Sedici marzo duemiladodici, sono settantuno, per l’autore di queste righe.
Venti marzo duemiladodici, sarebbero stati novantacinque, per una madre dolce e buona.
La quale, invece, se n’è andata nell’ormai lontano millenovecentosessantasei, contandone soltanto quarantanove.
A più riprese, anni ed età, del presente e di ieri, e, intanto, cade la ricorrenza di S. Benedetto, con i primi garriti, annuncianti l’arrivo della stagione dei fiori.
Secondo le scansioni naturali e astronomiche, i progressivi rosari di primavere conferiscono vie più massa all’accumulo del tempo. E, però, per chi scrive, dal momento del richiamato omega, è come se i relativi rintocchi e calendari si siano rarefatti, l’alba e la controra di una data d’inizio estate, in piena gioventù, sono state rivissute eguali lungo la sfilata del tempo, a ogni risveglio rinnovatosi, sino al lento dischiudersi delle palpebre, il mattino, oggi.
E, ancora, non hanno subito alcuna trasfigurazione, nella mente, il suo volto e l’espressione nel solco del calvario, rievocanti, in fondo, fattezze giovanili, nonostante il tormento del mostro.
Brevi decenni, fianco a fianco, voci e sguardi a incrociarsi e, soprattutto, un mare di semplici, buoni e positivi esempi, da madre a figlio (o meglio, da madre a sei figli).
C’è stato, invero, fonte di conforto, il margine affinché conoscesse, con gli occhi lucidi di gioia, il primo nipotino, lo tenesse con fatica in braccio nel ruolo di madrina, lo accarezzasse, seduta sul letto, nel Natale conclusivo.
Con la penna, il ragazzo di ieri potrebbe, di getto, tratteggiare a iosa altre parole e ricordi, tuttavia, a questo punto, gli sembra prevalente la scelta d’invertire i protagonisti della scena, lasciando parlare direttamente Lei, attraverso una sua lettera, semplici righe manoscritte in un linguaggio umile e approssimativo, fra italiano e dialetto, da quinta elementare e, nondimeno, dal contenuto così particolarmente intenso, emozionante e intriso di profondo valore didattico.
Ero già diciottenne, e, per frequentare l’ultimo anno delle superiori, a Maglie, avevo chiesto, e ottenuto, di non fare il pendolare con la corriera delle autolinee “Sud Est”, ma di fermarmi ”a pensione” presso una famiglia della cittadina.
Sennonché, nella nuova casa, agli inizi, incappai in una fase d’insofferenza e disagio per via di qualche difficoltà d’ambientamento e adattamento, avanzai addirittura l’idea di cambiare, scaricando tale proposito giusto su mia madre.
Di seguito, è riportata, tratta direttamente dall’originale, la sua risposta, al solito equilibrata, saggia, senza toni da cattedra, ma con capacità di convincimento, efficace.
Marittima, 29 – 10 – 1959
Caro Rocco,
Mi hanno appena portato la tua lettera e subito ti scrivo.
Noi stiamo bene, lo stesso auguro sempre a te.
Circa la tua richiesta di mandarti qualcosa, che ti devo inviare, se non un po’ di pasta, la salsa, una scatoletta di carne, un po’ di zucchero?
Di patate, in casa non ne abbiamo. Una mattina, alzati presto e fai un salto al mercato, così te ne compri due – tre chili (hai voglia a mangiare!), insieme con qualche chilo di verdura, facilmente reperibile in questi tempi.
Qui, quest’anno la produzione è scarsa, cavoli non ce ne sono.
Se cambi casa, stai attento a non compiere leggerezze, col rischio, magari, a distanza di un mese, di dover cambiare nuovamente. Penso che in nessun posto ti troverai meglio di dove stai adesso, a me la Signora è sembrata buona.
Ad ogni modo, fai come credi, basta che tu sia in gamba e ti faccia sempre i fatti tuoi, senza interessarti degli altri.
Ti mando i soldi per la pensione e, in più, mille lire per il latte e le patate.
Il Battesimo, in cui dovrai fare da padrino, non si sa quando si terrà, perché il compare è ancora a lavorare in Francia. I tuoi zii, invece, sono ritornati, stanno bene; quando vieni, troverai, da parte loro, un pacchetto di sigarette per te.
Tanti saluti dagli zii e dai nonni e infine ti salutiamo noi.
Tua cara mamma.
P.S.: circa i documenti che hai chiesto, te li farà tuo papà quando ha un po’ di tempo.
Nella stessa lettera, piccola nota della sorella Teresa, dodicenne.
Caro, Rocco. Pensa a camminare con il naso dritto.
Saluti. Teresa
Che aggiungere? Proprio niente, salvo il particolare che restai in pensione presso la Signora di Maglie sino alla fine dell’anno scolastico, facendo, invece, ritorno a Marittima, da mia madre, per prepararmi agli esami di diploma.
Ovviamente, è divenuta immensa la distanza curricolare da quella stagione e l’attuale quotidianità incorniciata dai capelli bianchi non prevede più sessioni di prove scolastiche, essendo, bensì, rivolta a traguardi e mete di tutt’altro genere, e però, sempre sotto lo sguardo della Signora autrice della lettera di cui anzi.
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