di Rocco Boccadamo
Non è che, in questo primo scorcio di millennio, da altri «lidi» vicini o distanti – tranne, beninteso, isolate oasi differenziate, come Germania, Scandinavia e pochi altri casi – si vadano proiettando immagini da Premi Oscar, però una cosa è sicuramente certa: l’attuale «produzione» nostrana lascia assai a desiderare o, quantomeno, suscita perplessità e interrogativi.
I principali titoli in locandina parlano di scandali gestionali/finanziari o vere e proprie ruberie di raccapriccianti dimensioni, di scioperi, agitazioni e proteste, con disagi per tutti, di diatribe fra le varie anime dei raggruppamenti politici nonostante la provvidenziale e “miracolistica” presenza, per adesso, del governo tecnico guidato dal professor Monti.
Sullo sfondo di siffatta sceneggiatura, i pareri, le voci e le opinioni di personaggi e di figure in vista si succedono e si accavallano a guisa di oracoli rovesciati o stonati.
Qualche spigolatura in proposito.
L’Italia è l’unico paese, almeno fra quelli occidentali, dove tocca convivere con un fenomeno del tutto particolare: l’inflazione ufficiale (determinata dall’ISTAT), su un certo livello e l’inflazione reale (o come dicono gli esperti, avvertita), di grado ben più elevato, se non multiplo.
Al riguardo, non si tratta purtroppo di ripulire o aggiornare, ogni tanto, il «paniere», di dotarsi di strumenti di rilevazione più sofisticati ed efficaci; si ha invece l’impressione che tale anomala situazione sia, se non proprio voluta, tollerata dal sistema, con l’aggravante che, da parte loro, le Autorità che dovrebbero affrontarla, non dimostrano di farlo con adeguata incisività e decisione: alla fine, la strana coesistenza del doppio «parametro» consente manovre non sempre cristalline ed oneste.
Così, non v’è chi non trovi insensato il proclama di aumenti del costo della vita nell’ordine del 2% – 2,5%, mentre, sui banchi e nei luoghi e settori della spesa e dei servizi, s’incontrano lievitazioni di prezzi e tariffe sino al 20%, 30% e anche 40%, appena nel giro di tre/quattro anni.
Amen! Non è la prima volta che noi italiani ingoiamo e digeriamo vicende misteriose. L’introduzione dell’euro, con la diffusa, maldestra e truffaldina, sua equiparazione a mille anziché a duemila vecchie lire, ha, per taluni, una serie di colpe, per altri – al contrario – vanta dei meriti: è la classica situazione del diavolo e dell’acqua santa.
Da un po’ di tempo, numerosi leader politici o esponenti di partito e del sindacato, senza distinzione di schieramenti, dimostrano di aver passato a mente determinate cifre statistiche e non per perdono occasione per sciorinarle all’opinione pubblica.
Fra la popolazione italiana, sostengono, v’è la percentuale X con reddito mensile che non supera i mille euro e che, di conseguenza, non riesce a sbarcare il lunario.
Fermi tutti: si parla di mille euro, non di un milione delle cessate care “lirette”. Chi può stabilire obiettivamente che con mille euro al mese non si arrivi a vivere? E poi che senso ha declamare “sic et simpliciter” una determinata percentuale, con relativo uniforme stato precario, quando la medesima percentuale si ragguaglia a situazioni situate agli antipodi l’una dall’altra? Si pensi, ad esempio, a mille euro al mese per un ragazzo il quale vive in famiglia e praticamente non ha a suo carico spese essenziali: è assai azzardato dichiarare che un tale soggetto non sia in grado di sbarcare il lunario, la tesi, semmai, risulterebbe verosimile per un capo famiglia, unica fonte di reddito per tre/quattro persone.
Non sarebbe preferibile astenersi da indicazioni vaghe, dubbie ed equivoche, anziché effettuare annunzi che sembrano più che altro da campagna elettorale o da autopromozione?
In conclusione, non sempre è «scandaloso» o insufficiente un reddito di mille o millecinquecento euro mensili: v’è caso e caso.
Piuttosto, restando sul tema delle disquisizioni sull’argomento, non sarebbe male se i nostri parlamentari e governanti prendessero, finalmente e seriamente, l’iniziativa di proporsi agli elettori con un bell’esempio: decurtarsi, meglio ancora dimezzarsi, le loro indennità. Anche qualora, alla fine, il risultato dovesse rappresentare una goccia d’acqua nell’oceano dei bisogni della nazione, resterebbe pur sempre, una volta tanto, il bell’esempio.
Fra le materie in discussione o dibattito, la scuola non manca mai. Sul fronte in questione, non sembra invero intervenire cambiamento senza che lo si identifichi anche come errore.
Quando poi, alla fine, la scuola vera e che conta non si configura unicamente in quella dei Ministri in successione – Moratti, Gelmini, Profumo – ma risulta invece costituita anche dalle «materie» che – giorno dopo giorno – si insegnano e si studiano in seno alle famiglie, per le strade, nella vita collettiva, nonché dai voti che rispettivamente si riportano.
E’ assolutamente giusto che tutti, anche le persone meno fortunate, debbano godere di eguali diritti e poter vivere la vita allo stesso modo.
Qualche anno fa, un settimanale riportava il caso di un giovane siciliano portatore di grave handicap, arrivato egualmente – grazie a capacità mentali non comuni e alla forza di volontà – a laurearsi in discipline scientifiche e da tempo anche ben inserito nel mondo lavorativo.
La madre del giovane, consapevole del suo importante ruolo verso quel figlio, al punto da porsi come vero e proprio angelo custode, al termine dell’intervista precisava di aiutare la sua creatura finanche a soddisfare le esigenze sessuali, a tal fine accompagnandola, tre volte alla settimana, al domicilio di prostitute: tariffa, da cinquanta a ottanta euro per incontro.
Senza voler minimamente formulare giudizi, anzi con tutto l’umano, e naturale, rispetto per questo particolare genere di necessità, viene spontaneo di fare qualche calcolo e, ricollegandosi ai livelli di reddito – sufficienti o meno – tratteggiati all’inizio, di limitarsi semplicemente a constatare come il cuore di una mamma sia sempre grande, molto grande.