di Paolo Vincenti
Se dico Francesco Pasca, penso alla “singlossia”. Penso all’irrazionale, che stimola la curiosità sempre in fermento di questo intellettuale così anomalo (di “anomalia come arte”, per dirla con Brenot, se è vero che alla base di ogni pratica artistica c’è sempre una follia creativa che smuove qualcosa dentro, spinge, stimola, suscita..)
Se dico Francesco Pasca, penso a parole in libertà, archetipi, combinazioni alchemiche o a strutture palindromiche, come il famoso quadrato magico “Sator Arepo”, che l’autore cerca nel mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto .. e il mosaicista è lui stesso, l’autore, che gioca una partita a scacchi con le entità sovra individuali, come il tempo, lo spazio, il reale, il virtuale, e poi Fiato, Thea, Poiesi(es), Giano, Alber(t)o, Guido, ossia le pedine-personaggi nella scacchiera di una complessa rappresentazione trans-modale che sono i suoi libri.
Se dico Francesco Pasca, penso a “diversalità poetiche”, penso all’acronimo del suo cognome (P-pardus A-alatus S-sternit C-cornutum A-arietem), impresso enigmaticamente dal monaco Pantaleone in una scena di quel libro di pietra che è il mosaico otrantino.
Dico Francesco Pasca e penso al linguaggio multiforme delle sue opere, alle più ardite sperimentazioni verbo-visive che caratterizzano il suo percorso poetico, filosofico, matematico, e penso ad un viaggio multimediale, fra luoghi reali e mentali, seguendo quel filo rosso che imbastiscono i pensieri associativi – dissociativi di questo vulcanico scrittore che, come nell’officina di Efesto, che è l’ “Eu-tpos” di Pasca, forgia demiurgicamente il corpo della sua narrazione, immaginifica e così affascinante. Penso alle infinite combinazioni che può dare la nostra lingua italiana, così antica eppure così moderna.
Si, quando leggo alcune pagine del Pasca mi ri -innamoro di questa nostra lingua patrimonio e mi ricordo quanto la sua bellezza possa essere seducente, il suo potere coinvolgente, avvincente. E mi intrico nei suoi intrecci e mi scopro a cercare, contro la mia stessa volontà, delle combinazioni di senso, dei percorsi impossibili, per me che non sono risolutore di enigmi, né filosofo, né matematico, né musico, né astronomo, né giocoliere della parola, né funambolico artista come Pasca. L’agire poetico di Pasca è lì, nel “gesto”, il movimento della sua ricerca, fra luci ed ombre, fra l’alpha e l’omega, fra vita vera e vita sognata,fra Eros e Thanatos, mithos e logos, etica ed estetica, di-segni poetici, di flusso di pensieri che scorrono incontrollati sulle sue pagine.
Francesco Pasca, che vive a San Pietro in Lama (Lecce), attivo fin dal 1963 nell’ambito delle arti visive, è pittore, scrittore, poeta e insegnante. Tra i promotori del Manifesto sulla Singlossia, movimento fondato dalla semiologa Rossana Apicella nel 1979, ha partecipato a numerose iniziative poetico-visive e, come pittore, ha tenuto diverse mostre, nazionali ed internazionali, ricevendo premi e consensi critici. Nel 2005 ha pubblicato “Parole sparse- se i pensieri affollano la mente è utile” (Collana I poeti de L’uomo e il mare, Tip. 5emme), nel 2008 “Otranto- Il luogo delle parole-dialogo virtuale sulla scrittura di pietra” (Il Raggio Verde Editore), nel 2009 “Eu-Topos – mi disegni una parola? La parola nominata” (Il Raggio Verde Editore), e da qualche mese è uscito questo “Il Gesto. Giano: idea di fili senza spessore” (Lupo Editore 2010), con una Nota iniziale di Mauro Marino e una nota finale -Postfazione di Gianluca Garrapa. Collabora con le pagine culturali de “Il Paese Nuovo” ed ha un suo sito on line “Tra parola e segno”. Nelle varie sottosezioni di questo sito, è raccolta buona parte della carriera artistica di Pasca, gli interventi critici sulle sue pitture, il Manifesto della Singlossia, le sue poesie, le varie collaborazioni, i libri, le parole libere, immagini e foto delle sue presentazioni, i suoi numerosi interventi sulle pagine di giornali o riviste, il collegamento con altri links. Attento alle nuove tecnologie informatiche, l’autore cerca diverse modalità di comunicazione e nei suoi scritti il suo vissuto emozionale si intreccia con quello dei suoi personaggi, che potrebbero essere tanti altri da sé, in un progetto culturale che viene da lontano, ossia dalla sua militanza nei gruppi avanguardistici degli anni ‘70 e ‘80 , molto originale per il Salento e non solo. In questo ultimo libro, è l’autore stesso, in una Avvertenza, ad informare che si tratta di parole sparse, di una trama non ancora ordita, di un libro non libro, insomma, che esplora alcune delle infinite possibilità del Caso, cioè delle possibili trame, tutte in divenire, tutte potenziali, che questo “non racconto” affida alla narrazione casuale. I libri di Pasca si compongono di testi talmente crittati dall’autore, a volte, da rendere difficile una loro esegesi critica. Capita, trovandosi di fronte a questi materiali, che un povero sprovveduto come me si trovi in imbarazzo, si senta quasi un naufrago di senso nel mare magnum del “non sense”, del caos che regna nella meta narrazione di Pasca, nel “big bang” del suo racconto nel quale ci si può perdere, come appunto nel mitologico labirinto di Minosse, senza un filo di Arianna che possa condurre fuori Teseo e i suoi compagni . Ma Giano, come dice l’autore, è un’idea di fili senza spessore, dunque questi fili leggeri , portandoci in salvo, non faranno altro che riportarci al punto di partenza, là dove è iniziata l’avventura. Questo significa che la scrittura di Pasca, “uroborica”, come il mitico serpente che si avvita su se stesso mordendosi la coda, non è una scrittura lineare ma circolare, in cui tutto ritorna al punto di partenza e ci lascia solo con l’idea del Gesto. Dunque, leggendo il libro, in questo labirinto, mi chiedo, è meglio lasciarsi trasportare dal Caso, dalla Parola, dal racconto, dal non racconto, dalla Divagazione? (quale sarà il fil rouge da seguire?) Dal testo o dal contesto? Dalla poesia, dalla prosa,dall’Incomprensibile, dal di dentro, dal di fuori,? Di-segni poetici, dicevo. Non so qual è il segno, il simbolo-segno che ricerca Pasca. Non so se lo troverà, questo segno finale, perché nel grande reticolato (labirintico) del linguaggio in cui si muove, ogni segno intermedio rimanda ad una pluralità di altre duplicazioni segniche che portano a divagazioni infinite. Quello che so è della ricerca, del suo essere “in intinere”, e se il racconto non aveva un inizio, alla fine del libro non ci potrà essere che un “non epilogo”. “L’epilogo” dice infatti l’autore, “non esiste e, se vi è, risiede in ognuno di noi e quell’ognuno se ne può dare uno per conto proprio..” . La scrittura di Francesco Pasca è sempre in cammino, alla ricerca di un senso: “Non vado in nessun posto. Sono soltanto in cammino. Vado errando”, dice in Siddharta, Herman Hesse. E forse, non c’è una mèta ed è proprio la ricerca, lo scopo del viaggio. Questo mi sembra di capire, dopo una immersione totale nel mondo immaginale del Pasca –Anurc-Sumus-Cruna-Acsap,.. ma non ne sono nemmeno più tanto sicuro.