di Massimo Negro
Coelimanna mantiene fede al suo nome. Gli antichi latini direbbero “nomen omen”. In effetti questo sito è una vera e propria manna dal cielo per coloro a cui piace raccogliere e raccontare storie sul nostro passato e sulla nostra terra. E’ una mirabile sintesi di leggende, di religiosità, di arte e di storia. Tutte concentrate in questo piccolo spazio del nostro Salento.
Da dove cominciare?
Partiamo dalle leggende, dalle storie più antiche, per poi avvicinarci ai nostri giorni e alla mia visita alla cripta.
La prima di questa storie racconta di una guarigione miracolosa, in un periodo della nostra storia imprecisato. Un principe romano era stato colpito da un morbo che lo avrebbe condotto alla morte se non fosse intervenuta la Vergine Maria, apparendo allo sfortunato con il titolo di Coelimanna, e guarendolo. La leggenda racconta che il principe, una volta guarito, volle recarsi sul luogo a cui rimandava l’apparizione, ma durante il tragitto qualcosa di strano accadde. Infatti il cavallo d’improvviso iniziò ad inginocchiarsi dapprima all’ingresso del paese, poi una seconda volta lungo la strada che conduceva verso il bosco. Infine si ebbe ad inginocchiare una terza ed ultima volta nel luogo in cui, per devozione e per ringraziamento per la guarigione ricevuta, il principe fece erigere un Santuario. Secondo la leggenda, i luoghi in cui il cavallo si inginocchiò improvvisamente sono dove oggi sono posti dei menhir, lungo la strada che dal paese conduce verso il Santuario.
Come tutte le leggende che si rispettino non vi è nulla di documentato. Certo è che questa commistione tra religiosità cristiana, l’apparizione miracolosa della Vergine, e quella pagana, rappresentata dai menhir, lascia validamente supporre che il luogo fosse abitato sin dai tempi più antichi e poi successivamente “convertito” ad una differente destinazione religiosa.
La seconda storia che si racconta, e che ebbe più della prima a lasciare chiare evidenze nella religiosità popolare del luogo, narra di un’apparizione della Vergine di Coelimanna ad una pastorella.
Il P. Antonio da Stigliano, cappuccino, così riferisce la tradizione sul Santuario.
“Conduceva alla pastura, su quella verde collina, il suo gregge, una pastorella innocente, quando all’improvviso un giorno, proprio il Sabato precedente alla prima Domenica di Luglio, le si fece innanzi una maestosa Signora, la quale col suo celestiale sorriso le disse: Figliuola mia, va a chiamarmi il Curato di Supersano; la fanciulla modestamente osservava che il suo gregge senza di lei si sarebbe disperso, danneggiando nelle terre vicine e la sconosciuta ed affettuosa Signora le rispose che nella di lei assenza lo avrebbe Ella custodito.
Pronta allora al comando reca l’avviso al Parroco, il quale, animato da zelo, non mancò di condursi sul luogo al fianco della santa fanciulla. Costei giunta sulla collina gli additava quella gran Donna tenutasi nascosta dietro un cespuglio. Il fortunato sacerdote, nulla di straordinario avendo osservato, ritonò in Parrocchia, dove nella seguente Domenica, avendo narrato al popolo l’apparizione prodigiosa, predicò che ognuno si provvedesse di ferro per aprire quel folto cespuglio, ove si ascose la Donna apparsa il giorno innanzi alla pastorella innocente. Non mancò certo la preghiera, dopo che il popolo processionalmente raccolto ed avviatosi sul luogo aprì con sollecitudine il cespo additato. Fu scoperto un antro, ove si rinvenne una cappella (l’attuale Cripta) avente in mezzo un altare con nicchia, in cui un affresco è l’immagine bellissima della regina del Cielo, fregiata da un’iscrizione greco-latina che dice: Virgo Manna Coeli.”
L’apparizione della Vergine alla pastorella si narra che avvenne nel XV secolo. A ricordo dell’evento venne eretto l’attuale Santuario della Beata Vergine di Coelimanna (inizi del XVI secolo, rifatto e ultimato nel 1746). All’interno dell’edificio religioso, posta sull’altare, vi è una rappresentazione in cartapesta dell’apparizione miracolosa che in modo efficace racconta visivamente quell’evento.
La terza storia, a noi più recentemente e in questo caso anche documentata, è solitamente poco conosciuta e raramente accostandola alla storia del Santuario e all’adiacente e più antica cripta.
Siamo negli anni subito dopo l’unità d’Italia. Anni di speranze per molti infrante e di grandi difficoltà economiche, aggravate o causate da una legislazione neounitaria dai tratti ritenuti particolarmente vessatori verso la popolazione del meridione.
Siamo negli anni in cui frequentemente la contestazione e l’esasperazione sfociava in fenomeni di ribellione violenta. Siamo negli anni del banditismo, negli anni di Quintino Ippazio Venneri detto “Macchiorru” (1).
Quintino Ippazio Venneri nacque ad Alliste il 20 ottobre 1836. Nel 1859 si unì all’esercito Borbonico come soldato di leva. Tornato a casa nel 1860 dopo la disfatta e la resa del Regno, si unì nel 1861 alle forze reazionarie e per questo venne arrestato, rimanendo in carcere per circa un anno. Tornato al paese ci restò poco e nel mese di ottobre del 1862 si diede alla macchia.
I fatti compiuti dal Venneri e dalla sua banda furono numerosi. A lui e ai suoi venne anche attribuita la morte di un prete di Melissano, don Marino Manco ritenuto filo-sabaudo (2). La fine della storia del Venneri si intreccia con il sito di Coelimanna.
“La cattura di Quintino Venneri” di R. Rizzelli “Pagine di Storia Galatinese” 1912.
“La cattura, anzi, l’uccisione di Quintino Veneri, avvenne in modo tragico ed emozionante. La stazione dei carabinieri Ruffano, nel colmo della notte del 23 marzo 1863, fu avvertita che Quintino Venneri si era rifugiato entro la cappella di Cirimanna, un chiesetta sita alle falde della collina di Supersano. L’ora tarda non permise ai militi della benemerita arma di avvisare il comandante della Guardia Nazionale di stanza alla masseria Grande dei signori De Marco di Maglie, e postasi in armi in soli otto carabinieri, al comando di un brigadiere, corse a Cirimanna. Il drappello dei valorosi giunse sul posto in sul far del giorno e nell’accerchiare la chiesetta non potette fare a meno di non prevenire il capo banda Veneri il quale, non potendo evadere, si pose in sugli attenti per difendersi. La chiesetta aveva dietro un piccolo orto, cinto di alto muro, e il brigadiere, posti i suoi militi alla posta, si avventurò da solo per forzare la posizione. Poverino, si era appena appena affacciato all’orto, ed al momento di scavalcare il muro, una rombata di Venneri lo fredda. Alla caduta fulminea del superiore i militi si lanciano come leoni feriti nel covo di Quintino Venneri. I più risoluti si gettano nell’orto, gli altri, col calcio del fucile atterrano la porta della Cappella e, a due fuochi, impegnano il sanguinoso conflitto. Una palla del moschetto del carabiniere Anacleto Risis, di Alba Pompea, pose fine alla mischia spaccando in due il cuore del temuto bandito: l’Arma benemerita aveva liberato la contrada del capo banda ma aveva rimesso la pelle di un suo valoroso soldato.
La notizia, intanto, del conflitto che si era impegnato tra l’arma dei carabinieri e Quintino Venneri, sulla cappella Cirimanna, era giunta a Don Angelantonio Paladini, sopra la Masseria Grande, e quando il maggiore, comandante tutte le guardie nazionali dei nostri dintorni, impegnate nella repressione e cattura degli sbandati, giunse ai piedi della collina di Cirimanna, già la benemerita arma aveva pagato il suo tributo e riscosso il premio delle sue fatiche. Don Angelantonio divise in due drappelli le sue guardie – la compagnia delle guardie nazionali di Parabita l’adibì per accompagnare il corpo esamine del povero brigadiere, sino al vicino paese di Supersano, e la 3° compagnia delle guardie nazionali di Galatina accompagnò il cadavere di Quintino Venneri che per pubblico esempio e per appagare la curiosità di tutte le popolazioni del Capo lo si tenne esposto, per tre giorni, sulla piazza di Ruffano, guardato dalla nostra Guardia Nazionale.
La presa di Quintino Venneri fece epoca e in tutta la regione del Capo se ne formò una leggenda: bello, dai capelli ricci, forte, simpatico e, nella sua rudezza di uomo di macchia, generoso e galantuomo. Le mamme ancora lo ricordano ai loro bambini, intessendo mille aneddoti e mille avventure intorno alla vita di colui che, morto, si tenne esposto sulla piazza di Ruffano per pubblico esempio”.
Ora non ci resta che raccontare della cripta e degli affreschi al suo interno. Dire che il luogo ispira al silenzio e alla contemplazione può sembrare quasi ironico, visto che il sito è ora inglobato nell’attuale cimitero di Supersano. Ma in effetti così è, come in tutte le cripte di origine basiliana, dove quei santi visi e mani benedicenti fungono quasi da macchina del tempo nel riportarti indietro in un’epoca in cui il sentimento religioso riusciva ad esprimere vette artistiche di incommensurabile valore. La bellezza paesaggistica del sito resta tutt’ora, ancorché inglobata nel cimitero, in quanto la cripta e il Santuario si trovano adagiati sul fianco delle Serre, lungo una collina dalla vegetazione fitta e lussureggiante in cui ci si può inoltrare grazie a dei sentieri che portano ad immergersi nel verde del bosco.
La cripta ha un ingresso alquanto anonimo. Uno scavo in piano nel costoso roccioso con una piccola porticina d’ingresso. Riguardo lo stato dei luoghi è difficile ipotizzare come dovessero essere originariamente, anche a motivo della successiva costruzione del Santuario che venne adagiato nel costone accanto alla grotta. Inoltre, accanto alla cripta vi è un secondo ingresso che conduce in un diverso antro messo in comunicazione con il primo da un cunicolo evidentemente scavato anch’esso. E’ probabile che se la cripta costituisse il luogo di preghiera, la seconda grotta potrebbe essere stata adibita a ricovero dei monaci.
In questo secondo antro non si notano tracce di affreschi. Riguardo il cunicolo si racconta che dovesse portare addirittura sino a Leuca; ma nella realtà non va più lontano di qualche metro.
La cripta dalla forma quadrangolare appare divisa in due parti, quasi fossero due navate, per quanto dalle dimensioni irregolari, separate quasi nel mezzo da un pilastro e da archi. E’ probabile che la prima parte della cripta, quella in cui si accede dall’ingresso, sia quella più antica e che la seconda venne scavata ed aggiunta in un’epoca più tarda. Ad avvalorare questa ipotesi, sia la differente altezza della volta, più alta ed ampia nella seconda sezione, sia la decorazione paretale ben diversa dalla prima. Infatti se nella prima sezione sono visibili affreschi riconducibili quasi per intero alle mani e all’ingegno dei monaci basiliani, nella seconda vi sono in particolare motivi floreali e visi di angeli di fattura diversa e più grossolana rispetto a quella di ispirazione bizantina. Ciascuna sezione ha un suo altare, ma su questi vi ritornerò a breve nella descrizione del ciclo pittorico.
Iniziamo a raccontare le sacre immagini presenti all’interno riprendendo quanto ebbe a scrivere nell’800 il De Giorgi nei suoi Bozzetti di viaggio per i luoghi del Salento.
“… volti affusolati, grandi occhi ovali, lineamenti un po’ grossolani ed abbigliamenti ricchi di pieghe in parte cancellate dall’umidità … Quanta espressione in quelle poche linee che rappresentano la Vergine col Bambino … Che atteggiamento ispirato e terribile in quel San Giovanni Battista dagli occhi pieni di vita e dai capelli scarmigliati! … Quei vecchi dipinti parlano al cuore, e questi nostri [dei moderni realisti] si direbbe che son destinati più ad accarezzare la retina, che ad invitare alla preghiera …”
La prima figura che si incontra, a sinistra dell’ingresso, è seriamente danneggiata e regge un Evangelio su cui si possono leggere, anche se con una certa difficoltà, sulla prima pagina “EGO SUM LUX MUNDI”, mentre sulla seconda “QUI SEQUI TUR MEN ABUL ATI IN”, cioè “ Io sono la luce del mondo chi segue me non camminerà nelle tenebre”. Tale figura dovrebbe rappresentare un Cristo in trono con la mano benedicente alla greca.
La seconda figura è stata attribuita a San Giovanni Evangelista, anche se le iscrizioni sul libro aperto sono quasi illeggibili, così come l’iscrizione esegetica. Di questa il Fonseca, nel 1979, riesce a leggere poche lettere – “EVAN…”.
La terza figura è la classica rappresentazione di San Nicola a mezzo busto. L’affresco ha una particolarità; reca il nome del santo scritto sia in greco che in latino. Questo particolare testimonia la progressiva latinizzazione che ebbero a subire queste comunità inizialmente di rito greco.
L’ultima figura di santo presente sul lato sinistro dell’ingresso è quella di San Giovanni Battista, vestito con una tunica, benedicente alla greca e con un cartiglio in mano da cui poco o nulla si può leggere. Questo è il Battista che tanto ebbe ad impressionare il De Giorgi durante la sua visita. Anche su questo affresco il Fonseca rintracciò la doppia iscrizione in latino e greco.
Sulla parete a destra dell’ingresso vi è un bellissimo dittico con Sant’Andrea prima e San Michele a seguire. Sant’Andrea indossa tunica e mantello, e regge un cartiglio arrotolato in mano.
Il San Michele non è l’arcangelo ma si ritiene possa essere San Michele Maleinos, rappresentato con un bastone e croce astile, attributi con cui si raffigurano i santi eremiti.
A seguire una bellissima Vergine in trono con bambino benedicente alla greca.
Sul pilastro a destra vi sono rappresentati due santi. Un santo diacono attribuito a Santo Stefano, dal nimbo perlinato che regge con una mano un incensiere e con l’altra probabilmente l’epigonation per l’elemosine. Secondo Medea potrebbe essere San Lorenzo.
Un santo Vescovo che regge un Evangelio e benedice alla greca. La fattura di quest’ultima figura appare di un periodo diverso (forse XV – XVI secolo) rispetto alle altre figure presenti in questa sezione della cripta (XIII – XIV secolo).
Sullo stesso pilastro una suggestiva Vergine della Misericordia con il tipico mantello aperto in cui sono raffigurati dei flagellanti incappucciati.
L’ultimo affresco presente nella prima sezione della cripta è posto sopra l’altare e rappresenta una Vergine con Bambino. La Vergine con la mano sinistra regge un frutto.
Oltrepassato l’arco, la seconda sezione della cripta è caratterizzata dalla presenza di un bell’altare barocco con incastonata l’icona di una Vergine con Bambino. Molto probabilmente la costruzione di questo altare è riconducibile allo stesso periodo in cui all’esterno venne elevato il Santuario.
Il resto di questa sezione appare molto particolare in quanto le decorazioni sono caratterizzate da numerosi ed estesi motivi floreali e da un bellissimo cielo stellato. Lungo la parete in cui è presente un sedile in pietra per l’officiante, sono rappresentati un San Rocco e una Crocifissione.
Prima di uscire dalla cripta, vi vorrei far notare alcune strane figure dipinte presenti nei pressi dell’ingresso. Difficile dire cosa siano e a cosa siano servite.
Prima di lasciarci vorrei brevemente tornare sul nome del sito, Coelimanna, manna dal cielo. Perché questo nome? Una delle possibili risposte può essere data dalla presenza in quei luoghi dell’albero della manna. Ad avvalorare questa tesi, sono stati individuati di recente alcuni esemplari di questi alberi nella zona compresa tra il Santuario e la Chiesa della Madonna della Serra (3).
Il sito è stato interessato da un restauro nel corso del 2001. Purtroppo l’umidità presente all’interno è abbondante e rischia con il tempo di compromettere ulteriormente lo stato degli affreschi. Addirittura su una parete erano cresciuti dei funghi.
Ringraziamenti. Sezione inusuale ma con piacere dovuta. Intanto un grazie al mio amico “Pasquino Galatino” che mi ha introdotto alla figura di Quintino Venneri. Un grazie anche a Michela Ippolito e all’amico Marco Cavalera che hanno reso possibile la mia prima visita al sito in occasione di una due giorni dedicata alla cripta e ad altri bei luoghi della zona di cui scriverò in seguito. Ringraziamento doppio, visto che grazie a quella visita ho avuto il piacere di conoscere Marco di Salogentis.it, Franco e Bea di Japigia.com e Lupo Fiore un altro instancabile camminatore del Salento.
Fonti e riferimenti utili:
– (1) Sulla vita di Quintino Venneri rimando alla lettura dei numerosi articoli e note presenti in questo sito: http://www.pinodenuzzo.com/controstoria/macchiorru.htm
– (2) Sul racconto dell’uccisione di Don Marino Manco, rimando allo scritto dell’amico Stefano Cortese anch’esso raccolto nel sito su indicato.
– (3) Articolo di Francesco Tarantino
https://spigolaturesalentine.wordpress.com/2011/02/03/l%E2%80%99albero-della-manna-nelle-campagne-di-supersano-le/
– Sempre su questo luogo potete leggere su: http://www.japigia.com/le/supersano/index.shtml?A=coelimanna
http://www.salogentis.it/2011/12/11/la-cripta-di-santa-maria-coelimanna-a-supersano/
– Gli insediamenti rupestri medioevali nel Basso Salento – Fonseca, Bruno, Ingrosso, Marotta – Congedo Editore, Galatina 1979.
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Grazie Massimo per questo tuo articolo e il bellissimo servizio fotografico sul santuario del mio paese natale. Da bambino andavo molto spesso al cimitero per dipingere a finto marmo le lapidi dei defunti con i loro nomi e cognomi e date di nascita e morte: erano chianche di pietra leccese usata più volte e per più defunti, (le lapidi di marmo vero erano rare e riservate alla gente benestante). Ricordo che ogni volta visitavo la cripta per vedere gli affreschi i colori erano senza dubbio più vivaci di quelli che vediamo oggi e le immagini erano più nitide. I custedi del cimitero di allora (50 anni fa), spruzzavano sulle pareti affrescate, usando la pompa per le vigne, latte di calce e qualche altro insetticida diluito con acqua per eliminare i centinaia di moscerini che posavano su quelle pareti in periodi diversi. Ritengo che tutto ciò abbia man mano causato danni alle pitture bizantine.
Devo dire inoltre che nel tuo articolo sul santuario manca ogni riferimento ai danni causati dai lavori di “restauro” effettuati negli anni 90 con la rimozione totale dell’intonaco originale, sec.XVIII e conseguente sparizione e appropriazione indebita delle tre vetrate settecentesche con vetro “cattedrale” colorato e rispettivi supporti in ferro battuto della stessa epoca. Ma questo è un capitolo a parte, ignorato perche passato inosservato, magari con la complicità di qualcuno, non tua naturalmente che hai descritto in buonafede la storia di un importante monumento storico del mio paese appesantito dai danni causati dal tempo ma soprattutto dall’incuria e dallo sciagallaggio degli uomini. Cordiali saluti, Ezio Sanapo.
Caro Ezio, ti ringrazio per il tuo commento che restituisce alcuni spaccati di vita di tanto tempo fa meritevoli di essere approfonditi. Non sono di Supersano e alcune delle cose che tu racconti, e che fanno male al cuore al solo leggerle, non ho avuto modo di conoscerle, nè mi sono state riferite, durante i miei due sopralluoghi al sito. Ti ringrazio ancora per quanto scrivi e spero che per il futuro questo bellissimo luogo e il bosco che lo circonda possa avere una considerazione maggiore rispetto al passato che racconti. Cordialmente Massimo Negro