MARITTIMA: LA FIERA DELLA MADONNA DI COSTANTINOPOLI NEI RICORDI DI UN RAGAZZO DI IERI
di Rocco Boccadamo
Sulla scia di una tradizione ormai secolare, nella prima domenica di marzo si svolge a Marittima una manifestazione ancora molto sentita, la fiera della Madonna di Costantinopoli, la Vergine compatrona del paesello, venerata sotto forma di un’artistica statua in cartapesta e attraverso un’antica icona bizantina nel piccolo e grazioso Santuario a Lei espressamente dedicato.
Si diceva manifestazione molto sentita, non a caso, bensì per due ordini di motivi da sempre radicati nella mente e nella sensibilità dei marittimesi. Una volta, praticamente sino a pochi decenni addietro, trattatasi dell’unica occasione di mercato a domicilio, tant’è che, in seno alle famiglie, molti acquisti erano programmati e scadenzati giustappunto in concomitanza della fiera; inoltre, l’arrivo della prima domenica di marzo inculcava nella suggestione popolare una specie di simbolo, se non proprio di definitivo distacco dal periodo freddo, perlomeno di inizio del passaggio dall’ inverno alla stagione primaverile.
Certo, nei tempi recenti, sono man mano intervenuti innumerevoli stravolgimenti ed evoluzioni, vuoi attraverso l’apertura un po’ ovunque di mercatini, supermercati, ipermercati e megastore, vuoi per la diffusione dei mezzi di trasporto che consentono di muoversi quando si vuole e di raggiungere per gli acquisti le più disparate località, sia, infine, in virtù del fenomeno della pubblicità, soprattutto radio-televisiva, e grazie alle schiere di venditori porta a porta che, come dire, non ti fanno mancare quasi nulla.
Così, invece, non accadeva prima. La fiera era attesa, con autentica ansia, da tutti, a partire dai piccoli e sino alle persone anziane.
I ragazzini, solo in quella particolare domenica, a differenza delle altre festività, erano eccezionalmente mattinieri, non vedevano l’ora di uscire, sfoggiando per la prima volta dopo l’inverno i pantaloncini corti, preceduti, nel compimento di tale atto, soltanto da qualche visita di nonni o zii, i quali come sempre si erano alzati presto, recanti in dono, come primo segno della manifestazione, un fascio di fresche carote, le mitiche pistinache secondo il gergo dialettale.
Su e lungo una serie di strade e piazzette del paese, la fiera si snodava sistematicamente in sequenze scandite e organizzate a seconda della natura merceologica dei prodotti in esposizione: in piazza Umberto, di fronte alla Chiesa matrice, prendevano posto le baracche di generi alimentari, casalinghi, piccoli e artigianali giocattoli, dolciumi; il largo cosiddetto della “Campurra”, dominato dalla Cappella di S. Giuseppe, era invece deputato alle baracche di tessuti, arredamenti per la casa, confezioni e calzature. In via Convento, nella direttrice conducente al Camposanto e al già citato Santuario della Madonna di Costantinopoli, si situavano i venditori di articoli per l’agricoltura, cereali e granaglie in genere, ortaggi e verdure, scale, corde e quindi, dulcis in fundo, i venditori di animali vivi e bestiame (dai piccoli volatili – pulcini, galletti e puddrasce – ai conigli, agnelli, pecore, capre, suini, cavalli, asini e muli, nonché qualche capo bovino).
Consisteva essenzialmente in questo la gamma di mercanzie che la fiera offriva alle del resto povere possibilità di acquisto dei marittimesi e degli abitanti dei paesi vicini, i quali vi convenivano anch’essi in numero ragguardevole. Le contrattazioni iniziavano verso le sei/sette del mattino, protraendosi sino alle 14/15 dopo pranzo: piccoli e onesti e dignitosi affari per entrambe le parti che li animavano e generavano.
Talvolta, poteva capitare che in occasione della ricorrenza, all’ultimo minuto della vigilia o addirittura nel corso della manifestazione, si registrassero gravi perturbazioni meteorologiche, con acquazzoni e temporali: in casi del genere, per fortuna non frequenti, il cattivo tempo stravolgeva e metteva a soqquadro tutto, sicché la fiera veniva spostata alla domenica successiva.
A comprova di siffatta sfaccettatura, a chi scrive è direttamente accaduto, in un paio di occasioni, dopo essere uscito di buon’ora da casa, di imbattersi improvvisamente nel maltempo, di trovarsi costretto a rifugiarsi per ore, si pensi un po’, all’ interno della chiesa e, da lì, assistere allibito allo smantellamento di baracche e merci, per poi, una volta passata la tempesta, fare mesto e inglorioso ritorno fra le mura domestiche.
D’altronde, non si deve dimenticare che, allora, l’ombrello rappresentava un optional non propriamente comunissimo, di macchine, praticamente, non ne esistevano, contandosene, nel paese, appena due (una “topolino” e una “Fiat giardinetta”): e i torrenti d’acqua generati dal temporale non potevano certamente affrontarsi e guadarsi a cuor leggero, neppure dai più temerari.
° ° ° ° °
Nell’ ambito della mia famiglia, l’occasione della fiera significava anche rivedere uno zio che viveva nel brindisino e lavorava presso un magazzino di tessuti. Egli, difatti, insieme con i suoi titolari, così come faceva sovente “mercato” qua e là mediante una grande baracca espositiva auto trasportata, era solito partecipare alla fiera di Marittima, arrivando la sera del sabato e recandosi per la cena e per dormire dai miei nonni.
Ricordo, relativamente alla baracca dello zio V., sempre lo stesso “posteggio” al largo “Campurra”, a ridosso del muro sud della navata della cappella di S.Giuseppe.
° ° ° ° °
Ma, un episodio rimastomi straordinariamente impresso risale a cinquantacinque, forse sessanta anni addietro, nell’approssimarsi, appunto, della fiera.
Mi trovavo di sera, insieme con i miei fratelli, in casa dei nonni paterni, accomodato su una panchetta all’interno del rustico e caldo “focalire”, di fronte al nonno C. impegnato a fumare il suo toscano, con la brace puntualmente in bocca perché tirasse meglio, dopo una giornata di lavoro; la nonna C. seduta vicino al medesimo angolo di calore e intenta a sferruzzare qualche piccolo capo di lana, la zia L. seduta, a sua volta, accanto al tavolo, con fidanzato nelle adiacenze, nell’ atto di ricamare gli ultimi capi per il suo corredo.
Ad un certo punto, la nonna passò a commentare, con voce chiara e distinta, che quell’anno la fiera avrebbe comportato una lunga serie di acquisti in vista del matrimonio del figlio V. e del conseguente arredo, sia pure sommario, della di lui nuova abitazione: zappa, vanga, calderina, falce, limmo, limmune, limmiteddro, pignate, pentole, bisaccia, treppiedi, quadare e quadarotto, scala, lavaturo…. e, così via dicendo, la lista seguitava con tanti poveri altri aggeggi, quasi non finiva mai.
Il nonno C. andava ascoltando e, evidentemente, cercava dentro di sé di metabolizzare il lungo elenco, facendo contemporaneamente il conto, soprattutto, di quale sarebbe stato il relativo esborso, paventando che lo stesso potesse finire col prosciugare fino all’ultima lira i magri risparmi familiari e, addirittura, costringere a contrarre qualche debito (all’ epoca, di certo, non era di moda il ricorso al credito al consumo). Sta di fatto che, come fulmine a ciel sereno e in barba al suo temperamento di solito mite e calmo, egli sbottò in un improperio, alla buona ma sonoro, all’ indirizzo della malcapitata consorte, intimando, praticamente, di farla finita.
La violenta reazione del buon uomo generò grande sconforto, non solo nella nonna, ma anche nella zia L.: difatti, di fronte alla reprimenda del padrone di casa, proruppero entrambe, per diversi minuti, in un pianto sconsolato. E noi, piccoli ma attenti spettatori, lì bloccati , zitti e muti, durante tutta la scena.
° ° ° ° °
Al giorno d’oggi, ogni cosa è inevitabilmente mutata: i venditori presenti alla fiera sono costituiti in prevalenza da immigrati extra comunitari, i quali, poveracci, espongono, più che altro, cianfrusaglie e paccottiglie di scarso e dubbio valore qualitativo. D’altronde, per la platea degli acquirenti, le fiere e i mercati sono a portata di mano tutti i giorni del calendario.
In siffatta radicale metamorfosi, a Marittima è, però, dato di riscontrare un tratto positivo che vale la pena di mettere in evidenza, una buona novità e un’ utile iniziativa nella discontinuità dell’ antica, e a questo punto introvabile, tradizione.
Su idea di una famiglia di costruttori di imbarcazioni per la pesca e da diporto in legno, artigiani veramente bravi ed apprezzati diffusamente in tutto il Salento, nell’ ambito della fiera della Madonna di Costantinopoli è stata inserita una nuova sezione sotto forma di salone nautico e di attrezzature per la marineria. Per quanto mi riguarda, trattasi dell’ unico modulo della fiera rimasto ad attirarmi ed a cui mi accosto.
Dunque, complimenti e un plauso amici e compaesani barcaioli di Marittima! Al troncone della classica fiera intrisa di ricordi e nostalgie lontani, avete saputo innestare un virgulto vitale ed interessante per l’ attenzione dell’ utenza del terzo millennio.