Ninna Nanna delle mamme salentine…

Cottagers at Scheveningen, di Albert Neuhuys (1844-1914)

Un canto antico

LA NINNA NANNA

Una melodia “povera” per cullare e far dormire i piccoli

di Piero Vinsper

Con il termine di ninna nanna si indica quel genere di poesiole o di cantilene, che servono a far addormentare i bambini. Di queste si hanno esempi presso tutti i popoli della terra; si tratta per lo più di un componimento breve, concettualmente assai povero e privo di nessi logici. Il ritmo è monotono e cadenzato, quasi ad accompagnare il moto della culla.

In età molto remota la ninna nanna era una preghiera rivolta ad antichi dèi babilonesi e sumeri. Era una tradizione orale che si trasmetteva di generazione in generazione, nel cuore della famiglia, dai genitori ai bambini, dalla mamma ai suoi figli.

Bisogna aspettare il terzo secolo a. Ch. perché si abbia la prima ninna nanna scritta, per opera del poeta Teocrito di Siracusa in un dei suoi idilli.

Ebbene, essendo la ninna nanna di origine popolare, troveremo spesso concetti legati alla civiltà contadina e ci imbatteremo in termini dialettali non più d’uso comune. Però l’elemento che balza vivo in ogni ninna nanna è lo sviscerato amore materno: amore materno che si manifesta nella esaltazione della bellezza del proprio piccolo, nell’augurargli ogni sorta di felicità, di prosperità e, di conseguenza, un avvenire radioso.

Nanu nanu nanu

cce ccappau lu sacristanu:

sciu cu ssona le campane

e rrumase cu llu nsartu mmanu.

Lu nsartu (gr. ἐξάρτιον, grossa fune; lt. insertum (?), cosa intrecciata) è una grossa fune alla quale erano legate le campane. Caso volle che, quando il sagrestano andò a suonarle, la fune si spezzò e rimase con la corda in mano, cioè restò di stucco.

Nini nini nini

quant’è bbeddhru cu crisci fili

Se vai alla cista mòzzachi

se vai alla votte vivi

Crescere ed allevare figli è la cosa più bella di questo mondo. Però, per tirare a campare, è meglio che si stia vicino ad una cista (gr. κίστη, lt. cista, cesta) colma di pani o ad una botte piena di vino. Nel primo caso si ha la possibilità di mozzacare, cioè di mordere e di mettere qualcosa sotto i denti, nel secondo di bere un buon bicchiere di vino.

Ninu ninu ninu

menta, sànzicu e pethrusinu

La mamma sente la ndore

de luntanu e de vicinu

Sànzicu (gr. σάμψουκον, σάμψικον) è la maggiorana; pethrusinu (πετροσέλινον, πετροσέλινο; lt. petroselinum) è il prezzemolo. Come la madre riesce a distinguere il profumo di queste erbe aromatiche stando vicino o lontano, nella stessa maniera riesce a riconoscere il proprio figlio.

Ninìa ninìa ninìa

quant’è bbeddhra la fija mia

la dau a nnu signuru

cu ppalazzu e mmassaria

Mia figlia è molto bella, dice la mamma; perciò, quando sarà grande, la darò in sposa ad un ricco signore, che possiede palazzi e masserie.

Nanu nanu nanu

ci lu sèmana lu cranu?

Lu sèmana lu miu bbeddhru

cu lla chianta de la manu

Qui si augura al bambino che diventi un ottimo contadino, abile nel seminare il grano cu lla chianta (lt. planta), cioè con la pianta, della mano.

Ninu ninu ninu

ncannulamu e poi tessimu

Facimu nu toccu longu

sciamu a Napuli e llu vindimu

Mentre il figlio dorme al canto della ninna nanna, la madre si prodiga a ncannulare (riempire di cotone i cannelli per il telaio) il cotone e a tessere. Farà nu toccu (rotolo di tela tessuta, in casa, al telaio, della lunghezza che oscilla dai venti-trenta metri sino a sessanta circa) lungo e andrà a venderlo a Napoli. Con il ricavato, poi, potrà comprargli chissà quante cose.

Ninizzi ninizzi ninizzi

centu tùmani de bbeddhrizzi

La mamma l’have mmesurati

cento e ddoi have thruvati

Lu tùmanu, il tomolo, è una misura di superficie di ottantatre are circa. Se una madre calcola cento tomoli di bellezza, per suo figlio ne troverà centodue in virtù del suo grandissimo amore.

Ninìa ninìa ninìa

la mamma fèmmana vulìa

lu tata masculieddhru

cu llu juta a lla fatìa

Anticamente non esisteva l’ecografia per conoscere anticipatamente il sesso del nascituro: si andava a schiòvere, cioè ci si affidava al caso, alla sorte. Ecco perché la mamma desiderava una femmina, il padre un maschietto, affinché lo aiutasse nel suo lavoro.

Ninana ninana ninana

ci la tèmpara e ci la schiana

ci face mmaccarruni

ci ppende la caddara

E’ un richiamo alla vita quotidiana: c’è chi tempera la farina intridendola con acqua e sale, chi la scannella, chi fa i maccheroni e chi mette sul fuoco la caldaia.

Nia nia nia

quant’è bbeddhra la fija mia

a cci bbeddhra nu lli pare

santa Lucia llu pozza cecare

Lo sviscerato amore materno, a volte, fa perdere il ben dell’intelletto. Ed ecco che una madre prega santa Lucia che faccia perdere la vista a quella persona alla quale non sembra bella sua figlia.

Nanna nanna nanna

s’have persu la menzacanna

oramai nu sse mmesura

la villana cu lla signura

E’ un anelito all’uguaglianza delle persone, al livellamento delle classi sociali. La canna è un’antica misura lineare di tre metri; la menzacanna equivale ad un metro e mezzo. Si è persa l’unità di misura, si dice; perciò non si possono mettere a confronto una figlia di contadini ed una figlia di signori: son tutte e due uguali e non vale la pena misurarle.

Ninni ninni ninni

quantu s’àmanu li piccinni!

E percè s’àmanu tantu?

Ca ti cùstanu fatica e chiantu

Quanto bene si vuole ai neonati! Perché si amano tanto? Perché costano fatica e pianto.

Leopardi diceva: è  rischio di morte il nascimento; infatti durante il parto la madre rischia la vita, sopporta dolore, fatica e pianto; fatica e pianto sopporterà nell’allevarlo; fatica e pianto avrà come bagaglio durante la sua adolescenza, durante la sua età adulta, perché è radicato in lei, come nel padre, quel senso innato dell’amore, retaggio dell’antica civiltà greco-latina.

(in “Il filo di Aracne”, n° 5 – 2007)

 

 

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6 Commenti a Ninna Nanna delle mamme salentine…

  1. Tra le Ninna Nanna proposte ecco la variante di Nardò:
    Ninìa, Ninìa, Ninìa,
    la mamma fèmmina la ulìa
    e lu tata masculieddhu
    cu llu porta alla fatìa.

    Me ne viene ancora in mente una:
    Ninna Nanna, Ninna ò,
    lu piccinnu a cci lu tò.
    Li lu tò alla Befana
    mi lu tene ‘na sittimana,
    li lu tò alla ‘icina
    mi lu tene ‘na quindicina.

  2. Tenere queste filastrocche che ci ricordano il passato di bambini, quando a noi più grandicelli era demandato il compito di accudire i fratellini e ci accadeva di doverli addormentare o tranquillizzare quando non la volevano smettere coi capricci e col pianto. C’era il profumo della legna nel camino e il sorriso dei nonni accanto A me sembrava di essere una principessa come quelle delle fiabe ed era ancora sconosciuto il mondo….

  3. una dolcezza infinita un rimpianto mielato e.. tante altre ninni ninni
    c’è su beddri sti piccinni, sti piccinni te la mamma se li tene comu zuccheru te canna

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