di Rocco Boccadamo
Martedì 27 marzo, bel mattino di sole, rallegrato dallo zefiro, il mite vento primaverile che soffia da ponente, temperatura gradevole: l’ideale, per una passeggiata in bici.
Nessuna meta prestabilita, tuttavia, dopo i primi movimenti dei pedali, s’affaccia netta la decisione di raggiungere una ben determinata zona del centro storico di Lecce, anzi un preciso obiettivo e traguardo di contatto.
Nelle immediate vicinanze del monastero delle Benedettine e a qualche centinaio di metri dalla chiesetta Greca – due perle dell’architettura religiosa cittadina – il cartello segnaletico indica “Corte Conte Accardo”, breve e stretto rettilineo fiancheggiato da casette o palazzetti d’epoca, con l’unica eccezione, in fondo a sinistra, dell’edificio delle scuole elementari “De Amicis”.
Al civico 18, si apre ed affaccia un piccolo esercizio per la vendita al dettaglio di frutta e verdura, che da sempre, invero, va catturando l’attenzione dell’osservatore di strada scrivente. Notazione architettonica: il primo piano soprastante, abitazione privata, offre una balconata in pietra leccese, un semi arco e una terrazza, che formano un insieme d’autentico amore.
Nessuna insegna, un semplice accesso con “limitare” o gradino, assenza di luci sgargianti, bensì penombra naturale al punto giusto, integrata da una lampadina elettrica all’antica.
Il biglietto da visita sull’impronta genuina del negozio lo si trova già all’esterno, a ridosso dell’ingresso, con un rosario orizzontale di cassette esponenti la campionatura dei prodotti in vendita.
Dentro, ulteriori cassette e cesti di merce, sulle pareti, il classico calendario a fogli mensili e un quadretto, di fattura obsoleta, che incornicia la licenza d’esercizio.
Si fa avanti una persona minuscola, almeno ottanta primavere, alla quale fa compagnia la moglie, all’incirca coetanea, che se ne sta più all’interno.
L’approccio, da parte del curioso, inizia con la classica domanda relativa all’età dell’esercizio commerciale, in quel particolare posto, e la relativa risposta suona “quasi sessant’anni”. Il nome del negoziante è Oronzino, ovvio omaggio al santo Patrono della città, mentre la consorte, come lei stessa tiene a precisare, si chiama Immacolata e anche Amalia.
Al successivo quesito “cosa è cambiato in così tanto tempo”, una replica semplice e lapidaria “è cambiato il mondo”; in ogni caso, aggiunge il commerciante, in merito a questo lavoro, i fondamentali sono rimasti pressoché quelli dell’inizio, ove si escludano una serie d’integrazioni nel genere dei prodotti richiesti e venduti.
In verità, adesso gli avventori in Corte Conte Accardo, solo in misura marginale sono residenti della zona, e però convengono pure abitanti delle aree limitrofe.
Oronzino e la sua signora, che, pian piano, sono divenuti proprietari del locale del negozio e di alcune botteghe confinanti, stanno di casa nella moderna zona di “Settelacquare”, nei pressi del mercato ortofrutticolo all’ingrosso, e ciò rappresenta una grossa comodità per l’uomo, giacché, quotidianamente, di buon’ora, precisamente alle sei, egli fa agevolmente un salto alla “mediazione” per gli approvvigionamenti e, subito dopo, si reca ad aprire l’esercizio di vendita al centro storico.
La vita, ovvero la maggior parte della giornata, scorre in fondo tranquilla in Corte Conte Accardo, senza problemi degni di rilievo, ma solo all’insegna dell’operosità e della cortesia e tratto gentile verso i clienti.
Esistenza serena ed onesta, in pari tempo anche umilmente e dignitosamente proficua, avendo consentito sia di mantenere e crescere una famiglia, sia di realizzare alcuni investimenti in beni durevoli.
Oronzino e Immacolata Amalia hanno due figlie, “mandate a scuola”, delle quali una sposata con un ingegnere della Provincia e l’altra con un professore che insegna a Novara; c’è, infine, un nipote, studente universitario a Modena.
Indubbiamente, vere e proprie eccezionalità, mosche bianche, i coniugi incontrati in Corte Conte Accardo: a parere del sottoscritto, figure vie più speciali, giacché, a prescindere dai prodotti oggetto della loro attività commerciale, si pongono anche come venditori di serenità.
E ciò, nel 2012 della crisi, non è una peculiarità di poco conto.
Quando la normalità fa notizia. Vivere insieme in coppia fino al tramonto della vita, costruire una famiglia, un’attività lavorativa e, soprattutto, vedere realizzato il sogno di figli istruiti e sposati degnamente.
E’ l’augurio che ognuno di noi si fa fin dalll’età della ragione (dai dieci anni e per qualcuno anche dai sessant’anni in poi) ed è l’augurio che io faccio a tutti noi.
Meno male che c’è Rocco Boccadamo che, cogliendo scene di vita ordinaria e nascosta alla superficialità del nostro vivere, ci ricorda quanto a volte bastino ingredienti semplici per ottenere grandi capolavori: l’amore e non il possesso, l’equilibrio e non la cupidigia, l’impegno e non il gioco del Lotto, la serenità che viene dal rispetto e non l’euforia che nasce da un effimero diletto.
Nel penar lombra della fine
il mio corpo vibra
ma una luce mi acceca di splendor bellezza.