Rusciuli del Salento leccese (Corbezzolo Arbutus unedo L.):
ne mangio uno! Uno e basta!
di Antonio Bruno
Il corbezzolo (rùsciulu per il Salento leccese) è un arbusto o alberello sempreverde che può, con una ruvida corteccia scura.
Le foglie sono di colore verde scuro, più chiare nella pagina inferiore, lunghe 4-5 cm., ellittiche, lucide, col margine seghettato. I fiori sono piccoli e a gruppetti, di un colore che va dal bianco al roseo. I frutti sono simili alle fragole, sferici, grandi fino a 2 cm., conuna superficie verrucosa e ruvida.
Di seguito utili notizie su questo frutto del Salento leccese.
“Rusciuli russi, ci òle rusciuli?”
Cantu nna beddha strìa ca’ passa e tice:
“Rusciuli russi, ci òle rusciuli?”
O Lecce t’amu tantu e su’ felice.
Traduzione
Corbezzoli rossi, chi vuole corbezzoli?
Canta una bella ragazza che passa e dice
Corbezzoli rossi, chi vuole corbezzoli?
O Lecce t’amo tanto e son felice
Sarà per il loro colore che mi fa pensare al bel rosso delle labbra di questa donna, sarà che questa bella donna li offre con spensieratezza, ma questi frutti mi mettono allegria e sono stati per tanto tempo mangiati da papà e mamme del Salento leccese. Adesso non li trovi mai!
Scrive Gianni Ferraris in Spigolature Salentine: “Terra di profumi, e di colori il Salento. Il cielo è azzurro intenso, il mare passa dal verde al bianco, al nero. E la campagna ha il rosso della terra e il verde intenso della vegetazione. In queste terre ho mangiato per la prima volta nelle mia lunga vita i corbezzoli raccolti dall’albero (rùsciuli in dialetto), ed ho raccolto rucola spontanea. Ne trovi ovunque qui. Ed ho visto ballare la pizzica. Pizzica e taranta, ritmi simili che hanno contaminazioni africane con l’ossessivo suono dei tamburelli.”
Il Corbezzolo Arbutus unedo L. è un arbusto sempre verde tipico del Salento leccese è una specie appartenente all’ordine delle Ericales, alla Famiglia delle Ericaceae e al genere Arbutus.
Gli antichi lo associavano alla dea Carna, protettrice del benessere fisico, rappresentata con un rametto di corbezzolo tra le mani con cui la dea scacciava gli spiriti maligni.
E’ stato descritto da Aristofane, Teofrasto, Virgilio, Plinio, Ovidio e Columella che hanno descritto l’uso dei frutti della pianta attribuendo il nome latino unum edo (Arbutus unedo).
Se Virgilio nelle Georgiche indica questa pianta semplicemente col nome “arbustus”: arbusto, Plinio il Vecchio era entusiasta di queste bacche rosse o di un bell’arancione solo che ne raccomandava un consumo limitato. Plinio diceva “unum tantum edo”, che tradotto significa “uno e basta”.
Questa cautela deriva dalla circostanza che vede alcuni individui che mangiano anche poche corbezzole soffrono di gravi disturbi gastrointestinali ed ebbrezza, quest’ultima determinata dal fatto che quando “i rusciuli”sono maturi contengono una discreta quantità d’alcol. Se vi avvicinate all’albero di Corbezzolo raccogliete i frutti. Si raccolgono quando sono belli rossi e morbidi al tatto.
Un frutto che ti ci possono mandare a raccoglierlo: “Ane! bba cuegghi rusciuli!! E poi dammeli tutti a mie!” che significa “E vai a raccogliere corbezzoli! E poi dalli tutti a me!”.
E’ originario dell’Irlanda dove si trova ancora oggi. I Romani possono averlo introdotto nel Salento leccese. Lu rusciulu è quasi estinto eppure lo sapete che si racconta che il corbezzolo ha ispirato i colori della bandiera italiana?
Bianco, rosso e verde: il bianco dei suoi fiori, il rosso dei suoi frutti ed il verde intenso delle sue foglie, ed ecco che nel Risorgimento Italiano divenne un simbolo patriottico, perchè proponeva i tre colori della bandiera che guidava i nostri antenati desiderosi di unire l’Italia, fu per questo motivo che il corbezzolo divenne simbolo della lotta di indipendenza.
Il corbezzolo compare anche nello stemma della città di Madrid.
Oltre ai frutti che i nostri papà e mamme hanno abbondantemente mangiato la pianta sta riscuotendo un successo per la presenza contemporanea in inverno di fiori bianchi, frutti rossi e aranciati e foglie verdi.
La pianta di corbezzolo può raggiungere dimensioni ragguardevoli con un diametro di metri 2,5 e un’altezza di 5 – 8 metri.
Ha infiorescenze terminali che pendono con 15 – 30 fiori. La fioritura avviene a partire da questo mese di Settembre sino al Marzo successivo, il frutto è una bacca che pesa da 5 a 8 grammi, si può mangiare, ha una polpa ambrata piena di sclereidi (sono quelle parti che formano il guscio di molti semi) con un numero variabile di semi, ed è ricchissimo di zuccheri e vitamina C.
Gli uccelli sono ghiotti dei rusciuli, nutrendosene diventano i responsabili della diffusione di questa pianta, ma è anche riproducibile per parte di pianta visto che la pianta del corbezzolo dopo un incendio ricaccia abbondantemente, facendo questa pianta adatta per l’uso forestale nella nostra zona che è ambiente di macchia mediterranea soggetta agli incendi estivi.
Bibliografia
Pizzi – Gentile: Lecce Gentile
Gianni Ferraris: La torre del Serpe
Federico Valicenti: C’era una volta il Corbezzolo
Nieddu, G.; Chessa, I. : Il corbezzolo [Arbutus unedo L.]
Chessa, I.; Mulas, M: Le specie frutticole della macchia mediterranea: la valorizzazione di una risorsa
Morini, S.; Fiaschi, G.; D°Onofrio, C.: Indagini sulla propagazione per talea di alcune specie arbustive della macchia mediterranea
Chessa, I.; Mulas, M.: Le specie frutticole della macchia mediterranea: la valorizzazione di una risorsa
L’interessante pezzo dell’amico Antonio mi offre l’occasione di stigmatizzare concretamente un fenomeno molto diffuso e che in questi ultimi anni, complice la Rete, ha avuto uno sviluppo in progressione geometrica. Alludo a quelle che io chiamo “etimologie della domenica” e, nella fattispecie, all’”unedo” pliniano fatto derivare da “unum edo”1.
Il corbezzolo presso gli autori latini ha il nome di àrbutus; solo Plinio ci ha tramandato un sinonimo; infatti, nel capitolo 151 del libro XXIII della Naturalis historia leggo: “Arbutus sive unedo fructum fert difficilem concoctioni et stomacho inutilem” (L’arbuto o unedone produce un frutto difficile per la digestione e inutile per lo stomaco).
Linneo nel XVIII secolo prese proprio i due sinonimi tramandati da Plinio per dare alla pianta in questione il nome scientifico che ancora oggi ha (Àrbutus Unèdo L.).
Vi ho messo a bella posta gli accenti perché proprio quello di unèdo mi consente di avviare il ragionamento che porterà alla disintegrazione della proposta etimologica surriportata: unum edo. Nel tentativo di ricostruire, invece, quello che l’ha partorita, altro non riesco ad immaginare se non l’essersi esclusivamente attenuti al giudizio negativo che Plinio dà del frutto: è indigesto e poco utile; perciò conviene, a chi ne ha curiosità, assaggiarne al massimo uno.
Ma l’etimologia (quella seria) non deve fare i conti solo con la semantica (basta un minimo di fantasia per trovare gli agganci di significato più impensabili…) ma anche con la fonologia.
Ora in latino la e- di edo (prima persona singolare del presente indicativo di èdere=mangiare) è breve e tale si conserva nelle voci derivate edo/edònis=mangione e còmedo/comedònis (stesso significato del precedente). In unèdo, invece, la -e- è lunga e ciò costituisce la prova incontrovertibile che la voce non può avere come secondo componente edo: se così fosse avremmo dovuto avere ùnedo (e breve) e non unèdo (e lunga)2. Quanto appena detto comporta non solo che il secondo componente non è edo=io mangio, ma che la voce molto probabilmente non è neppure composta.
Non ho la più pallida idea da dove essa sia derivata, ma, come nella vita, anche in filologia è meglio il buio pesto (al quale in qualche modo ci si abitua fino a scorgere qualche dettaglio) che una luce dalla quale ci lasciamo abbagliare e ingannare.
Lo stesso nome italiano, corbezzolo, è di etimologia incerta3. Meglio ci va con la voce dialettale neretina crùsciulu che dovrebbe essere dal leccese rùsciulu (con prostesi di c-), secondo il Rohlfs da un latino *rùssulus=un pò rosso3, diminutivo del classico russum [con passaggio –ss->-sc- come in bassu(m)>àsciu].
_________
1 Oltre a Wikipedia, due altri esempi: Enrica Campanini, Dizionario di fitoterapia e piante medicinali, Tecniche nuove, Milano, 2004, pag. 61: “Unedo, dal latino unum edo=mangio uno solo, allusione al gusto particolare del frutto; Costanza Giunti, Decotti e tisane, Tecniche nuove, Milano, 2001, pag. 107: “unum tantum edo”. In quest’ultimo caso si è pensato bene di aggiungere pure l’avverbio tantum (quando già da solo unum in latino significa uno solo) forse per suggestione della locuzione una tantum.
2 In latino esiste pure un edo (con e- lunga), prima persona singolare del presente indicativo del verbo èdere (composto dalla preposizione e=fuori e dal verbo dare=dare)=cacciar fuori, dichiarare; è evidente che, se questa volta la fonologia sarebbe salva, la semantica richiederebbe contorcimenti di significato cui neppure la più accesa fantasia saprebbe dar vita.
3 Per alcuni sarebbe dal tedesco kirsch-bùschel=grappolo di ciliege, altri si limitano a dire che la vove evidenzia un incrocio tra il greco kòmaros=corbezzolo (da kòmari=tintura rossa, di cui restano tracce nel calabrese acùmmaru e nel siciliano agùmaru) e il latino (o prelatino) àrbutus (di cui restano tracce nel toscano àrbatro, nel corso àlbitru, nel ligure armòtlu, nel provenzale arbous e nell’asturiano albedro).
Un incarico per il nostro esperto etimologo Armando Polito: da dove viene il termine “armeculi” col quale son chiamati li rusciuli nel basso salento? (Gallipoli, Otranto ) e non solo?
Armèculu è per il Rohlfs (nessun altro, che io sappia, se ne è interessato) deformazione del greco mimàikiulon che designa il frutto del corbezzolo. Aggiungo io: la sillaba mi- ha tutta l’aria di essere un raddoppiamento della radice che sarebbe, così, *màikiulon; a questo punto dev’essersi verificato un incrocio col latino àrbutus, da cui è stato tratto l’ar- iniziale. Se è così la voce è un ibrido greco-latino, il che non toglie che sia di formazione antichissima.
Altra ipotesi, sempre mia (da accettare, perciò, con beneficio d’inventario, quando questo sarà fatto…): la variante furmèculu (Casarano, Catrignano del Capo, Gagliano, Miggiano, Salve, Spongano, Specchia e Ugento) può essere legata al fenomeno del passaggio m>f che si riscontra, per esempio, nel latino formìca dal greco miùrmex, per il cui influsso potrebbe essersi inserita la r; da furmèculu, poi, per evanescenza e caduta di f- sarebbe nato *urmèculu e da questo armèculu.
Grazie Armando, come sempre oltre le aspettative!
Io non ne mangio uno solo, ma tanti, tanti, tanti! :P