La prima opera datata del copertinese Ambrogio Martinelli.
L’altare di S. Antonio in Alessano
di Antonella Chiarello
Lo scultore copertinese Ambrogio Martinelli si presume sia nato nel 1616 e deceduto nel 1684. Chierico, ha lasciato nel Salento numerose testimonianze della sua capacità artistica, forgiata sulla scia dello Zimbalo e delle numerose maestranze leccesi coeve, compreso il suo concittadino Giovan Donato Chiarello, le cui opere precedono, nella maggior parte dei casi, quelle del nostro artista.
Da qualche decennio ci si sofferma sulla sua figura, trascurata invece dai noti scrittori salentini: Cosimo De Giorgi lo menziona incidentalmente, solo «pei raccoglitori di patrie notizie»; il Foscarini lo considera dotato di «genialità e inventiva», un «ottimo scultore in legno e in pietra, sebbene, per l’epoca in cui visse, seguisse lo stile barocco».
Con certezza gli sono attribuiti il portale della Collegiata di Campi Salentina (1658), i due altari della Parrocchiale di Monteroni (1658-59), l’altare di S. Giuseppe per l’omonima chiesa di Surbo (1661), dove realizzò anche l’altare di S. Oronzo nella Matrice. La fiorente produzione annovera inoltre i quattro altari per i conventuali di Otranto (1666), quasi coevi con l’altare maggiore in S. Maria la Greca a Leverano e i due S. Maria della Scala a Maglie. Altrettanto certi sono l’altare di S. Girolamo nella navata destra della Cattedrale neritina e il maestoso di S. Giuseppe nel transetto della chiesa dei domenicani nella sua città natale.
Possibili interventi in numerosi altri centri, ma senz’altro importante fu l’altare dedicato a S. Antonio da Padova nell’ex chiesa dei conventuali di Alessano, voluto e finanziato dalla pia Laura Guarini, duchessa di Alessano, e dal coniuge Filiberto Ayerbo d’Aragona, che campeggiano, a mezzo busto e di profilo, agli estremi lati dell’altare, in composto atteggiamento di devozione e contemplazione.
L’iscrizione apposta sull’altare, «A.D. 1652», e la firma «MAG: ▼AMBR: MARTINELLV SCVLPEBAT CVPERTINENSIS», la attestano come opera prima e certa.
Oltre al santo titolare sono facilmente riconoscibili sui lati il serafico padre dell’ordine Francesco d’Assisi e una inusuale Santa Famiglia, che è posizionata nella parte più alta, con il Bambin Gesù centrale rispetto ai genitori, che poggiano su di un timpano spezzato. Più incerta la figura del monaco di destra, rovinata in più punti, che potrebbe raffigurare s. Francesco da Paola a motivo del bastone che regge con la mano sinistra.
Al centro dell’altare si apre una nicchia stellata con una statua policroma di non pregevole fattura del santo patavino, certamente sproporzionata rispetto al resto e forse in sostituzione di un’opera di maggior pregio.
Il non comune talento dello scultore copertinese è evidente soprattutto nella decorazione delle quattro colonne salomoniche e dei plinti su cui esse poggiano: corone, fiori, uccelli che volano e che beccano grappoli d’uva, motivi vegetali che si fondono con colombe, figure antropomorfe da cui nascono virtuosi girali. Ma soprattutto i festosi e corposi putti, scolpiti nelle pose più bizzarre e giocose, talvolta assunti a reggi corona, talaltra posti a cavalcioni su colombe e cigni per suonare una buccina oppure sul dorso di leoni miniaturizzati. Il re della foresta sembra quasi essere stato l’animale prescelto dallo scultore per caratterizzare la sua arte e, come in tutti gli altri suoi altari salentini, li dota anche qui di una fluente criniera. Ad Alessano ne colloca ben sei nella parte più bassa, tre per lato, esaltando il paliotto della mensa e gli scudi accartocciati che ognuno di essi sostiene con la zampa anteriore di destra.
In ognuno degli scudi il campo è occupato dalle armi della nobilissima coppia Ayerbo d’Aragona-Guarini, ripresi anche sui plinti, e più precisamente di Filiberto, secondogenito del marchese di Grotteria Gaspare, e di Laura Guarini, nata nel 1619 e morta il 29 ottobre 1699, figlia del barone di Alessano Emilio e di Maria Paladini, marchesa di Campi.
Diversi invece gli scudi laterali, agli estremi dell’altare, collocati al di sopra di due volute giganti: quello di destra contiene le armi dei Guarini e dei Paladini, l’opposto dei D’Aragona, partito con altro stemma non identificato. Evidente che si tratta di più famiglie, tutte di altissimi rango, che finanziano la realizzazione dell’altare, e ci sembra di scorgere tre coppie ben distinte, probabilmente imparentate tra loro.
Fra i diversi elementi decorativi sono sapientemente inserite formelle con scene della vita del santo di Padova, tra le quali si riconoscono chiaramente i miracoli della bilocazione, la resurrezione del bimbo, il ricongiungimento della gamba tagliata e quello più noto della mula prostrata dinanzi al SS. Sacramento. Il tutto elaborato con grazia e accuratezza, ricavando il massimo dalla tipica pietra leccese.