di Maria Grazia Presicce e Armando Polito
Nella poesia che abbiamo presentato nella prima parte Antonio Casetti ci ha fatto conoscere Nina, la quale non attende certo troppo tempo per rispondergli…per le rime. E lo fa con questa poesia in forma di lettera con tanto di firma (Nina K.) e di data (Napoli, 30 settembre 1868). Se non si trattasse di un’invenzione del letterato che con sottile ironia prende in giro se stesso, se, cioé tutto non fosse fittizio (compresa la firma, per cui non sapremo mai a cosa corrisponda per esteso quel K., ammesso che si tratti di un personaggio realmente esistito), diremmo che il servizio postale allora funzionava molto meglio di oggi se una missiva scritta il 30 settembre risulta pubblicata il 5 ottobre…
Anche questa volta Antonio Casetti non manca di lanciare le sue frecciate contro gli eccessi del secolo passato e del suo, sicché Nina finisce per diventare l’alter ego del letterato che recupera la sua identità grazie al buonsenso di una persona comune che sa guardare in modo disincantato alla vita, consapevole delle sue inevitabili contraddizioni , ricchezze e miserie, senza il cipiglio serioso di certi intellettuali che vorrebbero far credere di essere indenni da certi condizionamenti.
L’è discorso stringente
da non pigliarsi a gabbo1
quel che tiene alla storia2;
ed io mezzo allibbita3
delle chiome posticcie la leggenda
pria d’or l’aveva udita;
ma se v’ho a dire il vero,
come cresco negli anni,
meno assai mi sgomentano
la bara e il cimitero.
È forse bizzarria?
la moda, è ver, la porta,
e non c’è poesia d’un certo effetto
che non vi parli di persona morta
distesa in cataletto.
Che valore ha la culla4?
Ispirator del vero
più della vita è il lutto,
con cui l’uom si trastulla
tra questa immensa vanità del tutto5.
Questa è scuola, perdio,
che non si perde in ciance ed in moine,
e respinge ghignando
le vacue fantasie di cieli azzurri,
di tripudii e di ninfe oceanine6;
e se parli di meriti o di torti,
di zerbini7 o d’eroi,
ci vede indispensabile
l’ospedale, la tisi e il beccamorti.
S’io sapessi d’estetica…
(mi si passi il vocabolo lezioso)
direi d’un’altra storia
delle chiome posticce. Ma che vale?
Ben potrebbe irritarsene
chi sdegna l’Ideale.
Un sentimento strano, per esempio,
mi susurra ch’ è desso8
questo dei vati ispiratore occulto,
deriso in carnevale,
messo al bando del cerebro9,
che non vuole col cranio esser sepulto;
e se ne stacca e fra le trecce finte
delle vispe donzelle
batte le lucide ale
e sul fronte di quelle
sorvive10 al funerale!
Ma ciò sa di platonico11
e Platone è arcivecchio;
e chi fa versi almen debbe comprendere
che industria, agronomia,
statistica e commercio fan l’essenza
della vera poesia;
non più studiata negli Ariosti e i Danti,
ma sui libri e le cifre dei mercanti.
Dunque altro tono. E cercherem la scusa12
alle chiome non mie.
Se vi piaccia torniam per un istante
di Napoli alle vie;
Toledo e Chiaia13 rivedremo, e in mezzo
al brulichio dei vivi
non sentiremo il lezzo
delle carogne che ci fan le spese
del gas. E se all’occhiello
dell’abito abbisogni un bottoncino,
terso e lustro l’avremo
di tal materia che portò il becchino.
Io non mi so di chimica,
ma udiva dir da un dotto alla sua ganza
che le reliquie dei carcami14 addoppiano15
il lusso e l’eleganza
ed ai fiori fragranti per le sale,
agli agrumi, ai palmeti
diero il succo vitale.
Sta della vita allato
la polve16 e la putredine.
Dunque che gran peccato,
nell’epoca di studi positivi17,
che de’ capei dei morti
se ne adornino i vivi?
NINA K.
Napoli 30 settembre 1868
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1 Da non sottovalutare.
2 Nella prima parte, come il lettore ricorderà, il Casetti aveva ironizzato sull’argomento: …oggidì si vuole/un qualche pezzo storico/circa ogni cosa che sta sotto al Sole.
3 Forma popolare frequente nel XIX secolo. Oggi si usa la forma allibita, filologicamente più corretta.
4 Simbolo della nascita, come la bara lo è della morte.
5 Riecheggia il Leopardi, Operette morali, Storia del genere umano: …niuna cosa apparirà maggiormente vera che la falsità di tutti i beni mortali; e niuna solida se non la vanità di ogni cosa fuorché dei propri dolori; ma anche l’ultimo verso di A se stesso (Canti, XVIII): e l’infinita vanità del tutto.
6 Probabilmente la frecciata, espressa piuttosto genericamente, è rivolta alla produzione letteraria dell’Arcadia.
7 Zerbino o zerbinotto (dal nome di un personaggio ariostesco dell’Orlando furioso) è un giovane galante eccessivamente curato nella persona ed elegante, sì da apparire poco signorile e privo di buon gusto. L’omografo che significa tappeto deriva, invece, dall’arabo zirbiy=tappeto, cuscino.
8 Proprio; desso è dal latino id ipsum=proprio quello.
9 Cervello; cèrebro (poeticamente, come qui, cerèbro) è latinismo da cèrebru(m).
10 Sopravvive. Sorvivere è forma molto usata nel secolo XIX.
11 Astratto.
12 Giustificazione.
13 Due tra i più famoso quartieri di Napoli. Chiaia era comparsa già nella poesia della prima parte.
14 Il carcame è lo scheletro scarnificato.
15 Raddoppiano.
16 Polvere. Polve è forma letteraria. Entrambe sono dal latino pulvis/pùlveris, solo che la prima è dall’accusativo pùlvere(m), la seconda dal nominativo (pulvis).
17 Non manca la dissacrazione nemmeno del Positivismo, corrente di pensiero che caratterizzò quegli anni.