che accoglie e consegna la fiaccola della comune cultura, intesa  in senso lato.

Il sentimento che spinge il narratore è l’amore.

Perché egli ritiene che solo se le nostre azioni saranno informate all’amore, sarà possibile guardare oltre al nostro “ombelico” e capire che il nostro agire riguarda, oltre a noi, il nostro prossimo.

Solo con questa visuale saremo in grado di dare sempre il meglio di noi, di predisporci alle cose che ci accingiamo a fare, qualunque esse siano, nel miglior modo possibile per noi e per gli altri, ricordando (ecco il monito!) che la nostra esperienza sulla terra è limitata e quindi nostro compito inderogabile, una volta ricevuti i beni in eredità dalle generazioni che ci hanno preceduto, è preservarli migliorandoli per quelle future.     

Ritornando alle poesie, io ho cercato, attraverso la loro pubblicazione, di trasmettere e di far conoscere le riflessioni del poeta, mio padre, i suoi sentimenti, il suo amore smisurato per la propria terra, per quanto spesso tradito, per una cultura rappresentata anche dalle piccole cose quotidiane, ma tipiche e imprescindibili, per es. l’odore di un fiore, il conforto di un amico, il divertimento di un gioco, la passione di un amore, la dignità del lavoro, la rinuncia dolorosa, il respiro della giustizia, l’esercizio dei diritti, la necessità dei doveri, la sacralità del lavoro e l’impegno costante per raggiungere il fine prefissato.

E’ possibile comprendere questo messaggio, se si valuta con la giusta ponderazione il patrimonio di saggezza che affonda le sue radici nella nostra storia culturale locale, fatta di stenti, di soprusi, di privazioni ma sempre pervasa da una visione umanistica che pone al centro l’essere e il progresso come fini dell’agire per il raggiungimento di condizioni sociali sempre più avanzate, in una società più giusta e che offre più opportunità a tutti.

Insomma la “Terra mara e nicchiarica” è una condizione di desolazione esistenziale, ma non per questo senza redenzione; il “Siminati nove cuscenze” è un imperativo rivolto alle nuove generazioni, perché assumano su di sé il compito, arduo ma salutare,  di dirigere con strumenti nuovi e verso lidi più sicuri il naviglio della società.

Tuttavia la narrazione attraverso la lingua “ca mamma e tata me ‘mparasti ddicu” non deve assolutamente farci volgere lo sguardo al passato, come l’angelo di Benjamin che guarda indietro.

La lezione da trarre è che dobbiamo fare tesoro di quel bagaglio culturale trasmesso, forgiare le nostre coscienze.

Questo strumento ci consente di capire la realtà, interpretarla tenendo conto dei cambiamenti che intervengono, sapendo piegare gli apporti che ci giungono dalla tradizione non solo attraverso la narrazione, il “cunto”, considerandolo come legame utile e indispensabile tra il prima e il dopo del tempo arcaico e storico, come strumento per comprendere i rapporti fra l’alto e il basso dei ceti sociali, come occhio che scruta il di fuori e il di dentro dell’uomo e della società, ma anche pescando nel campo delle varie arti e mestieri.

Ne deve discendere un’ansia di conoscenza e di scoperta dei personaggi locali che si sono distinti nei vari settori, per es. nella pittura (faccio il nome di Rocco Guglielmo), nella musica (dell’eclettico Antonio Pascarito), nel canto (del baritono Uccio cosiddetto Tragico), nella buona amministrazione pubblica (dei vari Egidio Grasso, Francesco Rausa, Raffaele Pascarito), nella lavorazione del legno, della pietra leccese, del ferro battuto, nell’attività culturale e nell’insegnamento (possiamo finalmente recuperare la figura desaparecida del prof. Carluccio, maestro nel disegno?), nella lotta contro la tirannide per la libertà, partecipando ai moti risorgimentali (di Giovanni Circolone), nella passione politica (nella figura del caro Renato Circolone, recentemente scomparso). E infine come non farsi affascinare dalla paziente e laboriosa attività profusa da intere generazioni di contadini che hanno succhiato il midollo della vita nella coltivazione della terra, modellando il nostro paesaggio?

Come passa tutto questo? Come evitare che si perda e si dimentichi?

Questo è il compito della narrazione, del “cuntu”: dipanare l’intreccio dei diversi fili della nostra esistenza, a prima vista complicato da fare o più comodamente relegato ad un passato che oramai non ci riguarda più, perché superato. Essi come novella Arianna mantengono saldo il capo di ciascuno di essi, distinguendoli per orientare a seconda dei bisogni. La materia della narrazione è  considerata giustamente patrimonio di tutti, giacché come insegna la storia, solo coltivando la memoria e rinsaldando le radici, è possibile legare il passato al presente perché sia consegnato al futuro, alle nuove generazioni, ovvero a voi.

Infine ringrazio per l’opportunità e auguro buon cammino, da proseguire con la necessaria leggerezza ma anche con la dovuta determinazione!

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